“Bombardati dalla tirannia linguistica imposta dalla perfida Albione, spesso tendiamo a sottostimare, o peggio a derubricare come ‘americanata’, il significato profondo di alcune parole che provengono dal mondo anglo-americano. Tra queste, fino a qualche anno fa, c’era anche la parola crowdfunding, difficile da pronunciare, che però oggi è entrata prepotentemente nel perimetro delle iniziative di carattere filantropico anche in Italia, e anche all’interno delle istituzioni pubbliche.”
A dirlo è il prof. Fulvio Fortezza dell’Università di Ferrara, che ci racconta nascita ed evoluzione di una pratica nata nel mondo tecnologico Usa e che è recentemente sbarcata anche nella nostra città con alcuni progetti pilota.
La definizione, in sé, dice poco: accumulo di piccole contribuzioni per singoli progetti da parte di un gran numero di individui, la folla appunto. Eppure, può aprire scenari interessanti su più fronti. Per muoverci nell’articolato mondo di questo fenomeno abbiamo chiesto aiuto a Fortezza, professore associato presso il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Ferrara, e soprattutto ‘sponsor’ del nuovo progetto di crowdfunding inaugurato da Unife in qualità di Delegato al Marketing del Magnifico Rettore.
Un po’ di storia del concetto. Dove nasce il crowdfunding (da ora in avanti CF, perché la parola è difficile anche da scrivere, ndr) e per quali obiettivi?
Il concetto nasce negli Stati Uniti, nei garage di ‘giovani smanettoni’, con l’obiettivo di promuovere e mettere in circolo le loro invenzioni. E negli Stati Uniti si è diffuso grazie alla forza dei numeri – in America sono in tanti! – ma anche a precise motivazioni culturali. La società americana ha un forte orientamento alla scommessa, e un solido spirito patriottico, che spinge a credere nelle intuizioni delle persone, e a sostenerle per il bene della comunità. Nel tempo molti americani sono diventati finanziatori seriali di idee nuove.
Tutti buoni gli americani?
Più abituati al sostegno di iniziative del genere, diciamo. Non propriamente, o comunque non necessariamente per una questione di liberalitas. Il CF reward based, la formula di CF più diffusa, si sostiene perché si desidera avere un prodotto in anteprima, in anticipo rispetto a quando verrà messo sul mercato. La forza della charity invece è spesso figlia di una logica puritana molto diffusa nella cultura anglo-americana: donare al prossimo può essere anche un modo per ripulirsi la coscienza. Infine nella variante equity il CF è una forma di investimento a carattere finanziario: sì dà supporto alle startup per entrare in una lista molto frammentata di ‘azionisti’ e poter partecipare un domani ai dividendi, qualora l’idea abbia successo. Una scommessa, appunto, sul talento di chi rischia sull’innovazione”.
Cosa arriva di questo composito panorama a Unife?
Il nostro primo driver quando ci siamo imbarcati nella sfida di applicare i principi del CF alla ricerca universitaria è il fattore dell’orgoglio e dell’identificazione. L’Università di Ferrara ha sempre avuto una certa ritrosia a comunicare tutte le cose belle che fa. C’è invece un mondo di capacità, storie, competenze vivo e diffuso, che va raccontato. Il CF è un modo non comune, ma di sicuro impatto, per farlo. Non abbiamo nulla da invidiare ad altri, anche grandi, Atenei sul piano della ricerca di frontiera: vorremmo che i nostri studenti e tutti i ferraresi ne andassero orgogliosi.
Quindi il CF è uno strumento di promozione del brand…
Un brand che vogliamo far crescere sempre di più. Siamo tra i primi Atenei italiani ad avere puntato sul CF per mettere in vetrina i nostri team di ricerca. Chi l’ha fatto con successo è l’Università di Pavia, che però opera in un tessuto molto diverso. Siamo fiduciosi di poter seguire questa strada con successo. Oggi le Università non possono più rimanere chiuse all’interno delle mura accademiche, e devono trovare modalità accattivanti per aprirsi alla comunità, e al mercato. L’imperativo deve essere divulgare e coinvolgere.
Una sorta di ‘economia circolare’ nella quale ogni attore ha un ruolo…
Il CF può innescare anche un proficuo processo di marketing interno: crediamo nelle nostre ricercatrici e nei nostri ricercatori e consegniamo loro un dispositivo perché possano sentirsi sostenuti e valorizzati. Ma innescare anche marketing territoriale: vogliamo raccontare ai ferraresi, e a tutti coloro che a Unife studiano o hanno studiato, quanto sia bello avere una Università leader del cambiamento. Se si crea questo intreccio, il CF diventa un’arma potentissima di identità.
Alle ricercatrici e ai ricercatori cosa rimane in tasca di tutto questo?
Faccio una precisazione doverosa: il danaro che raccoglieremo non sostituirà in alcun modo il ruolo istituzionale dell’Ateneo di sostenitore della ricerca. Anzi, l’Università ha investito per mettere in piedi questo circuito. Ma non ne farei una questione di contabilizzazione spiccia: vedo nel gruppo di ricercatrici che stanno portando avanti la prima campagna la passione e l’entusiasmo crescenti nell’avere la possibilità, tramite il CF, di poter raccontare a un ampio pubblico il proprio lavoro quotidiano, e di ricevere plausi convinti, che meritano tantissimo. Tra l’altro, in questo modo chi fa ricerca si forma a una competenza sempre più importante, quella della divulgazione.
D’altra parte, anche le ricercatrici e i ricercatori stanno facendo il bene dell’intero Ateneo portando ‘tra la gente’ il proprio lavoro…
Assolutamente, sono testimonial di grande impatto. Mi piacerebbe trasformarli nei nostri ambasciatori per la prossima campagna di immatricolazione: rappresentano uno spaccato meraviglioso della nostra comunità.
Per finire, se la sente di fare una esortazione alla donazione?!
Penso che il successo delle campagne in termini di entità delle donazioni sarà la tangibilizzazione di uno sforzo collettivo, e la conferma che siamo in grado di costruire una vera e propria community allargata, composta dal mondo universitario e da quello civico. Non mi piace parlare di appelli o di esortazioni. Sono convinto che se saremo bravi a raccontarci e svelare tutte le bellissime cose che facciamo saremo sempre più in grado di raccogliere i frutti delle relazioni di valore che creeremo e alimenteremo.
MORE INFO SUL CROWDFUNDING UNIFE:
https://crowdfunding.unifeel.it/progetto/atassia-spinocerebellare-tipo-due/