Chi ricorda il Lanificio Hirsch? In effetti oggi questo nome potrebbe risuonare poco, ma si tratta di uno dei primi e più importanti maglifici italiani, un vero e proprio fiore all’occhiello per la Ferrara di inizio Novecento. L’azienda è stata inaugurata in via Fondobanchetto nel 1885, si è trasferita e ingrandita nel 1909, spostandosi in via Aldighieri, ed è stata chiusa nel 1939, requisita dal regime fascista. Impiegava centinaia di operai, soprattutto donne, e poteva contare su una serie di altri stabilimenti sparsi nel territorio, dal vicino laboratorio allestito fuori Porta Reno fino alle succursali di Comacchio, Copparo e Bondeno.
Per recuperare e restituire alla memoria collettiva questa straordinaria vicenda imprenditoriale, l’associazione Ilturco ha iniziato a realizzare un documentario in cui confluiranno fonti d’archivio e ricordi familiari, raccolti grazie alla call diffusa a novembre. Gli sviluppi della ricerca, insieme a una breve anticipazione video, verranno presentati online giovedì 31 dicembre alle 17, in diretta dalla pagina Facebook de Ilturco.
Per i lettori di Filo Magazine più curiosi, e per chi preferisce arrivare un minimo preparato all’appuntamento, la responsabile del progetto Licia Vignotto ha preparato 10 pillole, sul modello della celebre rubrica della Settimana Enigmistica.
Forse non tutti sanno che…
- La lavorazione della lana a Ferrara non è esattamente recente. Vi siete mai chiesti come mai in pieno centro storico si trovano strade come Via Cisterna del Follo e Via delle Chiodare? Nei pressi dell’attuale rotonda di piazza Medaglie d’Oro si trovava già in epoca estense una pozza d’acqua, che veniva raccolta e utilizzata per follare la lana, ovvero per farla infeltrire. Le chiodare erano le tavole di legno dove la lana bagnata veniva appesa ad asciugare. E finalmente trovano senso anche le pecore che brucano l’erba del sottomura!
- Già nel Settecento e con più forza all’inizio dell’Ottocento vari personaggi ferraresi vorrebbero aprire delle industrie tessili, più che altro per evitare di dovere sempre importare da altre città i prodotti finiti, ma in pochi danno loro retta. Dalle pagine dell’Eridano si lamenta nel 1862 Gaetano Sogari, chirurgo e dentista che aveva accumulato una discreta fortuna: «E sì che capitalisti in Ferrara non ne mancano! I quali tengono giacente ed infruttuoso del denaro che potrebbe essere messo in circolazione, mediante savie e prudenti speculazioni».
- Il primo Hirsch ad arrivare a Ferrara si chiama Seligman: è un ebreo tedesco, originario del Würtemberg, che si trasferisce qui all’inizio dell’Ottocento, per scappare da vessazioni antisemite. Purtroppo non sarà l’ultimo Hirsch costretto a cambiare Paese a causa della propria religione.
- Il Lanificio Hirsch apre grazie all’operosità di Carlo, nipote di Seligman. Carlo aveva cominciato a lavorare da ragazzino. Inizialmente gestiva una quarantina di donne impegnate in un laboratorio artigianale, in via Contrari, che produceva berretti.
- Il salto di qualità – che trasforma la piccola azienda di famiglia in una delle principali e più famose maglierie a livello nazionale – è l’acquisto delle mirabolanti macchine Rachel. Carlo si reca di persona in Germania, ad Apolda, per studiarne il funzionamento ed è il primo italiano ad acquistarle. Il loro nome è un omaggio a Elisabet Rachel Felix, cantante e attrice di fama europea, notissima e apprezzatissima, soprattutto per la sua interpretazione di Fedra.
- La ditta Hirsch produce di tutto: berretti, sciarpe, maglie da ciclismo, costumi da bagno, vestiti per bambini. La merce per cui è più famosa e ricordata però sono gli scialli ricamati, “uso Berlino”.
- Il lanificio impiega centinaia di donne, giovani e giovanissime. Per loro questa è la prima, grande opportunità di emancipazione, soprattutto perché hanno la possibilità di trascorrere molto tempo fuori casa, di attraversare la città da sole, di fare amicizia con tante coetanee. Il lavoro e l’indipendenza portano benefici ma anche rischi, per questo alcune signore della buona società creano dei Ricreatori festivi, dove si organizzano incontri e corsi di varia natura, “allo scopo di proteggere le giovani operaie e preservarle dai pericoli in cui possono incorrere nei periodi di inattività”.
- La famiglia Hirsch adotta politiche di welfare aziendale davvero innovative e precocissime. Tra le più sorprendenti: l’asilo nido inaugurato nel 1925 in via Cittadella, in corrispondenza dell’attuale palazzo dell’Inps, per accudire i figli dei dipendenti. Le operaie potevano assentarsi dal lavoro per allattare i loro bambini.
- Renato Hirsch, che nel 1923 eredita la ditta dal padre Carlo, rifiuta qualsiasi rapporto con i locali esponenti del regime fascista. Non espone il tricolore fuori dallo stabilimento nell’anniversario della marcia su Roma, non assume operai raccomandati, non si presta a favori. Per questo già nel 1925 viene pesantemente minacciato a mezzo stampa, dalle pagine del Corriere Padano. Come risponde? Non risponde, ma inizia tutte le sere a passeggiare avanti e indietro sul Listone, con una rivoltella infilata nella cintura, per vedere se qualcuno davvero ha il coraggio di sfidarlo.
- L’attività del Lanificio Hirsch si conclude nel 1939, quando la fabbrica viene requisita dai fascisti, prima che siano formalmente entrate in vigore le norme che decretano l’esproprio dei patrimoni appartenenti agli ebrei. Sarà questa gravissima perdita ad allontanare Renato Hirsch dalla città? Assolutamente no. Ma questa è un’altra storia…
1 commento
Da anni non ricevo più filo magazine tanto che pensavo non esistesse più!