Due metà di vita, per chi scrive: il primo concerto di sempre in una Ferrara diversa, ancora da scoprire ed esplorare, all’interno di un ormai scomparso Zoo Animal Sound che fu per un attimo il centro del mondo musicale cittadino, con i Subsonica nel loro primo istante di numeri uno, da indipendenti, per il tour di Amorematico.
Diciotto anni dopo, sul palco di Piazza Trento e Trieste, nuova sede dei concerti estivi nell’attesa del ritorno di Ferrara Sotto le Stelle, Samuel irromperà mercoledì sera sul palco con il suo Golfo Mistico Tour, forte di un nuovo singolo (“Tra un anno“) e di un secondo album solista in arrivo nel 2021, nonchè dell’esperienza televisiva come giudice di X-Factor nella scorsa edizione.
Nell’attesa di questa serata, abbiamo potuto intervistarlo per una profonda conversazione sul suo percorso musicale e su una estate diversa da tutte le altre.
Sei appena tornato con un nuovo singolo che tra le righe recita alcune frasi: “mi chiedo sempre cosa farò / tra un anno […] / avremo ancora qualcosa da dire / […] sapremo ancora graffiare le braccia”. Dopo questo lungo percorso e le esperienze nuove che hai scelto negli ultimi anni, dall’album solista a Sanremo fino a X-Factor: come ti vedi tra un anno?
Le esperienze nuove sono il fulcro del lavoro di un artista, di qualunque genere sia. Il cercare di non riprodurre un clichè che ha funzionato è il dovere (e il piacere) di un artista. Non so cosa succederà tra un anno, come spero non lo sappia la maggior parte di coloro che svolgono il mio mestiere: è il gesto più onesto che puoi fare, fondamentalmente. Parlando di sperimentazione: tu puoi avere una luce, una direzione, puoi cercare di mettere insieme le cose che più ti piacciono ma non puoi sapere quello che succederà nemmeno tra un minuto.
Parlando di queste esperienze hai detto: con X-Factor ho fatto una cosa che temevo mi potesse piacere; con il mio album solista, nel percorso con Michele Canova ho scelto un produttore forte, che mi facesse uscire dalla mia confort zone. La tua idea di processo creativo è quella di metterti in difficoltà?
È sicuramente un meccanismo che metto in pratica. So di essere una persona che tende alla comodità, il mettermi in una situazione complicata è il modo in cui gestisco la mia attitudine, questo mio flusso mentale.
Ho deciso di lavorare con Michele Canova non solo per mettermi in difficoltà ma anche perchè è uno dei più grandi produttori italiani di musica pop e quindi per avere il piacere di lavorare con una persona della sua abilità e conoscenza. In più volevo stare in un ambiente estremamente pop, volevo andare in quel luogo che avevo frequentato solo marginalmente con i Subsonica, con le classifiche, ma non avevo pienamente conosciuto, non mi ero sporcato appieno di questa cosa: volevo rotolarmici dentro, in quel mondo.
Ho avuto la fortuna di poter collaborare con Canova e con collaboratori musicali d’eccezione come Jovanotti, sono andato a Sanremo (nel 2017, con Vedrai): volevo stare nel pop, anche perchè il pop è quel luogo che amo facendo il cantante e vivendo la forma canzone, ma che non conosco: soprattutto quello italiano, io arrivo da un mondo musicale più stratificato, diverso da quella realtà.
X-Factor è un luogo che alla fine mi è piaciuto: fondamentalmente mi sono approcciato a questa cosa non pensando di andare a fare della musica ma cercando di andare a imparare un linguaggio nuovo, quello televisivo. La musica vera non si fa ad X-Factor: la musica vera si fa sui palchi, negli studi di registrazione, nelle cantine dove i ragazzi provano. È un programma televisivo, un programma dove vai a raccontare la televisione e allo stesso tempo il racconto di uno spaccato della società italiana usando la musica come pretesto. Io volevo imparare quel linguaggio, confrontarmi con una lingua nuova, conscio che ogni lingua nuova che impari servirà nel futuro.
E mi è piaciuto perchè ha innescato in me un meccanismo empatico con i ragazzi: io non ho figli, non ho mai provato cosa volesse dire avere un senso di protezione per un’altra persona così forte, ovviamente non sarà mai una esperienza analoga all’essere genitore ma mi ha fatto provare quel senso di empatia, quella voglia di proteggere. Anche il gesto emotivo che ti fa crescere dentro è una cosa molto apprezzabile che ho amato di questo percorso.
In questi lunghi anni di carriera nella discografia sono accadute tante cose che hanno cambiato il modo di approcciare l’ascolto alla musica, dallo streaming alla tipologia di audio; il concetto stesso di album si è un pò disgregato. Tu da autore sei ancora legato al formato album o pensi che abbia senso ragionare in termini di ep, canzoni singole e di una comunicazione più frequente e ricorrente?
Io amo il concetto di album perchè arrivo da quella generazione lì. La mia generazione è cresciuta immergendosi completamente nel mondo di un artista e mi sento di essere così e che farò per sempre così. Detto questo già qualcosa è cambiato: per esempio questo momento così folle e rocambolesco ha mutato notevolmente il mio atteggiamento alla discografia.
Una volta realizzavo il disco, uscivano i singoli e poi si andava in tournèe. Adesso mi ritrovo ad avere alle spalle venti date, un singolo uscito durante il tour, un altro che uscirà a breve e poi un album; molto probabilmente dopo l’album farò due o tre concerti per promuoverlo ma poi mi fermerò. Questo momento storico mi ha fatto cambiare il mio meccanismo di lavoro.
Però io amo i dischi, amo prendere un artista alla volta e sviscerarlo ma la verità sta sempre in ognuno di noi: io sono fatto così e quella per me è la verità, non necessariamente è uguale per un’altra persona. È diverso per un ragazzo giovane che sta crescendo ai tempi di Spotify, in cui l’atteggiamento è più di ricerca, l’ascolto è anche un lasciare andare le canzoni partendo da una musica che piace e lasciandosi trasportare, un pò come era il vecchio negoziante di dischi, solo che oggi questo negoziante è l’algoritmo.
Un algoritmo che comunque si può gestire e influenzare e l’unica cosa che posso dire è che oggi ci vuole molta più attenzione: magari fai partire una musica che ti piace e ti ritrovi con qualcosa che non apprezzi e la stai comunque ascoltando. È richiesto più impegno. Quando invece scegli un artista e inizi ad ascoltarlo, sai che rimani all’interno di una tua scelta.
Riguardo a questi mesi siamo stati tutti un pò obbligati a cambiare i nostri piani e metodi di lavoro. Mi chiedevo se in questo momento storico le parole, il linguaggio non siano più importanti di prima. Nel tuo libro hai scritto “tutti gli autori hanno dovuto fare i conti con questa corrente, sono dovuti passare dal concetto di complessità come bellezza, al concetto di semplicità come bellezza.” Questi mesi recenti influenzeranno la tua scrittura?
Sai, i cambiamenti ci sono sempre e non smetteranno mai di esserci. Un evento come quello che abbiamo vissuto è talmente radicale e toccante che farà parte della vita di tutti e gli artisti in qualche modo sono delle antenne che li percepiscono prima degli altri e li raccontano. Il mio meccanismo di scrittura non cambia: io mi faccio colpire da quello che ho intorno, dalla casualità, dal mio gesto istintivo e insieme questi elementi trovano un equilibrio; mi confronto con delle persone esterne che mi danno i loro giudizi e mi rimbalzano il loro giudizio sul quale io mi metto in discussione. Ovviamente il momento storico che ci troviamo a vivere metterà in atto dei cambiamenti e delle riflessioni.
Parlando del concetto di bellezza (il primo album solista di Samuel si intitola “Il codice della bellezza”) sia a livello di ascolti che di visioni, sapendo quanto tu sia interessato alla regia, quali sono le cose che più ti hanno colpito o a cui ti vuoi ispirare?
La bellezza: ci sono tantissimi modi per raccontarla. È qualcosa che quando la guardi ti fa venire voglia di stare bene, di averla, di viverci dentro, di farne parte. Qualsiasi cosa abbia queste caratteristiche io la reputo bellezza e cerco di farla entrare nel mio mondo. Il cinema è un amore che ho da sempre e come linguaggio utilizzo: ho la fortuna di essere nato in un periodo storico in cui si facevano ancora i video.
Ovviamente si fanno ancora ma con budget minori, ci sono meno possibilità di poterlo fare diventare un gesto completo, però si riesce sempre ad avere l’occasione di metterlo insieme alla musica, che quando si unisce all’immagine può generare delle vere sorprese. Questa cosa mi tocca sempre molto e quando c’è da realizzare un video mi metto sempre dentro al progetto, disturbo l’azione dei registi, cerco di farne parte e ad oggi questo procedimento ha sempre funzionato.
In qualche modo anche sul palco, il fatto di essere rientrato in scena, nel nostro caso di suonare domani in una piazza che tra l’altro prima di questa estate non era sede di concerti, fa parte del concetto di ricerca di bellezza e di emozione?
Questa estate così rocambolesca, a cui non nessuno avrebbe dato una lira, per me è stata incredibilmente bella. Si è trasformata in una estate di lavoro pazzesca e soprattutto, proprio per i problemi che ci sono stati, molte persone hanno riscoperto dei luoghi che erano rimasti inutilizzati per anni, dei luoghi spesso pazzeschi. Io giro l’Italia da trent’anni in maniera importante e questa estate ad esempio nelle date di Roma o Arezzo mi è capitato di scoprire luoghi incredibili, dove non avevo mai suonato.
Questo periodo così drammatico ha avuto anche il merito di portarci fuori dai soliti circuiti, portarci a vedere cose nuove, ad emozionarci anche un pochettino di più per la visione di persone che stanno su un palco a suonare. Sono un eterno positivo, anche se quest’anno questa parola non dovrebbe essere utilizzata (ride, Ndr) e questo è un momento terribile e drammatico di lontananza, di distanziamento, eppure a me ha insegnato tante cose e mi ha dato tanta voglia di fare.
INFO:
Samuel live @ FERRARA SUMMER FESTIVAL
Mercoledì 23 Settembre, Piazza Trento e Trieste, Ferrara.