Sveglia alle 7,30. Una colazione veloce con abbondante caffè e partenza. Destinazione casa circondariale di Ferrara. È sabato 5 ottobre, il primo weekend del mese, Ferrara si riempie per il festival di Internazionale. Le code per i tagliandi come ogni anno invadono Piazza Trento Trieste, per poter entrare all’Arginone (senza commettere reati ovviamente) invece l’attesa durava da un mese, quando si sono chiuse le liste con i pochi posti a disposizione per il consueto appuntamento annuale con i detenuti. L’appuntamento è alle nove ma alle otto e mezza ci sono già persone che aspettano di poter entrare. Attendere l’ingresso davanti a dei cancelli che trattengono chi è in attesa di uscire ha il gusto amaro di una beffa. Stare da una parte o dall’altra delle sbarre può essere questione di fortuna, di casi della vita. Non sempre siamo padroni del nostro destino e a volte ci si può ritrovare di fronte a delle scelte o a degli avvenimenti che ti portano ad essere dalla parte sbagliata di quei cancelli.
Varcare quella soglia provoca pensieri, reazioni, paure. Stai compiendo l’atto fisico di attraversare un cancello, sai che non è la tua prigione ma non puoi smettere di pensare che avrebbe potuto esserlo. Attraversi diversi cancelli prima di arrivare nella zona di detenzione. Nella prima parte, appena entrati, l’occhio scappa alle finestre. Non ci sono le sbarre, solo normalissime tapparelle che riparano dal sole. Prima di entrare nel luogo di detenzione si passano altri cancelli, il verde e gli alberi diminuiscono, il cemento diventa protagonista di un’immagine senza prospettiva. I muri si alzano sostituendo l’orizzonte, l’aria si rarefà, per vedere il cielo si è obbligati a stare con il naso all’insù. Entriamo nella struttura principale, ormai i muri ci circondano e le sbarre sono anche nei lucernai sul soffitto. Il senso di costrizione è forte ed è impossibile non porsi domande su una permanenza, la mente è bloccata e la sensazione di oppressione rende difficile ogni altro pensiero. Non si tratta di una semplice limitazione fisica, è un blocco mentale, la struttura sembra fatta per sentirsi rinchiusi.
Non è semplice rendere con le parole le sensazioni che si hanno entrando in luoghi come questo, è qualcosa che si deve provare anche solo attraverso la finzione di una visita. I pensieri si confondono e si intrecciano tra loro fino a incrociare gli sguardi dei detenuti. Sono profondi, rassegnati a una pena che probabilmente non è quella certificata dalla costituzione. Lo scopo del carcere dovrebbe essere la rieducazione ma anche negli occhi di chi è rinchiuso non c’è la speranza di chi vede un futuro ma la rassegnazione di chi ha come casa solamente quelle quattro pareti. In fondo è di questo che si parla all’incontro con i detenuti organizzato in occasione di “La città incontra il carcere” durante il festival di Internazionale.
Il corridoio che attraversiamo per arrivare alla sala dove si svolgerà l’incontro è tappezzato di quadri fatti dai detenuti. Sembrano tante piccole finestre verso il mondo esterno. Alcuni denunciano, altri rappresentano la speranza. In uno si vede il filo che regge un aquilone che vola tagliare le sbarre in ferro che separano dall’esterno. In un’altro il profilo di un viso riempito dai fumi della televisione. Sono uno schiaffo che risveglia le coscienze dei visitatori, sono le finestre che mostrano la vita dentro le carceri priva di prospettiva. Poco più avanti le sculture degli Artenuti, un laboratorio di riuso artigianale che viene condotto in carcere da qualche anno. Sedie, orecchini, scaffali sono alcune delle cose prodotte riutilizzando materiali senza una destinazione. Danno, come i quadri, ai detenuti qualcosa a cui pensare. Un modo per uscire dal carcere con la fantasia, un modo per tenersi in allenamento e prepararsi alla vita che li aspetta al di fuori di quelle mura.
Ecco, questo è il grido che accompagna fino alla sala dell’incontro, una rappresentazione simbolica di quello che poi diranno i detenuti stessi sul palco insieme a Mauro Presini, Lorenza Cenacchi e la Garante dei loro diritti Stefania Carnevale.
“Una delle cose che dobbiamo evitare di fare – dice la Carnevale stimolata da una domanda – è recepire la situazione carceri come priva di problematiche”. La presenza e la possibilità di questi laboratori aiuta senza dubbio ad avere una prospettiva e questo implica avere più opportunità una volta usciti dalla cella. La situazione non è semplice, i fondi sono pochi e li si deve sfruttare al meglio. Avere la possibilità di abbattere i muri che li circondano attraverso arte, artigianato e scrittura è vitale in prospettiva dell’uscita. È proprio uno dei detenuti a gridare ai presenti la necessità di avere fiducia per poter riprendere in mano le fila della propria vita. Un appello alle aziende e ai cittadini di dare un’altra possibilità a chi è rinchiuso perché deve uscire, lo prevede la legislazione italiana. Su una popolazione carceraria di circa sessantamila persone solamente a un migliaio di queste è stato dato l’ergastolo. Non si può pensare che il carcere sia una fogna o una discarica. Il carcere deve essere una possibilità di reintegro nella società anzi, deve essere il trampolino di lancio verso il reintegro nella società.
Prima di uscire i detenuti regalano a tutti i presenti un portachiavi a forma di astrolabio e una copia della rivista del carcere che porta proprio il nome di questo antico strumento. Un compagno di viaggio indispensabile per i navigatori del passato come per i detenuti di oggi che attraverso la manualità, l’arte, la scrittura messe in pratica nei laboratori che svolgono, possono cercare la rotta che li porterà a varcare nuovamente i cancelli che li rinchiudono riabbracciando il mondo esterno.
1 commento
profondo, toccante, sentito!