Nel corso del XII secolo si produsse un nuovo ideale d’amore che elevava la donna a sublime oggetto di venerazione e di ispirazione poetica. Tuttavia l’amore cortese, invenzione tutta maschile, non trasformò il ruolo sociale della donna. Infatti, come nelle vicende di Paolo e Francesca, la donna continuò a ricoprire una posizione subalterna anche nel suo destino matrimoniale, mentre un rapporto d’amore reciproco, in cui ci si sceglie liberamente, rimase esecrabile perché potenzialmente adultero. Anche in ambito musicale la distanza tra soave celebrazione dell’amore e i costumi sociali vigenti emerge in modo evidente. A tal proposito risulta interessante sbirciare tra i documenti d’archivio per ricostruire le vicende sentimentali di alcuni musicisti presenti a Ferrara nei secoli passati.
Fra i fatti più noti spiccano gli efferati uxoricidi commessi da due musici attivi presso la corte estense: Bartolomeo Tromboncino e Carlo Gesualdo da Venosa. Il primo, nel 1499, all’epoca dei fatti al servizio presso la corte mantovana, uccise la moglie adultera, o presunta tale, rimanendo impunito grazie alla protezione della duchessa Isabella d’Este. Altrettanto spietato fu Carlo Gesualdo principe di Venosa che a Napoli nel 1590 fece trucidare dai suoi servi la bella cugina Maria d’Avos, sposata pochi anni prima, e il suo amante, il duca Fabrizio Carafa.
Tragico destino fu anche quello di Anna Guarini, cantante e arpista del celebre Concerto delle Dame (sul tema leggi l’articolo Ferrara, le pandemie e la musica come rimedio per l’anima), assassinata a colpi di scure e rasoio dal marito Ercole Trotti nel 1598. La furia omicida del Trotti era nata da una maldicenza fatta circolare dalla nobildonna Bradamante d’Este per liberarsi, scatenando lo scandalo, del marito Ercole Bevilacqua, capitano dei cavalleggeri ducali, che aveva avuto una qualche frequentazione, di cui non è accertata la natura, con la Guarini. Destino poco fortunato fu quello di Laura Peperara, la più nota delle Dame musiciste, la cui mano fu concessa dal duca Alfonso II al Conte Annibale Turco che, ammalato del «mal gallico», ovvero sifilide, la infettò. Tentarono invece di costruire un rapporto di elevato valore sentimentale e intellettuale il compositore fiammingo Giaches de Wert e la musicista e letterata Tarquinia Molza. La relazione non fu però approvata dal Duca Alfonso II, che nel 1589, dispose l’allontanamento dalla città della Molza.
Lasciamo ora la Ferrara rinascimentale per quella barocca, non più dominata dagli Estensi ma governata dal legato pontificio, nella quale la musica non trova più la sua principale sede presso la corte ducale ma si sposta nei teatri, nelle chiese e nei palazzi nobiliari.
Il 28 maggio 1697 per la celebrazione della Pentecoste nella chiesa dello Spirito Santo non si badarono a spese, ingaggiando per l’occasione il noto cantante Giovanni Francesco Grossi, detto Siface, all’epoca dei fatti al servizio del duca di Modena. Il Siface era un castrato, ovvero aveva subito prima dell’età puberale l’orchiectomia al fine di bloccare la permuta della voce, donando così al giovane un timbro meraviglioso e asessuato, in grado di combinare le migliori virtù vocali femminili e maschili.
Il noto film Farinelli, dedicato ad uno dei più grandi cantanti del periodo barocco, mostra compiutamente lo status che potevano raggiungere questi cantanti nel corso della loro carriera: osannati come le attuali star del pop e riccamente retribuiti, si esibivano nei più grandi teatri europei. Figure di grande fascino e veri e propri oggetti del desiderio, anche erotico, per le nobildonne dell’epoca. Desiderio che talvolta poteva essere appagato, in quanto l’intervento chirurgico pare potesse, in alcuni casi, preservare la virilità. In ogni caso è certo che Siface intratteneva una qualche relazione con la nobile bolognese Elena Marsili.
Come ricorda Girolamo Baruffaldi nella sua opera Istoria di Ferrara a proposito dello spettacolo del 1697, il maturo cantante, non appena finito la sua performance vocale presso la chiesa dello Spirito Santo, si mise in viaggio per Bologna, dove era atteso per una nuova rappresentazione. Imboccata con la sua carrozza l’antica via Imperiale, non appena superato il Passo del Reno fu fermato da un gruppo di uomini. Come riferiranno il cocchiere e il servitore, gli aggressori sussurrarono qualche parola al cantante, per poi ucciderlo sulla «pubblica via a furia d’archibugiate». Si appurerà in seguito che si trattava di sicari mandati dai fratelli della nobildonna che si volevano vendicare della disonorevole relazione della congiunta. Questa, in quanto vedova, era infatti tornata sotto la loro tutela. Dopo il solenne funerale nella chiesa ferrarese di San Paolo, i mandanti furono punti con un breve esilio mentre Elena, di lì a pochi anni, fuggì dal convento nel quale era stata rinchiusa.
Storie queste di amori socialmente condannati che coinvolsero anche musicisti, sia come vittime che come carnefici, e che spesso ebbero come epilogo un femminicidio: contraddizioni di una società che idealizzava la donna nell’arte, ma la emarginava e soggiogava nel vissuto quotidiano.