Durante un giro in bicicletta fuori città, capita spesso di fermarsi ad ammirare le campagne ferraresi tinte di diversi colori a seconda delle stagioni e delle coltivazioni che, come un vestito adatto ad ogni periodo, cromatizzano la pianura con le tinte più svariate. Agli occhi di molti, specialmente di coloro che frequentano poco la campagna, destano sorpresa, curiosità e meraviglia gli innumerevoli piccoli specchi d’acqua che, come nubi lucenti nel cielo terso, appaiono come chiazze splendenti disseminate a perdita d’occhio.
Stiamo parlando dei maceri, particolari ed inconsueti al punto da rendere la campagna ferrarese diversa da tutte le altre. Una realtà che, a seguito di censimento e mappatura di questi piccoli luoghi di interesse naturalistico, sembra essere sempre più rara: si va dai 5000 maceri presenti nel nostro territorio nel 1977 ad appena 1400 nel 2004.
(La ricerca è stata effettuata simultaneamente dalla Stazione di Ecologia del Museo Civico di Storia Naturale di Ferrara e dal Servizio Protezione Flora, Fauna e Oasi protette e pubblicata nel testo “Le stagioni dei Maceri” a cura di Carla Corazza – Edizioni Belvedere 2009).
Volgendo uno sguardo al passato, la diffusione di questi bacini artificiali crebbe nel tempo man mano che la coltivazione della canapa divenne per l’Italia sempre più una fonte economica di vitale importanza, in particolare per la provincia di Ferrara, alla quale spetta il primato in Italia, seguita da Caserta, Bologna e Napoli.
“Quei maceri di canapa spargono su Ferrara una libidinosa follia” citava Giorgio de Chirico attribuendo agli effluvi derivanti dalla macerazione della canapa nelle campagne la metafisica comportamentale di tutti i ferraresi, vista la capillare presenza dei maceri nella provincia ma sopratutto attorno e nelle immediate vicinanze della città.
Nel secondo dopoguerra al contrario, con l’introduzione delle fibre sintetiche derivanti dal petrolio, il declino della coltivazione della canapa è stato irreversibile, eccezion fatta per l’uso alimentare e farmaceutico. Di pari passo è andato ovviamente l’abbandono dei maceri: molti sono finiti in disuso, alcuni sono stati progressivamente chiusi per recuperare terreni agricoli o edificabili (ovvero per trasformarli in discariche) mentre solo una esigua parte è rimasta sul territorio anche se non tutti ne capiscono la loro importanza valorizzandone la capillarità.
Oggi, ancor più rispetto al passato, questi ambienti ad acque ferme, grandi o piccoli, naturali od artificiali che siano, rappresentano un bene prezioso. Con le rive spesso ricoperte da monotoni ciottoli bianchi, utilizzati un tempo per tenere a macerare sott’acqua le foglie di canapa, le “piccole acque”, come vengono definiti i maceri del ferrarese, rappresentano un habitat naturale per specie vegetali ed animali che in queste acque ferme trovano l’ambiente naturale per la loro vita. Nel contempo sono preziose riserve d’acqua per la vita dei campi rappresentando elementi indispensabili quali fonti idriche della zona. In periodi sempre più caratterizzati da eventi atmosferici estremi, la raccolta delle acque piovane, nei momenti propizi, riveste un’importanza basilare nel riequilibrio della falda acquifera.
È da tale equilibrio che spesso dipende il drenaggio del terreno e soltanto da un loro corretto utilizzo se ne possono trarre vantaggi e benefici per tutti. Aldilà della primaria importanza rivestita dalla sopravvivenza di questi bacini d’acqua, la loro bellezza e quanto di naturale offrono ai semplici visitatori sono un qualcosa di unico.
Senza doverci spostare molto dalla città, i laghetti del Parco Bassani, ad esempio, possono fornirci una chiara esemplificazione di come il connubio natura ed acqua sia un qualcosa di straordinario. Nelle giornate primaverili il risveglio della natura sulle sue sponde racchiude sensazioni sempre nuove; nelle giornate afose estive la sua vicinanza dona refrigerio ai nostri pomeriggi, mentre le tinte autunnali meritano tutta la nostra ammirazione. Che dire infine degli arabeschi disegnati dalla galaverna sui rami spogli che si specchiano o si genuflettono sotto il peso del ghiaccio nelle acque a volte lastre di vetro imbiancate ed appannate?
I maceri mi hanno sempre affascinato sin da bambino: pur non avendo mai vissuto a stretto contatto con loro, questi bacini hanno sempre richiamato la mia attenzione ed oggi, nei miei percorsi in mountain bike, diventano spesso una tappa immancabile. Lo scorso autunno, addentrandomi lungo un viottolo di campagna sotto le sponde del Po ai confini tra Casaglia e Ravalle, mi sono imbattuto in una bellissima “isola d’acqua” le cui sponde pulite e ben conservate evidenziavano come quello fosse un macero non in disuso ma utilizzato e addirittura manutenzionato.
Le acque erano limpide e non molto profonde; non di rado bolle e cerchi concentrici rompevano la sua perfetta immobilità segnalando la presenza di qualche pesce invero sempre più rari in essi. Vegetazione spontanea faceva da splendido contorno allo specchio d’acqua; l’improvviso arrivo di qualche uccello d’acqua completava il quadro degno di essere immortalato dal più classico degli impressionisti.
Ma di esempi come questo ne possiamo citare tanti altri come i due maceri, posizionati ad L nelle adiacenze di Pontegradella, che danno vita ad un bosco limitrofo ricco di bellissime specie arboree. Oppure i vari maceri nelle golene del Panaro che, influenzati dal livello del fiume adiacente, si riempiono di acqua e pesci durante gli annuali straripamenti del fiume affluente del Po.
E molti altri se ne potrebbero menzionare: scoprirli durante camminate e giri in bici è un qualcosa di unico e diverso dal solito.
Ecco perché i maceri devono e dovranno sopravvivere difronte ai cambiamenti imposti dall’uomo: sono la storica testimonianza di una cultura agricola ed industriale del passato recente ma anche e soprattutto una riserva naturale delle acque fondamentale per il mantenimento di piccoli ecosistemi territoriali sempre più preziosi e utili a tutta la collettività.
2 commenti
Bellissimo racconto, rimango sempre stupito dalla bellezza, dall’ammirazione dei nostri luoghi, grazie alla capacità dello scrittore, fanno vivere emozioni e sembra di averle vissute insieme. Grazie.
Il silenzio il sentirsi un tutt’uno con la natura, il fascino dell’acqua. Il percepire la vita e le difficoltà della stessa. Noi e la natura, un battito del cuore unico, un respiro unico. Vivere lento, guardare osservare. Grazie!