

“Siamo tutti matti!” e per fortuna oserei dire. Il “matto” in fondo è il diverso per eccellenza e non è forse la diversità a renderci unici in questo mondo? In francese, nel gioco degli scacchi, l’alfiere viene chiamato “le Fou”, il matto, per la sua portata e la capacità di mosse improvvise. Nei mazzi di carte da ruba mazzo o scala quaranta c’è il Jolly o Joker, in italiano spesso “la matta”, una carta diversa dalle altre che, nei giochi in cui è contemplata, garantisce possibilità maggiormente variabili.
Del “matto” si è avuto, e spesso ancora si ha, paura. Non tanto, o non solo, per le patologie a cui questa parola può essere connessa ma per la sua diversità. E oggi, come ieri, sappiamo bene quanto le diversità ci facciano paura. In fondo la Rivoluzione Francese ci ha dato un grande lascito ed égalité è la seconda delle tre parole con cui tutti la ricordano (Liberté, Égalité, Fraternité). In quel caso il riferimento principale era all’uguaglianza di fronte alla legge che poi nel tempo si è trasformato in una delle frasi che ha segnato la nostra educazione, “gli uomini son tutti eguali”. Ora, in questa frase manca qualcosa, “gli uomini sono tutti uguali nelle loro diversità” è un concetto più complesso ma più affine allo spirito che permea anche la Costituzione italiana.
E a ricordarci la bellezza della diversità ma anche, e soprattutto, l’importanza di non segregare il diverso, ci ha pensato la settimana scorsa Ferrara Off con una giornata interamente dedicata ad Antonio Slavich dal titolo “Siamo tutti matti!”. Antonio Slavich (1935–2009) è stato uno psichiatra e politico italiano, collaboratore del più noto Franco Basaglia e impegnato nella trasformazione metodologica dell’approccio alla psichiatria in Italia.
Dalle dieci di mattina fino alle dieci di sera (circa), all’interno dello spazio culturale dedicato a Slavich stesso, si sono alternate testimonianze, lezioni d’arte, letture, musica e film. Un esercizio di memoria sempre utile in un mondo in cui troppo spesso si dimenticano gli orrori del passato. E proprio quello dei manicomi è stato un orrore, con gli elettroshock, le camice di forza, la ghettizzazione. Pratiche che servivano non tanto a curare il paziente ma a isolarlo dalla comunità circostante in modo che questa non vedesse il diverso, il pazzo, l’escluso.

In mattinata le letture tratte da testi dello stesso Slavich a cura di Giulio Costa, intervallate da immagini che riportavano agli anni in cui un Don Quijote di nome Franco Basaglia, trasformava il mondo della psichiatria partendo dalla provincia. La linea guida era, in fondo, quella di ridare uguaglianza, evitare gli elettroshock, aprire i cancelli dei reparti e anche quelli delle celle (pardon camere) in cui erano segregati i pazienti. Accanto a lui, fin da subito, un giovane Antonio Slavich che con Basaglia collaborò a Gorizia e Parma per poi approdare a Ferrara innovando l’approccio al disturbo mentale.

Le testimonianze scritte vengono accompagnate da quelle dirette di chi ha conosciuto e ha collaborato con Slavich. Una tavola rotonda vede tra i protagonisti Horacio Czertok che insieme a Cora Herrendorf portò il teatro in via della Ghiara e al San Bartolo, Luigi Missiroli e Adello Vanni (collaboratori di Slavich), Anna Quarzi (Presidente dell’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrra) e Paolo Zappaterra, fotografo che con i suoi scatti è riuscito a immortalare scampoli di un cambiamento epocale. Non molto spesso si ha la possibilità entrare in una macchina del tempo rivivendo quel cambiamento attraverso le testimonianze di protagonisti diretti. Testimonianze emozionanti e piene di umanità, accompagnate da video d’epoca capaci di mostrare la forza e la caparbietà dei protagonisti.
Molte delle obiezioni che si facevano allora, magari in merito al ritorno a casa di due pazienti, sono le stesse che si potrebbero fare oggi pensando al proprio quieto vivere, alla propria “normalità” piuttosto che al bene altrui. Forse proprio questo è lo scarto più impressionante: la riforma Basaglia, oggi celebrata, ha prodotto un cambio epocale all’interno delle strutture ma quanto questo cambio è stato assorbito dal popolo? In quanti, ancora oggi, sarebbero disposti a mettere una camicia di forza (o dare una pillola) a un paziente psichiatrico per non occupare ore del proprio tempo a calmarlo?

Il più grande merito di questa giornata dedicata a Slavich, è stato forse proprio quello di riaprire gli occhi su un argomento non più al centro dell’attenzione. La stessa riforma Basaglia, così fondamentale nella storia di questo Paese, non è sufficiente senza memoria. Non è sufficiente senza un lavoro costante e continuo che la porti avanti, non solo nei centri specializzati ma anche nella cultura popolare. Servono giornate come questa, perché l’opera portata avanti da Basaglia e Slavich non è affatto terminata. La legge n. 180 del 1978 è stato un punto di partenza, non un punto di arrivo, non ci si può accontentare degli ottimi risultati raggiunti. Si deve proseguire attraverso la memoria e la pratica affinché ci si possa, come dice Slavich, liberare “da soli del vostro manicomio, pubblico, privato o personale”.
Nato nella campagna della bassa ferrarese, dopo la maturità mi trasferisco nella Dotta per studiare storia. Per fortuna o purtroppo mi appassiono all’antropologia, in particolare ai nativi americani, e mi trasferisco a Madrid per completare gli studi. Tornato in Italia inizio a scrivere, prima di cronaca poi di teatro. In futuro chissà…