È il 15 novembre 1943, quando, davanti al muretto del Castello Estense, i fascisti fucilano undici concittadini come rappresaglia per l’assassinio del federale Igino Ghisellini. Ieri ricorreva l’anniversario di quel drammatico eccidio del Castello Estense, che le pagine de “Una notte del ‘43” di Giorgio Bassani raccontano in modo lucido ed eterno, restituendo al lettore il clima arbitrario e di terrore di quel ventennio che ha segnato la nostra Storia.
Ed ecco allora che, mai come in questo tragico momento, la Memoria ricopre un ruolo essenziale: insegna ad essere uniti, nonostante la distanza, nel rinnovare il dolore; e insegna a tenere sempre vivi i ricordi, il vero tessuto della nostra identità sociale. La memoria storica è un bisogno, prima che un dovere, per prendere coscienza, per non commettere in futuro i medesimi errori del passato. Ricordare, in un momento di grande fermento e profondo disorientamento nazionale, serve per non dimenticare che esistono tante forme di discriminazione, di cui ci rendiamo autori spesso senza rendercene conto, giustificandole sulla base della necessità, della comodità o per futili luoghi comuni.
La Storia ci insegna come la paura possa trasformare le persone, trasportarle sin dentro le profonde viscere dell’egoismo, dell’opportunismo e dell’indifferenza. Esattamente come il paralitico farmacista Pino Barilari de “Una notte del ‘43” che, testimone involontario, resta attonito tra il vetro e la tapparella della sua casa, a guardare i suoi concittadini essere fucilati solo perché ebrei. Per poi richiudere la finestra, spegnere la luce e portare con sé tutta la sua noncuranza.
Bassani evidenzia uno dei cancri più profondi della nostra società: l’indifferenza. L’inconsapevolezza della realtà in cui si vive, l’incapacità di analizzare in modo critico l’attualità, sono germi difficili da estinguere e troppo convenienti da sviluppare. L’assenza di una coscienza collettiva, porta ad una tacita accettazione del contesto che ci circonda, divenendo complici delle scelte sbagliate di chi ci governa.
Il ricordo vivo di questo eccidio, riveste un pathos particolare, di immortalità. È una memoria concreta, eterna, universale. Ci può aiutare col passare del tempo a sentire la Storia come una materia viva e non come qualcosa di distante, remoto, passato. Ed è proprio a questo terribile rischio che dobbiamo far fronte: il pericolo che la Memoria possa diventare appunto una sorta di scavo archeologico a cui tendiamo ad attaccarci, sforzandoci forse di capirne il significato profondo.
Ricordare il 15 novembre a Ferrara permette di elaborare e mettere a punto una nostra facoltà di ricordare e prendere consapevolezza sulle scelte dell’attualità.