Il sito del suo progetto recita così: “Minime Differenze è un progetto di giochi urbani e pervasivi. Esperienze che catapultano fuori dall’ordinario.” Dietro a queste frasi c’è Beatrice Sgaravatto, una creativa che molti avranno conosciuto in questi anni a Ferrara, perché ha organizzato svariati eventi per le strade cittadine. Giochi urbani appunto, da fare solitamente all’aria aperta, con un format originale e capace di incuriosire giovani e meno giovani.
Beatrice, come nasce il nome Minime Differenze?
Ciao! Minime Differenze inizialmente si chiamava Be Urban, con quel nome ho lavorato un paio d’anni organizzando cacce al tesoro per gli universitari nei mercoledì sera ferraresi. Volevo creare un contesto “urbano” per far conoscere la città e gli abitanti agli studenti fuori sede e viceversa. Con il tempo la mission è cambiata in voler creare curiosità rispetto al mondo che ci circonda e con questa consapevolezza ho cambiato anche il nome del progetto.
Il nome Minime Differenze si riferisce proprio ai due elementi cardine della curiosità: l’interesse e l’emozione.
Si pensa spesso che per suscitare interesse servano investimenti stratosferici ma non credo sia così, credo basti un piccolo cambio di prospettiva, una minima differenza, basta toccare un solo pulsante giusto e si può accendere l’interesse di qualcuno su più o meno qualsiasi argomento.
Per quanto riguarda l’emozione invece il ragionamento è legato all’empatia. Ci emozioniamo con ciò con cui riusciamo a empatizzare e spesso si pensa che impossibile farlo con tutti ed emozionarsi per le storie degli altri, perché siamo molto diversi e impossibilitati a comprenderci. Sono invece convinta che questo sia un bias e che, anche qui, le differenze che ci separano siano minime.
Ma concretamente di cosa si tratta?
È un progetto di giochi urbani che nasce a Ferrara durante il mio percorso di triennale. All’epoca (nel 2010 circa) le serate universitarie non si svolgevano tra i locali di Carlo Mayr, ma sui gradini del Duomo tra chitarre, tamburi, balli e chiacchiere. Pareva che tutta la popolazione giovane della città si mescolasse, ma sembrava anche che ferraresi e fuori sede rimanessero divisi. Volevo capire il perché e mischiare un po’ le carte. Così, con l’aiuto di alcuni amici, ho creato Seekers, una caccia al tesoro notturna in cui ci si iscriveva senza conoscere gli altri componenti della squadra e in cui si andava a visitare locande, bar, piazzette della città, risolvendo enigmi, svolgendo prove, assaggiando cocktail, intervistando sconosciuti. Nel 2013 ho poi conosciuto la realtà milanese Urban Games Factory, è stato amore a prima vista. Grazie a loro è iniziata la vera evoluzione di Minime Differenze, impostata in modo professionale e ragionato.
Nel tuo sito si legge che organizzate “giochi urbani e pervasivi”, cosa significa di preciso?
I termini derivano da un filone americano che ha prodotto esperienze fenomenali a partire dal 2008. Un gioco pervasivo è un’attività ludica che sfrutta i normali spazi e oggetti quotidiani per creare una narrazione attiva da parte dell’utente, invitandolo a vedere la realtà con una forma alternativa e a interagire con essa secondo modalità che escono dai normali schemi. Per capirci: un’escape room è un gioco pervasivo. I giochi urbani sono una branca dei pervasivi e hanno come terreno di gioco la città o porzioni di essa. Il geocatching è un gioco urbano, ma anche nascondino e guardie e ladri lo sono, se giocati nello spazio pubblico.
Durante gli anni mi sono specializzata nel produrre giochi in cui rimaniamo sempre gli stessi e le stesse, ma veniamo catapultati in un mondo “altro”. Ho creato format per aziende e per le pubbliche amministrazioni, ma non ho mai abbandonato il rivolgermi direttamente al pubblico, che è ciò che mi piace di più. Per amor di brevità cito solo due format, entrambi svolti quest’anno: Robot Love, che è una sfida fotografica con robottini fatti di materiale riciclato, e La città nascosta, un’escape room che ti fa esplorare varie città d’Italia direttamente dal tuo divano, acquistando l’esperienza direttamente dal sito internet.
La città nascosta mi attira molto, tra l’altro si può giocare anche in gruppo e a distanza, perfetto per queste giornate di pseudo-lockdown! Lo acquisto di sicuro sul tuo sito, il mix tra genere storico e investigativo mi affascina tantissimo, soprattutto i moduli su Ferrara e Bologna. Mi piace molto l’idea di gioco come attività per adulti, non relegata all’ambito infantile, è da riscoprire!
Piace moltissimo anche a me! Quando ho iniziato questo lavoro mi sono trovata un po’ in difficoltà perché ho scoperto che non ero abituata a giocare. Ogni azione che facevo era legata ad un risultato: studia per laurearti, laureati per lavorare. Questo tipo di schema mentale ti fa perdere il gusto del momento e io ero così avvinghiata a quella mentalità da non essere nemmeno più sicura di cosa mi piaceva. Su di me il risultato è stato una profonda perdita di interesse sulle attività di ogni giorno. Nel 2013 ho poi partecipato a un gioco di Urban Games Factory e mi è tornato in mente quanto è bello provare le cose per provarle, e soprattutto quanto fa bene. E ho capito questo: ci meritiamo degli spazi sperimentali, in cui emozionarci e calmarci, in cui imparare e in cui staccare, in cui poter vivere senza freni e scoprire lati di noi invisibili nel manuale di istruzioni datoci dalla società. Ci meritiamo tutto questo tanto quanto i bambini.
È interessante l’approccio virtuale delle nuove esperienze che proponi, avrai sicuramente dovuto adattarti alle norme anti-Covid rinunciando ai giochi esperienziali in presenza, riscoprendo la creatività…
Sono convita che il pensiero laterale possa salvarci in tante situazioni e ho la fortuna di aver scelto un campo molto malleabile: i giochi si basano sulla creatività e sul problem solving, progettarne uno significa mettere dei paletti a cui si vuole rispondere e costruirci attorno un’esperienza. In questo modo è nata La città nascosta, cercando di rispondere alla domanda “come costruisco un’esperienza di valore che vi porta fuori di casa rimanendo a casa?”. Allo stesso modo si è evoluto il gioco tratto da Morte di un antiquario, inizialmente pensato come un evento competitivo tra squadre. Mi sono resa conto che tradurlo in digitale avrebbe sminuito il suo valore, dato in buona parte proprio dall’indagare direttamente sui luoghi del libro, e allora l’ho riprogettato tutto, in modo da poterlo giocare in sicurezza ogni volta che si vuole.
Se penso all’investigazione mi viene subito in mente Sherlock Holmes… Che legame hai con questo personaggio? Sicuramente la curiosità è un requisito fondamentale per gli appassionati del genere…
A rispondere a questa domanda mi sento un’impostora perché adoro Sherlock Holmes, ma per lo più nelle sue manifestazioni audiovisive e ludiche. Ho sbranato i film e la serie tv, e sto completando proprio in queste settimane la seconda edizione del boardgame (che consiglio TANTISSIMO, anche se perdo sempre malamente). Dei romanzi di Doyle però ho letto purtroppo solo Uno studio in rosso e una parte di me vorrebbe rimediare. Per quanto riguarda l’immaginario dell’investigazione invece ammetto che non ho una figura precisa in mente, mi succede un po’ così, attingo a tante narrazioni ed esperienze così se me lo chiedi oggi posso risponderti Dirk Gently di Douglas Adams (sempre dalla serie tv, sempre bellissima e consigliatissima), ma domani potrebbe essere la signora Giannina, indomita perlustratrice e custode ad honorem del condominio di due cari amici.
Pensa che io invece li ho letti tutti i romanzi di Doyle ma sono un po’ indietro con le serie tv… Qual è il tuo rapporto con la letteratura?
In adolescenza ho letto tantissimo libri e fumetti di diverso tipo. All’università i saggi hanno sostituito i romanzi di finzione e per un lungo periodo non ho letto granché. Negli ultimi anni ho ampliato lo studio delle modalità di comunicazione e mi trovo a mangiare un mix di prodotti narrativi: film, telefilm, videogiochi, boardgame, libri, fumetti, social networks, opere teatrali e ovviamente giochi pervasivi. Faccio un po’ fatica a scindere queste discipline, anche perché spesso i prodotti sono ibridi e transmediali. Ho un ottimo rapporto con tutto ciò che riguarda la narrazione e allora, di riflesso, ho un buon rapporto anche con la letteratura.
Dal tuo sito vedo che hai collaborato con la casa editrice SEM per creare una caccia al tesoro “pocket”.
SEM è la casa editrice che ha pubblicato Morte di un antiquario, un giallo ambientato nel centro storico di Ferrara. L’autore, Paolo Regina, è stato il mio correlatore per la tesi della triennale e quando ho letto il suo romanzo mi sono entusiasmata moltissimo per la correlazione della trama con i luoghi specifici della città. Il libro è il primo della collana dedicata a Gaetano De Nittis, ispettore della finanza, un po’ scontroso e molto affascinante, che investiga sulla morte di Uber Montanari, vecchio antiquario ferrarese trovato impiccato nel suo negozio. Nel libro sono citati tutti i luoghi delle indagini e mi sono impuntata nel volerlo trasformare in un gioco. Ho contattato Paolo e mi sono trovata a parlare non solo con uno scrittore professionale e bravissimo, ma anche con una persona disponibile e aperta. Lui mi ha messo in contatto con SEM per poter collaborare a quella che è diventata una caccia al tesoro pocket, per investigare tra prove e indizi passeggiando tra le vie di Ferrara.
Qual è il tuo rapporto con la città di Ferrara?
Ferrara è stata la città che mi ha fatto uscire dal mio paesino di campagna, subito dopo di lei Bologna e poi Torino. L’ho amata e la amo per questo, mi ha fatto imparare molto, facendomi sempre sentire al sicuro.
Beatrice, qual è il tuo background, cosa hai studiato, di cosa ti interessi?
Mi sono laureata a Ferrara, in Scienze e Tecnologie della Comunicazione, e mi sono poi specializzata in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale (CITEM) all’Università di Bologna. Pur essendo di indole piuttosto pigra, nel mentre ho fatto una marea di lavoretti, dal bagnino di salvataggio alla cameriera, dalla promoter all’animatrice per bambini, e di corsi di diverso tipo, teatro (al CTU di Ferrara con l’immenso Michalis Traitsis), fotografia, marketing. Dal 2013, quando ho capito la strada che volevo intraprendere, ho investito tutto nell’imparare a produrre giochi urbani, che detta così sembra una cosuccia, ma significa davvero avere un approccio multidisciplinare approfondito. Oltre che di game design bisogna intendersene di normativa degli spazi pubblici, diritto del lavoro, forme tributarie, pubblicità e social network, di antropologia e psicologia, di produzione audiovisiva, di sceneggiatura e scenografia, senza parlare di tutta la parte di project management vero e proprio, con pianificazione del budget, delle risorse e delle tempistiche, e della non scontata gestione dell’imprevisto. Mi sento di essere ad un decimo delle cose che vorrei sapere e saper fare, ma non cambierei attività per nulla al mondo: gestire un progetto di questo tipo essendo l’unico responsabile ti crea un’attitudine mentale difficilmente raggiungibile in altro modo, impari a cavartela in molteplici contesti e, e se lo scopo che vuoi raggiungere è quello che ti piace, la fatica è sempre sostenibile.
Ci spoileri qualche dettaglio di un progetto futuro di cui puoi parlarci?
Spoiler segreto, che conoscete in anteprima solo voi che leggete: è in cantiere un gioco gigantesco per la notte di Capodanno, si potrà giocare da qualsiasi città e in qualsiasi situazione, a prova di ogni imprevisto! A brevissimo usciranno le informazioni ufficiali sul sito e sulla newsletter. Se siete incerti su cosa fare quella sera iscrivetevi senza impegno, spesso invio anche giochi gratuiti per alleviarci in questo periodo storico così bizzarro. Trovate tutto sul sito www.minimedifferenze.com