Viaggiando sarà capitato di notare come in molte grandi città europee che sorgono sull’acqua, la popolazione viva in stretta relazione con quest’elemento. Ad Amsterdam, ad esempio, vivono letteralmente sui canali, nelle Houseboat, tanti residenti possiedono o sanno condurre imbarcazioni, lo stesso accade a Rotterdam, a Stoccolma, Parigi, tutti ottimi esempi di città che sanno gestire le risorse naturali. In molti paesi virtuosi attorno alle vie fluviali si trovano parchi, ciclovie, ippovie, percorsi naturalistici che permettono alla gente di vivere e godere del territorio.
Mi sono sempre chiesto perché tra le tante città italiane percorse da fiumi non si noti la stessa vicinanza a quest’elemento naturale. Ferrara non è da meno, sorge in mezzo ad un’intricata rete di vie d’acqua, costituite dal fiume Po e dai suoi oltre 3000 chilometri di canali, circondata dal Parco del Delta del Po (Riserva Naturale UNESCO), ma in pochi praticano attività a stretto contatto con l’acqua. Eppure si può affermare che vi sia “più acqua che strada”, come dicono in gergo gli abitanti di alcuni comuni della bassa.
Nelle scuole, portando la didattica ambientale all’interno delle classi, la prima domanda che pongo agli studenti è sempre la stessa: “quanti di voi hanno mai fatto visita al Delta del Po?”. E sono sempre pochissimi quelli che rispondono di si. Ormai è raro incontrare lungo le rive un’imbarcazione, qualcuno in canoa, o un pescatore. Sono rimasti in pochi a vivere le nostre acque.
Perché?
Sembra che il cittadino medio sia portato a considerare i canali e i fiumi che scorrono nei pressi della città come luoghi di degrado, quasi inaccessibili, non è più abituato a relazionarsi col territorio non antropizzato che lo circonda, finendo così per non conoscerlo e non considerarlo. Ma chi non conosce l’importanza di una risorsa naturale fondamentale come l’acqua, non è neppure in grado di tutelarla.
Eppure in passato la storia di Ferrara si intreccia con il corso dei fiumi: le vie fluviali sono state fondamentali per il drenaggio delle acque delle paludi e la loro bonifica, e furono proprio le acque del Po a garantire agli Estensi prestigio e ricchezze, fino quasi alla fine del XVI secolo. Nell’epoca di massimo splendore la via fluviale preferita per gli scambi commerciali era l’attuale Po di Volano e il Po di Primaro, vecchi rami del fiume che col tempo s’interrarono sempre di più. Successivamente, nel 1604, Venezia effettuò il cosiddetto “taglio di Viro”, che spostò verso sud il delta del Po, causando così la definitiva rovina delle bonifiche realizzate dagli Estensi, già provate dai problemi di subsidenza del territorio.
Bisognerà attendere il XVII secolo, e la costruzione del canale che collegava finalmente il Po di Pontelagoscuro alla città di Ferrara, per risvegliare il commercio fluviale del territorio su un altro asse, prossimo all’imbocco dell’attuale Canale Boicelli.
Le vie d’acqua erette dall’uomo, al contrario delle strade moderne, hanno la caratteristica di rimanere pressoché immutabili nei secoli e, come le opere d’arte, tali opere di ingegneria fluviale portano il segno delle epoche storiche in cui furono realizzate.
Oggi la memoria delle antiche vie d’acqua ferraresi pare essersi persa, nel frattempo la nostra epoca sarà presumibilmente ricordata come quella a più alto impatto ambientale e il segno che lasceremo sulle risorse naturali di cui disponiamo rischia di essere negativo e permanente. Lo stato delle nostre acque conferma, purtroppo, questa tendenza.
Il nostro territorio è considerato da 25 anni zona ad alta vulnerabilità nitrati ed il bacino idrografico Burana-Volano, per tale motivo, fu dichiarato a rischio crisi ambientale, con concentrazioni massime che superano tutt’ora i 50 mg/lt di NO-3 (microgrammo per litro), a fronte di livelli di norma di appena 1 mg/lt di NO-3 (microgrammo per litro) in falda freatica. (Fonte: Studio condotto da EU Water, Agri Unife – Concentrazioni di NO3 nella falda freatica)
L’inquinamento scorre dai corsi d’acqua fino al mare e sono proprio i fiumi e i canali i primi indicatori di quanto le attività umane siano impattanti sull’ambiente. A Ferrara ve ne sono alcuni che scorrono proprio a due passi dal centro città e, proprio sotto gli occhi impassibili e distratti dei passanti, in questi luoghi si sono succeduti fenomeni d’inquinamento eclatanti, cui nessuno pare aver prestato particolare attenzione.
Uno dei corsi d’acqua più frequentemente soggetti a fenomeni di inquinamento è il canale Gramicia, che scorre di fronte al Parco Urbano, nella zona Sud verso via Porta Catena, passando di fronte ai campi del Centro Sportivo CUS. In questo canale, spesso, durante le giornate di pioggia, può capitare di notare densa schiuma bianca in prossimità di canneti e salti d’acqua, a volte talmente abbondante e voluminosa da arrivare sino in strada trasportata dal vento. Uno scenario a dir poco inconsueto per un corso d’acqua che alimenta i laghetti del parco pubblico più famoso della città. Il problema è che parte del corso d’acqua è tombato, cioè passa al di sotto del quartiere GAD, tra la zona Grattacielo e il Doro, in queste zone non si ha contezza del numero di scarichi, autorizzati o meno che siano, che arrivano al canale.
Perché nel nostro paese, purtroppo, è sufficiente pagare per essere autorizzati a scaricare (cfr. Art. 124 co. 1 Cod. Ambiente), poi, se i controlli sono pochi o pressoché zero, com’è nei fatti, al danno ci si penserà poi.
Fin dal 1976, data di entrata in vigore della legge Merli (L. 319/1976), ogni Comune italiano sarebbe obbligato a dotarsi di un impianto di depurazione delle acque fognarie adeguato, mentre oggi questi impianti risultano in molti casi sottodimensionati rispetto alle esigenze dei centri abitati. Per questo ben 800 comuni italiani sono stati deferiti alla Corte di Giustizia per infrazioni relative a scarichi illegali, le fogne non reggono il carico di reflui e scaricano abusivamente in acque superficiali o in suolo, soprattutto in occasione di forti piovaschi. La Corte di Giustizia dell’UE ha già sanzionato l’Italia a pagare una multa di 25 milioni di euro, cui si aggiungono 30 milioni di euro per ogni semestre di ritardo nell’adeguarsi alle norme in materia di raccolta e di trattamento delle acque reflue urbane.
Per dare un’idea dello stato in cui versano le acque interne al territorio ferrarese, vale la pena menzionare un altro episodio rilevante avvenuto il 29 luglio 2016: mentre la temperatura dell’aria estiva era prossima ai 31°C, un gruppo di canottieri ha avvisato che “il canale stava bollendo”. Era effettivamente una giornata calda ed afosa, ma gli sportivi confermavano che fosse “letteralmente impossibile andare in canoa senza morire di caldo” e che “l’acqua sembrava termale dal tanto che era rovente”. Si trattava del Boicelli, il canale che scorre proprio dietro al Polo Chimico e che collega il Po di Pontelagoscuro al Po di Volano, poco più ad Ovest rispetto alla darsena di Ferrara. Sul posto la temperatura dell’acqua era arrivata a superare i 42°C. I quotidiani in quei giorni titolarono “Il brodo del Boicelli”.
Nonostante in quel corso d’acqua si pratichi canottaggio, sia attraversato dall’imbarcazione turistica La Nena, e sarà futuro passaggio per l’idrovia, l’inquinamento qui regna sovrano. Un canale che raggiunge quelle temperature cuoce letteralmente tutto ciò che vive al suo interno. Sulle sponde i vecchi pescatori, tra cui alcuni ex operai, ritenevano plausibile che fosse dovuto a scarichi provenienti dal polo chimico. Acque pulite ma molto calde, necessarie a raffreddare gli impianti. ARPAE, ente di vigilanza e controllo ambientale del Comune ha poi dato la colpa ufficialmente soltanto al caldo anomalo. Fine della storia.
Basta spostarsi verso la parte finale del Boicelli, per arrivare ad un altro importante canale della zona: il Burana. Antico canale collettore che, muovendosi lungo un paleoalveo del grande fiume, si univa alle acque di Secchia e Panaro per confluire nel ramo del Po di Ferrara a Bondeno. Nei secoli è stato modificato dalla mano dell’uomo e per tale motivo ha una forma particolare, come fosse un largo imbuto, con ampi pianali di terra in prossimità del pelo dell’acqua ed alti argini. Tale forma degli argini era funzionale in passato, quando veniva utilizzato dalle zattere trainate dai buoi, che trasportavano le merci controcorrente da un comune all’altro, non senza pagare i dovuti dazi dell’epoca. Anche questo storico canale non è stato risparmiato dall’inquinamento e da via d’acqua utile al commercio si è trasformato in uno scolmatore di inquinanti di origine agricola. Nel 2016 venne denunciato un episodio drammatico in cui nel canale in prossimità di Malcantone, al confine con la Provincia di Modena, scorreva letteralmente più liquame che acqua. Si scoprì provenire da un allevamento di vacche poco distante.
Pochi mesi prima, a diverse decine di chilometri di distanza più a valle, si era già accertato un altro deliberato atto di inquinamento con uno sversamento di liquami direttamente nelle acque del canale Burana. Nonostante le numerose segnalazioni, report, foto e video, non è stata mai accertata alcuna natura inquinante nonostante il Prefetto multò l’azienda responsabile per scarichi non autorizzati.
Dopo aver descritto questo panorama alquanto desolante è facile comprendere perché i ferraresi si siano allontanati dalle loro acque. L’inquinamento, la schiuma, i cattivi odori, le morie di pesce, il degrado generale che regna lungo tanti fiumi e canali del centro città non rappresentano certo un’attrattiva. Alle vie d’acqua non serve manutenzione, sono una risorsa naturale, basterebbe che l’uomo ne portasse la memoria ed il rispetto, per garantirne la conservazione. Eppure ciò raramente accade.
L’acqua è un patrimonio inestimabile, fondamentale per ogni essere vivente. Ciò che rimane di fronte allo sguardo di chi osserva è un territorio inquinato dalle acque interne, al mare; da quelle superficiali alle falde sotterranee. Secondo l’Ocse, procedendo con questo ritmo di consumo ed inquinamento idrico, perderemo il 40% di acqua potabile rispetto ad oggi, nell’intero pianeta.
Secondo le Nazioni Unite nel 2050 la popolazione mondiale subirà un aumento demografico del 40%, e con essa crescerà la richiesta d’acqua per il fabbisogno umano. La Direttiva Europea sulle acque, corre ai ripari per la loro tutela, e prevede che quelle già danneggiate siano riportate ad uno stato di buona salute al massimo entro il 2027.
Non senza un certo scetticismo, si può solo avere fiducia per il futuro, consapevoli che senza scelte determinate e decise, sarà impossibile invertire la tendenza che propende all’inquinamento e alla distruzione delle risorse più preziose per la vita. Quando ci si ritrova a rifuggire dall’acqua, ad averne paura, come fosse qualcosa di pericoloso, inquinato, degradato, ci si rende conto di quanta violenza è stata fatta sul territorio che ci circonda.
1 commento
Mi sono trovato spesso lungo questi corsi d’acqua e sugli argini. Non lo consiglio a nessuno. Abbandono assoluto e rischi per la salute. Ma qualcosa si potrebbe fare riaprendo i percorsi arginali del Po, attrezzandoli per il tempo libero come sulla sponda rodigina