L’aria di fine settembre porta con sé sempre un po’ di nostalgia. Per i giorni trascorsi a sognare, a perdersi tra le onde, a far viaggiare menti e cuori oltre i confini delle pareti che ci limitano e proteggono. Mi fermo un secondo a guardarli, tutti in fila, perfetti nelle loro pettinature alle quali, puntuale, si sottrae quell’unico capello ribelle che ancora si alza e fluttua, come l’ago di una bussola in direzione del cuscino abbandonato. Con gli zainetti carichi, carapaci che per anni li seguiranno nelle mille avventure della scuola e di quel che verrà dopo. Dopo. Ogni tanto la concezione del poi diventa fuorviante. Perché poi, concluse quelle interminabili ore annuali seduti a sentire, ogni tanto anche ad ascoltare, fiumi di parole che si intrecciano alle vicende del mondo… poi, che si fa?
Si continua, esplorando sé stessi e la propria voglia di scoprire, o ci si annoda a un’ancora salda, a un punto cardine lavorativo e a una quotidianità serena, concedendosi qualche piccola pausa. Qualche gita, qualche fuga, per spezzare la monotonia e farsi rapire da incantesimi sconosciuti. Tempo atteso, tempo troppo veloce, tempo insufficiente. Come estraniarsi, come volare via?
Legate ben strette le vostre scarpe, avviatevi verso il centro, superate la fortezza degli Este, proseguite in direzione dell’eco dei lamenti del Tasso e svoltate, lì dove l’architettura del ventennio si fa imponente. Varcate quella porta, che da uscio si trasforma in parete, in cascata, in vertice. In principio di scoperta.
Il Museo Civico di Storia Naturale di Ferrara è uno spazio dove perdersi, dove trovare le basi per la comprensione del sé e di quel che ci circonda. Ma è anche un luogo che si presta al gioco, alla magia dell’evasione, del sogno. E come per ogni settembre che si rispetti, ecco che la mia saudade dell’onirico mi porta a farvi assaporare qualcosa di differente dalle collezioni permanenti. Qualcosa di estremamente micro….e macro!
Quest’estate, gli artisti Marcello Carrà e Barbara Capponi hanno costruito, sotto gli sguardi attenti dei curatori Maria Livia Brunelli e Stefano Mazzotti una colorata via Nel Paese della Meraviglia tra le sale del Museo. Uno ha ingigantito il dettaglio. L’altra ha rimpicciolito il quotidiano astruso. “Mondi distinti ma non distanti”, specchi di visioni deliziosamente diverse.
Mi muovo, in questa sala che si estranea dalla claustrofobia delle teche ordinate, gironzolando libera tra le curve di calligrafie infantili. Ritrovo frasi dolcissime, storie senza capo né coda che trovano un loro senso assurdo, magie che solo i bambini riescono a fare. Carrà esce dallo schema logico dell’adulto e ci riporta tra le righe delle elementari, a perderci in dettagli insignificanti quanto essenziali, perché nulla sarebbe mai da dar per scontato. Sculture bizzarre accompagnano i testi, ne incarnano i soggetti, le fantasie. Ma poi l’artista sfugge ancora, balzando tra le mani di un piccolo scienziato che stringe una lente d’ingrandimento e scruta una cavalletta, che si palesa a noi nelle sue geometrie perfette, su un unico foglio di ben otto metri.
Questo inganno sensoriale, questo insetto così impeccabilmente dettagliato ed enorme che scruta serafico un pubblico curioso, è qualcosa che mi lascia un senso di ilarità misto a inquietudine.
E forse è proprio lì il gioco, il capovolgimento delle proporzioni, delle prospettive, a introdurre i Retablos, una serie di lavori di una sognatrice che lascia correre le idee, senza mai porre un confine alle parentesi create dal suo filo rosso. Non un filo rosso qualunque, ma personale, iridescente, mutevole, forte ma a suo modo fragile, veicolo di una dolcezza spiazzante che solo chi guarda oltre il proprio vedere, può sentire.
Me la ricordo, Barbara, il giorno dell’inaugurazione, tra una folla di curiosi chini nella ricerca di personaggi alti meno di un palmo disseminati qui e là, di signore eleganti che inforcano i loro occhiali per assorbire ogni dettaglio delle fotografie Retablos on the Loose e dei sogni in scatola, per poterli custodire stretti, oltre i confini delle pareti.
Mi aveva incuriosita subito.
Ma ho preferito attendere. Iniziare un viaggio senza l’ausilio dell’unica guida che avrebbe potuto svelare ogni dettaglio. Ho lasciato libera la mia curiosità, facendola vagare in mondi rettangolari, sfondo di incontri casuali e fortuiti, coloratissimi. Ho cercato ragioni e trovato risposte spiazzanti in minuscole pupille dipinte. Ed è stato, per citare la didascalia di uno dei miei Retablos preferiti, Amore a prima Vista.
E quando l’attesa si è conclusa, è iniziato il vortice.
La chiacchierata con Barbara è stata un po’ come una di quelle che si fa fuori dal tempo, dove partendo dalla genesi del Retablo si arriva a parlare di quando si era bambini, dei sogni con la luce accesa.
Magari molti di voi la ricordano per una carriera nella pubblicità, per quel suo figlio dagli occhi a palla, Carletto, o chissà, per le sue lezioni allo IED. Ebbene, io, Barbara, l’ho conosciuta così, su un filo di meraviglia, con mille nodi da raccontare.
“Ero una bambina curiosa. Passavo ore ed ore a perdermi in storie bellissime, a immaginare universi nel magico mondo dei pisolini del dopo pranzo. Tutto merito dei libri. I libri! Tantissimi! E le illustrazioni? Che belle, quelle che ti lasciano a bocca aperta e fanno correre le idee. Alcune erano illuminanti: adoravo leggere e trovarle. Mi ha salvato la vita! Da grande, ho passato anni a costruire storie, a scrivere e creare personaggi e marionette con le mie mani. Tanti, tanti anni a lavorare per la pubblicità. Te lo ricordi Carletto? Quello della Findus? Come dimenticare quegli occhi… Una volta gli abbiamo anche preso una nanny, lo avvolgeva tutto nel borotalco. Surreale, ma bello.
Io volevo regalare dei messaggi belli, come se dovessi salvare delle vite, fortissimo…desideravo portare la meraviglia in giro per il mondo. Volevo che la mia creatività fosse al servizio della bellezza, delle cose in cui crediamo. Poi, sono arrivati i Retablos.”
La prima cosa alla quale comunemente mi viene da pensare, sentendo la parola Retablos, sono le pale d’altare o, ancor più, quei quadritos messicani che affollano gli altari delle famiglie durante il Dia De Muertos. Ma qui è diverso. Resta quel lato pop, quasi kitsch, coloratissimo. In questo caso, però, i protagonisti sono personaggi di ogni genere, forma, consistenza e sfumatura, che si alternano tra situazioni poetiche, giocose e grottesche alle quali fanno seguito dei titoli a dir poco illuminanti.
Le narrazioni contenute in queste geometrie artistiche sono le più disparate. Da dinosauri che sbeffeggiano i presagi d’estinzione a mostri gialli che dirompono sulla scena in momenti intimi, a cieli di meduse che sguazzano via dalla pazza follia. C’è da perdersi.
Barbara, Babas, mi porta con sé in un personalissimo giro del mondo, fino alla Luna e ritorno. Mi racconta le sue storie, con sempre un occhio di riguardo a quella Natura così maltrattata, svalutata.
“Lo dimentichiamo, ma noi siamo natura! La mia natura da bambina milanese si orchestrava tra le aiuole dei giardinetti vicino casa, piccole oasi che nei loro limiti facevano da sfondo all’immaginazione. E poi, quelle sere a sognare nel giardino della casa dei nonni sul lago di Como… Ora, quando ho bisogno di ritirarmi nella natura, fuggo nella mia casetta alle Cinque Terre, a Monterosso, patria di moltissimi dei miei lavori.”
La immagino, nel verde, intenta a muovere piano le dita in quei pochi cm che diventano spazi infiniti.
“Non c’è una genesi univoca. A volte, tutto nasce dall’idea. Altre volte sono le mani a portarmi. Sono storie d’amore che durano giorni, mesi o anni, ma quando il coperchio si chiude, ci lascio sempre una parte di me. Anche perché spesso, dentro i Retablos, ci sono oggetti appartenenti alla mia storia personale. Uh, che fatica. C’è voluto del tempo sai, a lasciarli andare. Le prime volte non era facile. Il legame, la separazione. Poi invece ho imparato a trattarli come materia emotiva, a lasciarli liberi.”
L’esposizione NEL PAESE DELLA MERAVIGLIA è visibile nelle sale del Museo Civico di Storia Naturale ancora fino al 20 ottobre.
INFO: https://storianaturale.comune.fe.it/index.php?id=901
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