Lo sapevamo tutti che c’era qualcosa di sbagliato in noi studenti del DAMS. Noi svogliati, che “abbiamo scelto una facoltà facile” perché “non avevamo voglia di studiare”. Dicerie? Dite? Non crediamo più a questi stupidi pregiudizi, no? Eppure è il 2020 e ancora gli operatori culturali sono delle macchiette, la barzelletta dell’economia globale.
Perché noi ci divertiamo, occupiamo il tempo in una maniera così affascinante che non può essere un lavoro vero! Ma, lasciatemelo dire, lo è; è un lavoro con tutti i suoi scazzi, le sue enormi difficoltà, la responsabilità e, soprattutto, la sua immensa utilità.
Gli operatori culturali studiano, molto, si specializzano, si prendono dei grossi rischi quando organizzano concerti e festival da migliaia di persone, e sono professionisti. Per uno strano circolo vizioso, non senza colpa, il settore della cultura è abituato a impieghi da freelance, spesso sottopagati, incerti, brevi, così gli operatori si accontentano di poco finché non rischiano di perdere la passione. Oppure stringono i denti, quando amano tanto, forse troppo, quello che fanno.
In questo momento siamo tutti in braghe di tela, non lo si può negare, e forse è ridondante questo mio sfogo ma, per contrastare una crisi dalle proporzioni inedite nel nostro settore, sta nascendo qualcosa di bello in città, una realtà che vorrei raccontarvi per darvi un metro di paragone, un nuovo punto di vista dal quale analizzare il sistema culturale cittadino da ora in poi. Si chiama Osservatorio Cultura Eventi Ferrara.
Forse non tutti sanno che l’ambiente culturale ferrarese, associazionistico e imprenditoriale, è uno dei più vivi e nutriti della regione. Un mosaico di piccole associazioni, ognuna con i suoi obiettivi, accanto ai colossi dell’organizzazione di eventi, ai musei, alle gallerie d’arte, ai teatri. Siamo una fabbrica di idee; menti creative, organizzative, menti preparate e sensibili. Amo questo della mia città. C’è sempre stato spazio per tutti e tutti possono trovare lo spazio giusto in cui esprimersi al meglio.
Precisazione ridondante, ma che vale la pena mettere nero su bianco: molte di queste realtà culturali locali rappresentano un consistente numero di operatori, spesso professionisti specializzati, che al momento sono inoccupati come tanti altri lavoratori dipendenti, ma che, a differenza di loro, spesso non possono godere di nessun tipo di indennizzo economico a causa delle loro singolari posizioni burocratiche. I cosiddetti “intermittenti dello spettacolo”… che non sono Laura Pausini e Vasco Rossi, ma musicisti turnisti, tecnici, backliner, direttori o assistenti di produzione, e così via.
L’emergenza Covid ci ha bloccati fin da subito perché noi siamo quelli dell’aggregazione (e dall’aggregazione dipendiamo). Così prima abbiamo perso i grandi eventi, slittati (?) da fine maggio in poi, quindi hanno chiuso i teatri, i cinema, i musei, i live club, i circoli, e così via. Solo allora, dopo una settimana o due, hanno chiuso i negozi. Lungi da me fare polemica, era giustissimo fermare le nostre attività in maniera precauzionale, ma quando mi sono sentita dire “eh, ma i negozi sono attività commerciali, perdono dei soldi!” mi si è capovolto lo stomaco. In quanti si possono davvero immaginare quanto investa una realtà culturale nell’organizzazione di un festival? Nessuno pensa che queste attività abbiano spese ordinarie da affrontare?
Siamo realtà con sedi in affitto, proprio come i negozi, con utenze da pagare, proprio come i negozi, con stipendi da saldare, proprio come i negozi. Poi esistono soggetti che hanno dovuto inventarsi qualcosa, qualche attività o campagna che li mantenga nella mente delle persone, e magari anche sponsorizzarla sui social, continuando a pagare grafico, social media manager, e team di comunicazione, probabilmente senza avere la certezza di poter portare a compimento l’evento organizzato. Senza contare chi ha perso caparre o versato anticipi (e qui parlo delle Pausini e Vasco Rossi di turno che non vengono sicuramente pagati dopo che l’organizzatore ha incassato i biglietti venduti, per la cronaca).
Ma passiamo oltre. Oggi si sprecano le comunicazioni in materia economica. Decreti cura Italia, integrazioni, precisazioni, indiscrezioni. Provate a sparare un numero: secondo voi, con quale frequenza si parla del settore cultura in questi documenti di salvataggio?
Da qui e con questi presupposti si struttura l’Osservatorio. Organizzazioni, associazioni, imprese, enti, cooperative: più di 60 soggetti di Ferrara riuniti allo stesso tavolo (pardon, piattaforma di videoconferenza) per sensibilizzare sia l’amministrazione cittadina che l’opinione pubblica, sulla crisi che il nostro settore sta per affrontare.
Oltre al consueto merito di dare occupazione a tanti giovani professionisti, il nostro contributo resta fondamentale anche per la ricaduta che garantisce alla città: avete mai provato ad andare a cena fuori durante il Buskers Festival o Internazionale a Ferrara? Si, per carità, può essere fastidioso per noi locals che volevamo solo un piatto di cappellacci da Noemi, ma qualsiasi ristorante pienissimo, lavora, assume, paga i propri dipendenti che a loro volta si permetteranno il lusso di acquistare qualcosa in un bel negozio cittadino; e questa è l’economia che circola, che migliora il nostro stile di vita in città. Così le mostre, la programmazione dei teatri, ma anche i concerti, i festival, portano utenti in città, potenziali clienti per tutti. Un inedito punto di vista, eh?
E adesso provate ad immaginarci tutti alla fine di un anno senza attività culturali. Io i cappellacci non me li potrei nemmeno più permettere, anche trovando posto da Noemi senza prenotare.
Intanto, ad oggi, Ferrara ha rinunciato ad un’intera stagione culturale tra tutte le realtà ampiamente citate; e poi perde la storica Vulandra, e le sue oltre 20mila persone (e ospiti provenienti da tutta Europa, alloggiati e nutriti presso i nostri esercizi commerciali), perde Carino Festival (che, per un’associazione che ha già perso mezza stagione musicale, a Officina MECA, significa ‘rischiare la pelle’), perde le celebrazioni del Primo Maggio (compresa quella di Contrarock, perdonatemi, ma mi tocca da vicino), rimanda Cardini Atelier Aperti, rimanda il photofestival Riaperture, e le sue 5000 presenze (vedi Vulandra), rimanda il Ferrara Film Festival e gli Open Days di Ferrara Contemporanea; rischia anche Ferrara Sotto Le Stelle, rischiano tutti gli eventi estivi, un po’ perché questa pandemia non ha un termine cronologico concordato, giustamente, e un po’ perché si teme che una buona percentuale di pubblico resti negativamente scottata dalla situazione. E come biasimarla, ognuno reagisce in maniera diversa: io, per esempio, sto grattando la porta come fa il mio gatto. Non abbiamo ancora stime precise sulla perdita economica che tutto ciò comporta ma il Comune di Ferrara ha sottoposto un questionario a 115 realtà culturali e presto temo che sentiremo un Ooh fortissimo di stupore e preoccupazione provenire dal nostro Municipio.
L’Osservatorio nasce poi per fare chiarezza sulle poche informazioni che giungono dall’alto. Maghi dell’interpretazione e professionisti del settore stanno cercando di individuare i punti a noi riferiti tra i complicati commi dei decreti, visto che difficilmente si parla chiaramente delle nostre occupazioni e attività. Senza essere troppo tecnici, è stato menzionato un Fondo spettacolo, cinema e audiovisivo, per 130 milioni di euro sul 2020, con indefinite modalità di ripartizione, ma nessuna parola sul settore degli eventi culturali e del non profit. Per il momento, si spera.
E infine, ovviamente, l’Osservatorio ha l’obiettivo di portare la voce degli operatori e degli aderenti ai tavoli istituzionali. Legacoop-Culturmedia, Arci, CNA, e altre associazioni di rappresentanza, si stanno muovendo sia a livello locale che nazionale per perorare la causa della cultura.
Tutte le azioni della rete ferrarese sono fondamentali ma, devo dirlo, ciò che mi rassicura maggiormente al momento è proprio l’esistenza della rete stessa. Partiamo avvantaggiati, in città, perché nel settore ci conosciamo quasi tutti e abbiamo già assistito a scambi e collaborazioni virtuose (la nostra bellezza resta sempre quella di riuscire a fare le cose in grande, con veri professionisti, in una piccola Ferrara). Questa volta, più di 60 realtà eterogenee, con un unico fondamentale punto in comune, ragionano nella stessa direzione. I problemi, e le relative soluzioni, che può incontrare un’associazione culturale sono ben diversi da quelli che coinvolgeranno una grande agenzia di organizzazione eventi, con i suoi dipendenti e il suo fatturato, ma entrambe hanno ragione di esistere proprio per le loro differenze e l’offerta peculiare che regalano alla città. L’Osservatorio sta dando voce all’una e all’altra, proponendo soluzioni differenti e mirate, sintetizzando, analizzando, chiedendo confronti. Questa rete è esemplare: imparare a pensare in maniera collettiva è già una piccola vittoria in questa situazione urgente e preoccupante.
Mentre scrivo queste poche righe, scorro svogliatamente le notizie di Facebook.
“Alla luce dei recenti sviluppi relativi all’andamento dell’infezione da Coronavirus e preso atto del persistente stato di emergenza che rende impossibile fare progetti per i prossimi mesi, lo Staff si vede costretto a comunicare l’ANNULLAMENTO di ROCKaFE 2020“.
Ho raccontato la storia del ROCKaFE un paio di anni fa; ho cercato di spiegare bene cosa significa questo evento per un gruppo di ragazzi, volontari, per un’intera frazione, per la città. Al di là di ogni riflessione sull’economia, sulla disoccupazione dei giovani, oltre la burocrazia, la cultura riempie le nostre vite. Un festival può avere mille significati per chi sta dietro le quinte, ma anche per chi lo vive.
Adesso provate ad immaginare una vita senza emozioni.
2 commenti
Grandioso e lucido.
Che dire di più, spiegata la realtà non solo ferrarese ma italiana, dove l’aspetto culturale resta sempre ai margini come in questa crisi che investe tutto e tutti.