Sono passati da pochi minuti le diciotto. È domenica. Come da tradizione l’incontro conclusivo del Festival di Internazionale a Ferrara è ospitato dal Teatro Comunale, gremito e fortemente interessato all’incontro che più di tutti segna simbolicamente il tema centrale dell’edizione. In piedi ci sono la redazione e lo staff organizzativo del Festival, a lato alcuni ragazzi di Friday For Future Ferrara, autori della vera e propria ultima parola dell’evento, come probabilmente non era mai successo, dopo il commiato del direttore Giovanni De Mauro: chiedono supporto, partecipazione.
Noi ci siamo, dicono, “Noi ci saremo” è il titolo dell’incontro, inevitabilmente (e saggiamente) organizzato dando voce ai giovani attivisti che stanno scuotendo il mondo, per chiedere attenzione sul tema più universale possibile: il cambiamento climatico. Ma non è questo il luogo (ci scusiamo, in caso, per il fraintendimento) in cui dibatteremo del tema, o di Greta Thunberg o di movimenti come quelli ospiti in questo istante sul palco, Friday For Future e Extinction Rebellion.
Perché sarebbe uno sguardo miope, una inquadratura distratta, una semplificazione di quella che è stata sottotraccia (ma non troppo) la vera novità e il cardine di una edizione che ha raccontato essenzialmente un presente preso in mano, almeno a livello di narrazione e discussione, dalle giovani generazioni.
Storicamente non avviene da decenni: sta succedendo ora.
” Venite madri e padri da ogni parte del paese
“The times they are a-changing” bob dylan, 1963
e non criticate quello che non potete capire
i vostri figli e le vostre figli sono al dì la dei vostri comandi
la vostra vecchia strada sta rapidamente finendo.
Per favore spostatevi dalla nuova se non potete dare una mano
perché i tempi stanno cambiando.”
Pieghiamo dunque il concetto di tempo, sviluppando il racconto come fosse una inquadratura che sfuma immagine dopo immagine senza interruzione alcuna, per raccontare la forza di queste voci.
Cinema Apollo: Fatima Faizi, 25 anni, racconta con un inglese che suona afgano, squillante e disorganizzato negli accenti, la fatica di crescere in un paese conosciuto solo in guerra, sempre in guerra. Risponde e parla per minuti e minuti, srotola la difficoltà di far capire in famiglia la differenza tra giornalista e attrice, la paura di esercitare la propria professione, il timore che il ritorno dei talebani al potere possa distruggere la timida libertà femminile conquistata negli anni. No, anzi, non il timore: il terrore. E fa sorridere, nella sua parlata, commuovere, nelle idee, emozionare nella sua potenza: voi non potete capire, nemmeno immaginare, cosa voglia dire essere una giornalista donna in Afganistan e temere che per convenienza politica tutto torni indietro, a prima dell’undici settembre e a quello che ne è conseguito.
Istituto tecnico Bachelet. Quell’incontro, prematuro nell’orario e distante nella sede, che porta pochi, quasi nessun adulto, in una grande sala che ospita ragazzi, sospesi tra la maggiore e la minore età (si può dire?) e a cui viene chiesto di raccontarsi nelle passioni, nell’uso dei social network o l’ascolto della musica, la fruizione di serie televisive. Gli si chiede un racconto con un accento che appare un pò quello di chi vuol scoprire una curiosità durante un viaggio, esperienza di una volta, stravaganza di un mondo lontano. Tutto scorre leggero, fino a quando un ragazzo, vent’anni (colpevole di una bocciatura, si intuisce) si alza con fare deciso, fogli in mano, in piedi tra il piccolo gruppo seduto e incenerisce la sala, raccontando con fervore la distinzione tra la musica trap (di cui si sta parlando, moda del momento) e la musica rap. La differenza, spiega, tra un genere nato per esaltare droga, soldi e sessualità facile, obiettivi da sfoggiare una volta usciti dalla povertà e uno, il rap, nato per eliminare le pistole, per sostituire le pallottole con i duelli verbali, per salvare vite, cambiare direzione dal canovaccio della legge violenta della strada, inventandone un’altra. Magari c’è un pò di retorica, ma quanta passione e quanta lucidità nell’analizzare, intanto, i social network come semplici strumenti di comunicazione: gli adulti chiedono il conto, delle ore trascorse su quelle piattaforme. I ragazzi sembrano avere già superato il discorso, essere fuggiti da Facebook (“pieno di fake news”), consapevoli delle debolezze di questi strumenti, coscienti dell’uso dei dati personali e delle conseguenze.
Cortile del Castello, gremito, quasi da stadio: c’è solo Luca Mercalli eppure ogni centimetro disponibile pare riempito da un essere umano. Il climatologo chiede quanti dei presenti abbia meno di trent’anni: praticamente tutto il nucleo centrale, le persone sedute, quelle che hanno scelto e preso il posto. Chiede poi, per provocare, quanti sarebbero disposti a non volare più, se non per estreme necessità: eliminare l’aereo preso per una semplice vacanza. E succede un evento particolare. La sua voce racconta che si alza un quindici per cento delle mani, un pò di più del consueto dieci per cento del suo pubblico, eppure non è così. La nostra posizione sopraelevata ci mostra un trenta, quasi quaranta per centro abbondante di braccia alzate e mostra nuovamente la frattura tra come gli adulti vedono la generazione più giovane e come questa è invece veramente: già pronta, anche solo mentalmente, predisposta a cambiare, desiderosa di mettersi in gioco.
Di nuovo al Teatro Comunale, 19 anni Daze Aghaji e Alexander Fiorentini, attivisti, 30 per Jaap Tielbeke, giornalista, che raccontano non un’idea di cambiamento, ma un’idea di vita assieme, con uno scopo comune.
A 16 anni mi sono chiesta: il mondo mi sta mentendo? Quello che vogliamo fare è solo mostrare il problema: ascoltate la scienza, noi stiamo solo dando luce al problema. È incredibile vedere il senso di comunità, di compassione, di pietà che si sviluppa nella reti di attivismo.
Adesso abbiamo semplicemente qualcuno in cui riconoscerci: ma dobbiamo includere tutti in questa discussione, è il problema del nostro futuro, di noi tutti assieme.
estratti dall’incontro “noi ci saremo”
Se lo si vuole capire, questi giovani trasversalmente ci stanno già insegnando qualcosa. Non parlano mai di escludere, ma di includere. Non di differenze, ma di visione comune. Riconoscono e apprezzano l’idea di studiare e approfondire, così come quella di mettersi in prima linea, nel mondo reale per chiedere cambiamenti o mettere in atto quegli stessi cambiamenti. Promuovono il rispetto, non cercano colpevoli: anni di violenza verbale li hanno resi intolleranti alla rabbia, forse.
Mentre li consideriamo chiusi tra videogiochi e social network, non più in grado di comunicare, nel giro di pochi mesi hanno creato reti di mobilitazione nella strade efficaci ed efficienti, prive di ideologie ed in grado di creare consenso ed esercitare pressione sui potenti della terra.
In attesa di poter sedere al tavolo delle decisioni.
Ci hanno raccontato, per un fine settimana lunghissimo e denso di incontri, di sogni, cambiamenti, cultura, condivisione, comunità, presente e futuro. Parole che stavamo dimenticando. Mentre discutiamo se concedere il voto ai sedicenni, qualcuno ha dato loro un microfono: abbiamo scoperto che all’orizzonte, forse, c’è speranza e che una volta di più, i tempi stanno cambiando.
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Internazionale a Ferrara
Alcuni protagonisti:
Fridays For Future Italia
Extinction Rebellion
Fatima Faizi
Alexander Fiorentini
Jaap Tielbeke
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