Difficile sintetizzare nelle parole che il tempo ci ha concesso una storia pluridecennale come quella di Telestense. Eppure è qualcosa che viene fatto sempre, a livello giornalistico: si riduce un fatto ad una sintesi di poche parole, un titolo e poche spiegazioni, quasi fosse sufficiente, quando in realtà è come togliere tante sfumature di colore a ciò che si racconta.
La parola che riassume molto dei discorsi fatti da alcuni dei dipendenti della televisione ferrarese è un verbo altisonante: vivere.
Lo dicono in due momenti diversi Dalia Bighinati, autrice, direttrice del telegiornale e anima di questa tv dagli anni Novanta e Daniela Melle, conduttrice ed esperta di marketing, tra gli ultimi arrivi nel team di lavoro: qui è dove vivo io. Non sembra un’iperbole, una esagerazione di quelle che si raccontano per avvicinare al mito il proprio percorso: semplicemente non dicono “ecco dove lavoro” perché qui trascorrono buona parte della loro giornata, dedicando energie e investendo tanto della propria vita. Vivono in questi studi o per questi studi.
È questa, forse, la chiave dietro cui leggere la storia di una emittente che parte come tante alla fine degli anni Settanta con la liberalizzazione delle frequenze, quando la concorrenza alla RAI iniziano a farla emittenti locali capaci di raccontare il territorio con occhi e linguaggi nuovi. Emittente che nonostante crisi e scossoni è arrivata all’anno Duemilaventi al contrario di tante realtà concorrenti che negli anni hanno chiuso i battenti.
Entriamo negli studi di Telestense a poche ore dal fatto che monopolizzerà le settimane seguenti (probabilmente i mesi, non è difficile prevederlo) ovvero l’arrivo del Coronavirus in Italia. A ricordare ora quel tranquillo e organizzato pomeriggio in redazione viene da ripensare soprattutto al concetto di servizio pubblico che Dalia Bighinati ci tiene a trasmettere.
“Guardando a questi quarantaquattro anni di vita di Telestense dobbiamo pensare a come il mondo della comunicazione abbia cambiato pelle diverse volte, arrivando oggi ad una offerta televisiva incredibilmente più vasta, con concorrenti nuovi come il web e lo stesso digitale terrestre che hanno ampliato il ventaglio degli attori in campo” – ci racconta.
Senz’altro i nostri lettori più giovani non ricordano nemmeno Ferrara senza la sua Telestense: da quando abbiamo memoria è l’unico canale televisivo che racconta la nostra provincia. Fondato a Ferrara il 3 maggio del 1976 con l’avvio di trasmissioni sperimentali, diventa testata giornalistica nel 1980 sotto la guida del direttore Alessandro Sovrani, da anni volto amatissimo delle domeniche sportive spalline, nella buona e nella cattiva sorte.
L’attuale proprietà di Telestense, R.E.I. srl, è un’azienda privata che opera nell’ambito dei media e gestisce due canali televisivi, il sito di Telestense e le sue propaggini social, da YouTube a Facebook. Quando arriva nel 1988 trova una televisione già strutturata e radicata nel territorio, in questi oltre trent’anni si succedono uno dopo l’altro cambiamenti, successi e momenti difficili.
L’offerta televisiva ha cercato di tenere il passo con la rete affiancando alla tv tradizionale il canale Youtube e utilizzando quando possibile dirette Facebook. Raccontando principalmente, per scelta dichiarata, le realtà locali e lavorando su un concetto di informazione utile, in qualche modo aderente all’idea di servizio pubblico. Quindi ecco il racconto del mondo agricolo, le trasformazioni urbanistiche e come queste hanno impattato sulla società, la cronaca della riapertura di luoghi chiave della città (come il Teatro Comunale dopo il terremoto del 2012), le interviste con i protagonisti del territorio alla scoperta delle personalità emergenti, anno dopo anno.
Una bilancia che nasconde, in equilibrio, motivi di orgoglio e momenti difficili. Sul primo piatto l’esperienza di Copernico, in collaborazione con l’Università di Ferrara, il progetto realizzato con EXPO, in grado di raccontare la realtà locale nell’ambito di un contesto di forte attenzione all’alimentare italiano. E ancora: l’essere parte delle sei televisioni locali che oggi compongono il pacchetto informativo di Er24, in onda sulla piattaforma Sky (canale 518) e Tivusat, che mette in onda a livello nazionale le edizioni locali del telegiornale di Telestense e delle altre realtà provinciali selezionate.
Sull’altro lato invece le difficoltà: la riduzione del personale, che oggi conta circa 15 dipendenti dopo alcune partenze dolorose ed importanti, e la conseguente difficoltà nel gestire le attività, cui si supplisce con una squadra di persone pronte a scambiarsi i ruoli e aggiungere tempo di lavoro magari non previsto. Ognuno di loro ha una storia personale, una famiglia, una vita privata che pesa parecchio nelle scelte aziendali, soprattutto quando la collaborazione è frutto di passione ed esperienza costruita sul campo in anni di aggiornamento continuo. Dalia Bighinati si rivolge a tutti con una cortesia d’altri tempi, dando del Lei anche a chi divide quegli uffici con lei ogni giorno:
– Ivan, Lei da quanto lavora con noi?
– Da più di quarant’anni… una vita!
Una vita qui, come si scriveva sopra. “In questo lavoro non c’è un orario fisso e definito. Ad esempio durante le ultime elezioni regionali, i giornalisti della redazione si sono alternati tra notte e mattina in modo da costruire un racconto costante di un momento così importante” – spiega Dalia.
Ce lo dice con onestà: quello che sente di non essere riuscita ad ottenere in questi anni è l’apertura a tante e diverse energie della zona. Raramente nuove realtà giovani o associazioni si sono interessate a Telestense proponendo un progetto televisivo o multimediale condiviso. Sarebbe stato bello che la televisione di un territorio diventasse partner tecnico, e voce di realtà diverse, soprattutto giovani, in cerca di un posto autorevole in grado di dargli visibilità.
“In fondo anche le star del web cercano come passo finale di avvicinarsi alla tv, che anche se ha perso il suo ruolo di una volta, unico e dominante, rimane ugualmente il luogo per essere considerati credibili nel percorso verso la notorietà. Resta quella a darti il timbro di qualità, anche nel 2020.” – racconta Dalia.
Telestense oggi ha due punte di diamante in palinsesto, veri poli attrattivi del racconto locale: il telegiornale, che informa più volte al giorno sulla cronaca di Ferrara e provincia e naturalmente lo sport, in particolare con le trasmissioni legate al mondo del calcio e della SPAL, sia in diretta durante la partita che nell’approfondimento del lunedì sera. Punte che si uniscono in una programmazione dove non vengono trascurate realtà come quelle legate al mondo della sanità e al mondo della cultura.
Costruire format televisivi impone di avere buone idee ma anche infrastrutture adeguate: girando per gli uffici e gli studi di registrazione colpisce la differenza tra spazi percepiti e spazi reali. Sembrano quasi prototipi in scala: osserviamo il luogo dove viene messo in onda il telegiornale e lo spazio che diventa studio per le trasmissioni in diretta o registrate, con pannelli che ne possono variare colori e sfondi. Senza riflettori accesi e persone presenti perdono molto del loro fascino, un po’ come salire sul palco a teatro prima o dopo lo spettacolo, percependo dimensioni, visuali e trucchi di scena. Le imponenti camere di controllo della regia e della programmazione dell’intero palinsesto occupano intere cabine con banchi immensi pieni di interruttori e controlli di ogni tipo. Dai tanti monitor accesi si vede cosa sta andando in onda e la scaletta degli spazi pubblicitari inseriti, una macchina automatizzata e al contempo umana, che vive durante le giornate in modo non sempre prevedibile.
Nel mostrarci con rimpianto alcuni uffici ormai vuoti, di colleghi ma anche di servizi ormai in disuso come il call center pubblicitario, Dalia ci racconta di una realtà che si è dovuta restringere, numericamente, negli ultimi anni, cercando però di aumentare la qualità sul numero magari parzialmente ridotto di produzioni, con l’obiettivo di essere comunque un attore di qualità nel campo dei media.
A tarda sera ci manda un sms: alcune annotazioni, come un’appendice a quanto detto che ci fa ripensare al momento in cui, parlando ad altri colleghi aveva raccontato di come fossimo “giornalisti che parlano ad altri giornalisti e potremmo farlo per ore senza stancarci”. Perché ora che abbiamo dipinto con qualche dettaglio in più quel palazzo misterioso che nasconde il centro creativo di Telestense, abbiamo chiara l’idea di un progetto complesso, in difficoltà nel mantenersi vivo in questo momento storico, eppure sempre vivo.
Vivo, come diceva Daniela, vivo come il racconto appassionato di un territorio, vivo come le persone che quotidianamente confezionano trasmissioni, notizie, servizi, interviste, cercando di sopperire a limiti numerici e tecnici con professionalità.
C’è questa sequenza, tratta da The Newsroom (immensa serie tv sul giornalismo di una piccola ma agguerrita emittente americana) in cui il protagonista, Will McAvoy, in quel momento scoraggiato direttore di un programma di approfondimento tra i tanti, indigna gli Stati Uniti, scegliendo di raccontare in pochi minuti fatti, numeri e tesi che sconfessano l’idea del paese migliore del mondo. Provoca così a cascata la nascita di un nuovo prodotto editoriale, piccolo ma agguerrito, che racconta il mondo nel modo migliore possibile, scegliendo la via del giornalismo nella sua inclinazione più romantica, imperfetta, difficile e impossibile.
Traballa, di puntata in puntata, tra momenti di successo e le inevitabili crisi, chiede ai giornalisti spesso di sacrificare le vite personali per un bene superiore immateriale, quello della informazione, frequente sinonimo di sapere e di cultura. Qualcosa che in scala, con le debite proporzioni come per gli studi televisivi, ci è parso di scorgere in questo palazzo che ospita Telestense: una piccola finestra che a vederla da dentro nasconde scintille di vitalità e professionalità, che meritano senz’altro un futuro.