“Prova, se non ti piace non ci andiamo più”.
Inizia tutto da qui. Da un bambino che tiene stretta la manona del suo papà all’ingresso di un centro sportivo. Preoccupato, timoroso, diffidente ma anche felice, estasiato, curioso di poter capire – e ve lo assicuro, a volte basta toccare un pallone per la prima volta – se quella potrà essere la passione che lo accompagnerà per il resto della sua vita. Sì, parliamo di passione, perché probabilmente quel bambino non diventerà mai un Lionel Messi, un Cristiano Ronaldo o più semplicemente un ‘normale’ giocatore di Serie C, ma la sua carriera da calciatore la vivrà nel cosiddetto ‘calcio dei poveri’, quello tralasciato troppe volte dai piani alti, quello in cui i soldi non contano – o contano poco -, quello dei campi spelacchiati, quello delle porte degli spogliatoi scrostate e dell’acqua fredda nelle docce.
Ecco, quel calcio, il calcio dilettantistico, in questo momento ha più che mai bisogno di sostegno. La crisi sanitaria che sta colpendo il nostro paese, ed il mondo intero, assumerà ben presto altri contorni, una crisi economica che costringerà diversi settori a rivedere i propri piani. E per il ‘pallone dei poveri’, soprattutto a Ferrara – provincia già abbastanza priva di risorse da questo punto di vista – non si aprono certamente scenari confortanti. La stagione attuale, nonostante non ci siano ancora comunicazioni ufficiali, si avvia verso una conclusione anticipata, perché diciamolo, un conto è che si possa ripartire in Serie A – dove giocatori, staff e dipendenti sono seguiti scrupolosamente ogni giorno – un conto è ripartire in Eccellenza, Promozione, Prima, Seconda e Terza Categoria, dove trovare un massaggiatore (non un medico, un massaggiatore…) in metà delle squadre iscritte sarebbe già un successo.
E allora, che fare in futuro? Perché si rischia una vera e propria caporetto, il dramma di questi mesi si farà sentire eccome nella prossima stagione: le risorse saranno almeno dimezzate, ed è probabilissima – purtroppo – una notevole moria di società che non riusciranno più a coprire le spese. Da questo punto di vista, poi, la situazione precedente al diffondersi di questa maledetta pandemia già non aiutava, visto che Ferrara è una delle province più povere a livello economico della regione, se non la più povera. Parliamo dal punto di vista calcistico, non ci vogliamo addentrare in discorsi più grandi di noi. Ma nel ferrarese si contavano sulle dita di una mano le società disposte ad offrire il cosiddetto ‘rimborso spese’ ai propri giocatori, perlopiù quelle militanti nei campionati di Eccellenza e Promozione, con qualche eccezione anche in Prima Categoria.
“Perché questi ragionamenti possono sembrare esagerati se rapportati ad un calciatore dilettante, e invece no, sono gli stessi fatti per un professionista, perché dove non c’è lucro, dove c’è “calcio povero”, c’è ricchezza d’altro: di passione, di amore per le maglie e di sogni che troppo spesso rimangono nel cassetto. Sono proprio questi sogni e questa passione la più grande – e forse l’unica – ricchezza del calcio dilettantistico, perché spingono i giocatori a non smettere mai, a continuare, a giocare per ciò che conta davvero: la felicità di fare ciò che si ama”.
Quali allora, le soluzioni per continuare a fare ciò che si ama? Le prospettive sono fosche, in realtà. Diverse società durante l’estate organizzavano sagre nei rispettivi centri sportivi, e con gli introiti di quelle sagre si pagava poi l’iscrizione al campionato, i rimborsi spese ai giocatori. Che ne sarà di quelle sagre? Si faranno, quest’estate? Sarebbe importante, perciò, che la Federazione – che in questi anni troppo spesso ha lasciato solo il ‘calcio dei poveri’ – andasse incontro alle società sportive, tagliando le spese di iscrizione e facendo arrivare contributi. Magari, azzerando tutte le pendenze delle società dilettantistiche verso lo Stato e iscrivendole addirittura a costo zero. Il ministro dello sport Spadafora ha già annunciato un contributo di 400 milioni per i dilettanti, un sostegno che sommato ai due provvedimenti sopracitati potrebbe rappresentare un aiuto concreto. Un’altra soluzione potrebbe essere la cosiddetta ‘fusione’ tra due realtà vicine territorialmente: unire le forze per continuare l’attività sportiva. Non sarà facile.
Chiudiamo con una citazione dal libro “Ci alleniamo anche se piove? Miserie e splendori del calcio dilettantistico”, da cui abbiamo preso anche le precedenti. Un libro che vi invitiamo a leggere (non è neanche troppo lungo, in un’ora si finisce…) perché sviscera in tutto e per tutto questo mondo troppo spesso lasciato solo, ma che è contiene al suo interno storie incredibili.
“Da una parte c’è il calcio del business, il mondo dei professionisti, dei 50mila spettatori, del tutto e subito. Dall’altra, invece, ci siamo noi e il nostro calcio. Un calcio diverso, quel calcio che io, in modo tutt’altro che dispregiativo, definisco povero. Povero perché arriva dal basso e, vuoi o non vuoi, quasi tutti ci devono passare. Qui però, in questa povertà, c’è qualcosa, qualcosa che nemmeno l’altro calcio ha. Nonostante tutto ci stia morendo intorno, nonostante l’interesse abbia prevalso sulla passione, noi ci siamo, e siamo vivi. Siamo vivi in ogni Domenica, quella che tutti – ispirandoci ad Al Pacino – definiamo la “Maledetta Domenica”. Sì, un po’ maledetta lo è. Perché diciamocelo, i calzettoni bucati sul tallone fanno male, e i sassi sul cerchio di centrocampo ti aprono le ginocchia. Maledetta, sì, o meglio maledettamente bella. Perché se sull’aspetto tecnico ne pagano il fisico e i lunedì al lavoro mezzi distrutti, sul piano della passione non c’è niente, e dico niente, che tenga. Perché nel nostro calcio, dimenticato, non c’è nessun valore materiale che ci spinga a continuare, ma lo facciamo, perché siamo innamorati. Perché anche se il massaggiatore di giorno è un falegname e le maglie sono sbiadite da molteplici lavaggi, a noi non importa. Non ci importa perché quei tre giorni a settimana per noi sono tutto. Un tutto che si racchiude in un sogno, un sogno che comincia con degli sconosciuti che poi diventano amici e successivamente si trasformano in una famiglia, quella famiglia che porta in alto per dieci lunghi mesi un sogno cominciato sotto il sole cocente”.
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