La prima parte del racconto si trova qui.
Capitolo 3. Un’eterna nottata.
Quanto dolore può fare un muro.
O una finestra o un balcone o una stretta porzione di strada.
In questo momento è tutto, quella distanza, nel mio caso tre, forse quattro metri che pure appaiono non raggiungibili.
Se guardo indietro, penso alla città, ad una Ferrara che mi si mostra dai vari balconi e finestre come immobile, le mura lontane ma riconoscibili che non raccontano più storie di corse o passeggiate.
Nella via, rari anziani con animali (d)a passeggio camminano sprezzanti del pericolo e delle leggi, mostrando quel senso di immortalità che appartiene alle età dell’incoscienza, quella in cui siamo adolescenti e quella in cui siamo vecchi, parola che ormai è brutta anche da scrivere.
Era una volta in piazza, mi ha scritto.
In ogni vita di questa città ci sono persone da tante volte in piazza: aperitivi, bar, un film al Boldini o all’Apollo, un concerto in qualche luogo ormai chiuso o ancora aperto.
Amici, certo, o un paio di amori dimenticati, sicuramente dentro alla categoria “tante volte in piazza” perché una relazione, a Ferrara, prima di questo virus, era nel centro della città, studentesco, vivibile, raccontato come quasi dominato da una movida in realtà così piccola, diventata folla solo per la sproporzione che contraddistingue ogni piccola città nel sentirsi centro del mondo.
Ferrara una volta era New York, si è scritto su un muro che forse ho percorso con questa persona, ma solo una volta.
Quello che non capisco è il perchè questo momento sia stato una sola volta, eppure possa essere ora il collante più grande di una vita passata.
Raramente trascorriamo istanti memorabili che non lascino tracce in un rapporto profondo.
Che certo magari, col tempo, si sfilaccia in mille brandelli di delusione, ma non è una sola volta, non è mai così.
In una mattinata che diventa pomeriggio, che per me è iniziata alle quattro del mattino, getto ogni freno e seguo l’unico istinto rimasto.
“Raccontami di quella volta sola, in piazza, faceva caldo hai detto, la città era diversa. Chi eravamo noi?”.
Capitolo 4. Nel silenzio.
La risposta arriva il giorno dopo, quando la luce sfuma e diventa oscurità.
“Ma tu, nemmeno lo sai di essere stato in quel ruolo. Eri con una ragazza, io ero l’amica e poi c’era l’altro, nemmeno mi piaceva, ma ho finito per starci assieme per quattro anni.
Ma non è questo il punto: era una sera di luglio e c’era un concerto a Ferrara Sotto le Stelle, un concerto come quest’anno forse non faranno, vuoi per il virus, vuoi perchè il mondo cambia o è già cambiato.
Io non avevo il biglietto, nè la voglia, tu entrambi, abbondanti per chiunque e con l’entusiasmo di una serata di gruppo ci avevi convinti tutti.
Come ad ogni concerto, specialmente se non ci si conosce, non abbiamo vissuto tanto assieme.
Ci siamo incamminati in piazza, ognuno parlando con chi conosceva di più, abbiamo atteso stancamente in quel parlare che è solo silenzio verso l’attesa della musica.
Ma quando è partita ero sola, felice, estatica.
Altalene di emozioni mi hanno trafitta per due ore, quasi fosse come sentire una lingua nuova, capace di esprimere sentimenti diversi.
E ho pianto per diversi minuti, saltato mille volte, applaudito sempre più forte, sorriso come non mai, sono stata muta come non pensavo fosse possibile quando tutti lo hanno fatto, mi sono sentita straniera e poi parte del tutto, ospite e poi a casa, ho perso e ritrovato gli sguardi di voi attorno ma ero sul palco.
Non ci sono più state sere assieme, per mille motivi, ma quel tuo entusiasmo mi ha lasciato una relazione inutile di quattro anni, ore di suoni incredibili nelle orecchie, una coda di esperienze conseguenti, con lui o con amici o da sola.
E un biglietto, appeso alla parete, magari come te.”
Osservo quella grande doppia bacheca in sughero, colma di biglietti conservati e di tanto in tanto scoloriti.
Non ho bisogno di un nome scritto, so di quale sera parliamo.
Lo stacco e ci aggiungo con un piccolo messaggio.
“Ricordo di avere pensato nel mezzo del concerto, dopo averti vista per un istante gridare, vorrei che la persona che mi sta a fianco avesse quegli occhi pieni di luce: è questa la magia, non lo stare assieme all’interno di una relazione. Poi mi sono spaventato di quel pensiero, troppo vero e l’ho messo in un cassetto. Stasera alle 21.30, come quella sera, esco in balcone e accendo quel disco portato in tour durante quella estate. Scegli tu se uscire o meno, ma non diciamoci nulla.
Poco prima dell’ora stabilita, ancora un rumore spaventoso, quasi che la distanza da colmare sia ben più grande di quella necessaria a portare un foglio da un balcone all’altro.
“Va bene, proprio come quella sera, ti seguo.”
Distanti tre o forse quattro metri, una cassa si è accesa e non ci siamo detti una parola.
Abbiamo guardato in alto, altrove, gli occhi in una luna sfuocata.
Al termine un silenzio diverso da prima, come se tutto fosse cambiato.
In fondo, era solo un grande vuoto da riempire.
Intorno Ferrara sembra già diversa.
1 commento
Bello
Mi piace tra presente e passato
Complimenti