Si tende a pensare che una notizia o un articolo siano necessariamente portatori di un cambiamento, di una novità, che abbiano all’interno qualcosa degno di attenzione, presentato con un titolo roboante. In un momento storico dominato da rivoluzioni e cambiamenti epocali questa storia ha un diverso tenore: è un racconto di normale umanità, di cambiamenti, di umiltà, di tempo che passa e di come la forma di ognuno di noi sia destinata a mutare orgogliosamente, per sopravvivere e per dare un futuro ad una famiglia, ad una idea o a sè stessi.
Enrico de Lazzaro è il titolare di un piccolo emporio (gli piacerà questa definizione?) chiamato Arte dei Contrari, nella omonima via del centro, sul lato opposto di Tiger che è anche la sua nemesi, il basso prezzo industriale seppure ricercato e gradevole. Pochi metri quadrati aperti da ormai tredici anni, in quel novembre 2006 in cui echeggiava ancora la vittoria italiana ai mondiali di calcio.
Mi ci ero fermato davanti questa estate, senza uno scopo preciso, stupito dalla presenza di una gelateria contenuta dentro alla bottega (gli piacerà questa definizione?) e gli avevo chiesto il perché. Scelta insolita i gelati tra le stampe fotografiche, le locandine e le cartoline di Ferrara. La risposta era stata di pancia: per sopravvivere, perché di fotografie oggi se ne comprano poco e il gelato diventa l’esca universale per attrarre un cliente diverso, che altrimenti non sarebbe entrato.
Oggi che torno a trovarlo emerge di più l’imprenditore: Enrico racconta di una opportunità da cogliere per riuscire a diversificare. Senza l’iniziale benestare della moglie che pure oggi racconta orgogliosa di questo particolare progetto, ancora alieno nella nostra realtà.
L’idea viene durante una gita a Murano, osservando come le botteghe artigiane fossero vuote, tranne quelle che mostravano la fornace in attività con una piccola dimostrazione. Quasi che l’esperienza vissuta all’interno rendesse più importante l’acquisto del medesimo prodotto reperibile altrove. Ed è in effetti così: siamo alla ricerca di emozioni, più che di acquisti. In pochi comprano cartoline o libri d’arte, ma dopo una mostra ci sembra necessario e giusto avere qualcosa per noi da riportare a casa.
E quindi ecco l’idea di ricongiungere esperienze diverse, come spesso accade all’estero e saltuariamente in italia: librerie con caffè annessi, gallerie d’arte che sfumano in cocktail bar, negozi di elettronica che diventano luoghi di performance musicale.
La risposta ai cambiamenti.
Enrico ci dice che per la fotografia stampata non c’è futuro. Lo dice guardando i figli, che mai hanno pensato di trasferire su carta una foto, che a quattro o cinque anni hanno tentato avvicinando pollice e indice di fare lo zoom su un libro di carta, che vivono su Instagram e verosimilmente, come tanti figli di artigiani, non vorranno essere artigiani. Forse per il sacrificio che le professioni manuali impongono.
Come la scelta di tenere aperta una gelateria in orari serali, nel periodo estivo per conquistare nuovi clienti. “Il compromesso è stato raggiungere la famiglia al mattino al mare, poi tornare a Ferrara e aprire il negozio al pomeriggio, fino a tarda sera, a mezzanotte. Ho sottovalutato la fedeltà di parte della popolazione alla propria gelateria di fiducia e allo stesso tempo vissuto giorni importanti durante il Buskers Festival e il Festival di Internazionale, trovando accoglienza positiva da un pubblico diverso da quello locale.”
Ma per le foto su carta no, non c’è futuro: l’attuale mercato è solo quello degli over trenta o quaranta, poi non esisterà più. È l’ultimo respiro lunghissimo, senza prospettiva. Lui sarà nel frattempo in pensione e racconta con serenità di avere vissuto serenamente il passaggio epocale dalla fotografia analogica a quella digitale di massa.
“Cos’è in fondo la fotografia, se non un linguaggio? Cosa può cambiare se viene da una camera oscura o da una ottica digitale? Non è un vantaggio che questo linguaggio possa uscire da migliaia di persone invece che da poche?”, spiega calmo.
Avevamo parlato dello stesso tema con Samira Damato, della World Press Photo Foundation, ndA)
La maggior parte delle persone è spaventata e guarda con poco nascosto disprezzo alla generazione giovane in arrivo. Non Enrico, consapevole che semplicemente il tempo cambia e scorre in maniera diversa, per le varie generazioni.
Così ammette ad esempio che il giudizio di suo figlio è stato durissimo all’ascolto di Harvest di Leonard Cohen: è una palla, ha detto dopo appena venti secondi. Eppure un tempo è stata magia per molti, anche se non è un linguaggio che può più parlare a gran parte delle nuove generazioni.
Allo stesso modo la lettura delle vicende di Sandokan, che in uno degli snodi fondamentali uccide e squarcia il ventre della tigre è al contempo gesto eroico per Enrico e orribile per la sensibilità di suo figlio, che appartiene ad una nuova generazione che guarda al mondo come un posto da rispettare e non da conquistare.
Ci siamo dimenticati di chiedere a Enrico de Lazzaro il perché del nome della propria attività (gli piacerà questa definizione?) ma secondo noi l’Arte dei Contrari è questo: il cambiamento.
Il dissolversi veloce di un gelato all’interno di un luogo dove si acquistano stampe e foto, ovvero quelli che sono fermimmagine di una realtà impressa per sempre. E un piccolo laboratorio che affronta serenamente gli ultimi anni della sua vita, traboccante di idee, senza nostalgia del passato e con grande dignità. Con le mani affaticate, la serranda aperta con costanza, per abbracciare un mondo in cui non ha smesso di avere fiducia.