diario di viaggio e foto di Dario Nardi – quinta puntata
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Appena superato il confine svedese facciamo la prima vera deviazione verso l’entroterra per vivere da vicino la cultura dell’affascinante popolo Lappone dei Sami. Superiamo il circolo polare artico e arriviamo a Jokkmokk, una delle roccaforti di questo popolo ancestrale che fin dalla notte dei tempi ha come punto fondante il rispetto e l’equilibrio per l’infinita natura che li circonda. Questo è uno dei pochi popoli rimasti ad adottare usanze e costumi completamente differenti dalla società in cui vivono, utilizzano colorazioni dalle inaspettate tinte sgargianti e tutta la loro esistenza si basa sulle numerosissime renne allo stato selvatico che ancora popolano queste terre ancestrali.
Dopo la rapida parentesi Lappone è tempo di tornare sulle coste del Baltico, il paesaggio non si discosta di molto dall’omogeneità incontrata nelle sconfinate foreste finlandesi, chilometri e chilometri di aghifogli e betulle ci accompagnano fino regione a sud ovest della Svezia dove ho l’occasione di rivedere dopo tanti anni un mio vecchio compagno di università trasferitosi qui dalla Sardegna per lavorare come ricercatore allo “Sven Lovén Centre for Marine Infrastructure”. Luca svolge interessanti ricerche sulle alghe in ambito alimentare e sulle possibili applicazioni riguardo l’equilibrio dei delicati sistemi di acquacultura, un potenziale davvero enorme.
Il giorno seguente è di nuovo tempo di cambiare nazione, il nostro ingresso in Norvegia lo facciamo tagliando lo stretto di Sgagerrak con un traghetto che da Stromstad ci porta a Sandefjord, questo piccolo pezzo di mare si inerpica fino a lambire l’ Oslofjord segnando di fatto il passaggio dal Mar Baltico al mare del Nord e arrivando a bagnare la capitale Oslo. Decidiamo di fare questo “taglio” non solo per il vantaggio geografico ma soprattutto per la bellezza delle sue acque e degli abitanti che le popolano, in queste acque non è raro infatti avvistare cetacei e foche con relativa facilità ma purtroppo non siamo stati abbastanza fortunati da avvistare balene o capodogli ma “soltanto” una miriade di piccoli branchi di foche che sostavano placide sulle migliaia di agglomerati rocciosi che si intravedevano in lontananza durante la navigazione.
Siamo finalmente in Norvegia nonché ultima delle tre nazioni scandinave, il primo appuntamento per un’intervista è fissato in una piccola città a sud di Oslo che ospita la sede della Nofima, centro specializzato nelle ricerche sui sistemi di acquacultura. Ad Ås il ricercatore phd Dottor Carlo Lazado ci offre l’opportunità di intervistarlo sulle problematiche degli allevamenti intensivi di salmone e più nello specifico su una particolare malattia denominata “Amoebic Gill Disease” (AGD). La AGD è provocata da un parassita che colpisce l’apparato branchiale dei salmoni impedendo loro il corretto scambio gassoso necessario per respirare, questo tipo di infermità è tipica di acque più calde ma ormai ha da tempo invaso anche queste aree del pianeta. Il fattore di rischio principale deriva senza dubbio dal sovraffollamento degli allevamenti intensivi che, come vedremo più a nord, stanno distruggendo la biodiversità e l’equilibrio naturale dei meravigliosi fiordi norvegesi.
Dopo Ås si torna a in direzione Capo Nord e Il cambio repentino di paesaggio si fa subito vedere appena superata la zona di Oslo: erano settimane che ci spostavamo su chilometri e chilometri di foreste pianeggianti e la vista delle prime montagne norvegesi ci riempie gli occhi di nuove bellezze. Picchi ancora innevati costellano a decine la strada che ci riporta verso l’Oceano e la maestosa Atlantic Ocean Road che ha la sua partenza ufficiale da Venvag, dove i norvegesi danno sfogo a tutta la loro abilità infrastrutturale unica al mondo: una serie infinita di ponti e tunnel sottomarini uniscono tra loro le migliaia di isole e fiordi che caratterizzano la frastagliatissima quanto meravigliosa costa norvegese.
Sulla strada costiera che ci avrebbe portato dritti verso le isole Lofoten ci aspetta una tappa che si rivela meravigliosa e al tempo stesso di tragica portata: il ghiacciaio Svartisen.
Piantiamo il campo base sulle rive di un freddissimo lago dalle acque lattiginose e a sprazzi turchesi, sapevo bene che quello fosse il lago derivante dal ritiro del ghiacciaio che avremmo visitato il giorno seguente ma mai avrei immaginato di dover fare tanta strada per raggiungere quello che rimane del secondo ghiacciaio più grande della Norvegia. Fino a non troppo tempo prima lo stesso terreno sul quale mi trovo a piantare la tenda era completamente ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio, il freddissimo specchio d’acqua che avevo di fronte era un lago subglaciale che per millenni non aveva mai visto la luce del sole. Assistere all’agonia di un enorme ghiacciaio non mi era ancora mai capitato nonostante le centinaia di esempi presenti in tutto il mondo.
Il giorno seguente, dopo chilometri di trekking raggiungiamo la base della Svartisen accompagnati da emozioni contrastanti, lo stupore abbagliante di avere un imponente blocco di ghiaccio davanti agli occhi si contrapponeva al senso di tristezza ed impotenza nel vederlo in tale sofferenza, seppur maestoso mostrava tutta la sua debolezza attraverso lo scroscio delle decine di rigagnoli che si riversavano verso valle come se stesse sanguinando, un certo grado di scioglimento nella stagione estiva e senza dubbio normale ma quella a cui stavo assistendo era una vera e propria fase di lento svanimento.
Lasciato lo svartisen decidiamo di non perdere tempo con una pausa notturna e ci imbarchiamo da Bodø verso le magiche Lofoten. Conoscevo per nome questo angolo di mondo ma non mi aspettavo una spettacolo naturalistico di cotanta bellezza: se fossi un pittore e dovessi inventarmi di sana pianta il più bel paesaggio possibile probabilmente rimarrebbe sulla tela qualcosa di molto simile a quello che ho avuto la fortuna di vedere in questo arcipelago. Una serie di vette acuminate a picco sul mare fa da cornice ad una miriade infinita di isolette circondate da un inaspettato mare cristallino che nulla ha da invidiare alle tonalità turchesi dei mari tropicali, lunghissime spiagge bianche si alternano a scuri blocchi di granitica roccia levigata da millenni di vento e ghiaccio, tra i quali si incastrano profondi fiordi che donano un sapore preistorico al paesaggio. Il tutto adornato da graziosi agglomerati di case in legno in pieno stile norvegese e armonicamente in equilibrio con l’ambiente circostante: semplicemente un quadro.
Percorriamo le Lofoten da Ovest a Est partendo da Å (brevissimo nome completo della prima città ad ovest), a Reine abbiamo l’opportunità di intervistare Marit Gressetvold una attivista dell’associazione LAS Lofoten che si occupa di ripulire periodicamente le coste della parte nord di queste isole che, pur essendo area marina protetta, non è affatto immune dallo spiaggiamento di tonnellate di rifiuti che l’oceano trasporta nelle sue incolpevoli correnti.
Un altro esempio di attivismo tenace a difesa di questo paradiso lo troviamo grazie all’associazione ambientalista “Folkeaksjonen oljefritt Lofoten” a Kabelvàg: queste persone si battono da decenni per difendere le acque delle Lofoten dal flagello degli insediamenti delle attività petrolifere offshore che stanno martoriando l’intera costa norvegese. L’estrazione di petrolio insieme agli allevamenti intensivi di salmoni costituiscono le due principali attività su cui si fonda la ricchezza di questo popolo a discapito della questione ambientale. Grazie alla loro azione questi attivisti sono riusciti a tenere libera l’intera area antistante le isole, nonché unica zona salva dalle trivellazioni petrolifere, anche solo un singolo incidente intaccherebbe irreparabilmente la bellezza senza paragoni di questo eden naturalistico.
A malincuore ci lasciamo alle spalle questo arcipelago unico e continuiamo il nostro viaggio verso Capo Nord ritrovandoci ad attraversare la regione di Senja dove visitiamo Segla, una vetta acuminata che si erge fiera tra due fiordi dove con molta fortuna è possibile osservare un fenomeno climatico unico al mondo e per il quale sarà necessario passare una gelida nottata in quota dopo un duro trekking per raggiungerla. Nel cuore della notte uno dei due fiordi inizia a colmarsi di nubi e nebbia fino a traboccare nel fiordo adiacente perfettamente limpido e privo di nuvole: la cascata gassosa che si crea tra i due fiordi è di indescrivibile bellezza e continua a crescere di intensità come un fiume in piena fino al mattino seguente, quando dal crepuscolo della notte si passa ad una assolata mattinata che illumina il tappeto di nuvole. Ci ritroviamo a contemplarlo appollaiati dentro al sacco a pelo su uno spesso e soffice strato di muschio che solo a queste latitudini raggiunge tali forme. C’era una altissima probabilità che non accadesse assolutamente nulla o che un fitto strato di nebbia avvolgesse tutto limitando la visibilità a pochi metri da noi ma questa volta la lunga notte di attesa è stata ripagata da uno spettacolo senza eguali. Ringraziamo Segla con un inchino e ci rimettiamo in cammino.
La regione di Senja è caratterizzata da centinaia di fiordi che si alternano infiniti l’uno all’altro fino a raggiungere il paese più a sud di tutta a penisola che le dà forma, Skrolsvik. Il motivo che ci porta fin quaggiù è l’incontro con Torgeir Tobiassen il rappresentante della sezione giovanile dell’associazione “Natur og Ungdom”, l’attivista ci parla con passione delle azioni che la loro associazione mette in campo per contrastare e portare alla luce le pratiche di allevamento intensivo che stanno uccidendo i loro fiordi. Percorrendo le coste della Norvegia è impossibile non notare in ognuno di essi la presenza delle imponenti reti circolari messe in fila in batteria e collegate tramite un complicato sistema di tubature ad una “imbarcazione madre” che fornisce loro nutrienti e farmaci. La concentrazione di esemplari presente nelle reti è altissima e questo provoca una miriade di problemi sanitari che vengono curati con un apporto sempre maggiore di antibiotici che inevitabilmente finiscono anche nelle strette acque del fiordo compromettendone la salute ecosistemica. Dimentichiamoci dunque dell’immagine romantica del pescatore con stivali e canna da pesca che lungo un sinuoso torrente di montagna tira fuori dall’acqua un sano e luccicante salmone con la tecnica della mosca, la stragrande maggioranza di quello che viene esportato dalla Norvegia è prodotto grazie ad allevamenti che implicano costi sanitari e ambientali elevatissimi.
Usciti dalla regione di Senja ci troviamo già alle porte di Tromsø e da lì subito ad Alta dove passiamo la notte prima di coprire l’ultimo pezzo di strada che ci avrebbe finalmente portato al punto più a nord d’Europa fino agli ultimi chilometri prima di arrivare a Capo Nord. Qui la strada si inerpica in un bucolico ambiente brullo e pieno di laghi sparsi lungo una strada aspra e tutta in salita dove i fiordi si alternano in una continua danza di nebbia mista a nuvole trafitta a sprazzi da intensi raggi di luce, all’arrivo non si vede a più di quindici metri di distanza vediamo solo all’ultimo il casello al quale ci informano serenamente che per vedere la pietra che segna il punto di arrivo bisogna pagare un biglietto di ingresso come se fossimo al luna park.
Togliendo l’aspetto paesaggistico Capo Nord si rivela una delusione totale, grazie alla nebbia riesco ad evitare il ticket e visitare quello che ritengo essere solo una enorme macchina da soldi (si, non si dovrebbe dire ma temo sia immorale far pagare per vedere un pezzo di pietra). Non voglio immaginare il pensiero di chi qui ci arriva pedalando con fatica da chissà dove per poi scoprire che la meta tanto attesa non è altro che un centro dove, tra negozi di souvenir ristoranti e bar, cercano di scucirti il più possibile sfruttando l’epica immagine del punto più a nord d’Europa.
Dopo una rapida visita lasciamo questa specie di centro commerciale a tema nordico e visto che più in su di così non ci si può andare è arrivato il momento di puntare verso sud per l’ultima volta. Attraversiamo rapidamente la regione Lappone della Finlandia e iniziamo una lunga discesa verso Helsinki attraverso le note foreste pianeggianti finniche: ancora una volta il paesaggio cambia totalmente tornando ad essere piatto ed omogeneo nella sua ricchezza di abeti, pini e betulle. Se all’andata la protagonista indiscussa era stata la costa del mar Baltico la discesa è caratterizzata invece dall’entroterra della Finlandia che ci permette di saltare da un parco naturale all’altro riuscendo a visitare cinque delle trentacinque enormi aree protette presenti: Hiidenportti, Koli, Kolovesi, Linnansaari e Repovesi, una dimostrazione di salvaguardia ambientale che non smette mai di stupirmi.
Tornati nei dintorni di Helsinki dopo quasi quindicimila chilometri è tempo di lasciare la Scandinavia e tutte le sue perle, ma questo è solo un arrivederci, la prossima volta sarà sicuramente in inverno quando il freddo stravolge tutto come se fosse un altro pianeta offrendo una faccia totalmente differente di queste terre di infinita bellezza.