Quella del caviale del Po è una storia quasi dimenticata, che lega le tradizioni medievali della città di Ferrara ai lavori più umili del ‘900, quelli che venivano praticati nella golena, la parte di terra che separa l’argine dal fiume, e che in periodo di piena viene immediatamente allagata. È una storia che intreccia il folclore popolare con le tavole di nobili e signori, e di cui oggi, purtroppo, rimane ben poco. Per questo motivo merita di essere raccontata.
Comunemente si ritiene che il caviale sia originario dell’Est Europa, il pensiero va subito a qualche aristocratico russo, al grande fiume Danubio, o al Volga. In realtà la ricetta del caviale l’ha ideata un ferrarese, attorno alla seconda metà del XVI secolo, si tratta del celebre chef della corte estense Cristoforo da Messisbugo, autore di diversi libri di cucina, tra i primi pubblicati al mondo. Ferrara all’epoca viveva un periodo di splendore ed era usanza dei nobili stupire i propri commensali con portate creative e scenografiche.
La sua ricetta è arrivata sino ai giorni nostri e si intitola “Caviaro per mangiare fresco e per salvare”:
Piglia l’ova dello storione, e come sono nere sono migliori; e distrigale su una tavola con la costa del coltello nettandole bene da quelle pellegate, e pesale, e per ogni libbre 25 d’uova, gli ponerai oncie 12 e mezza di sale, cioè oncia mezza per libbra d’uova.
Poi le ponerai in un vaso con il sole e le lascerai così per una notte. Poi averai un asse nuova, pulita, longa piedi tre e larga piedi uno, colle sponde di legno intorno inchiodate, alte tre buone dita. Poi piglierai le dette uova e le ponerai su la detta asse.
E le ponerai nel forno che sia onestamente caldo, per spazio di due pater nostri, poi le caverai fuori e le mescolerai molto bene con una palettina di legno e le ponerai un altra volta in forno, lasciandogliele come detto sopra.
E andrai così facendo sino a che seran cotte; e questo serà quando le uova non schiopparanno sotto il dente, e che saranno mancanti quasi il terzo.
E bisogna bene avvertire a questa cottura, perchè per conservarlo un anno o due farai di questa maniera: lo porrai in vasi di pietra bene invitriati, con un poco di olio sopra, in loco fresco. E quando serà gran caldo, per ogni vinti giorni bisognerà levargli quella telarina che darà di sopra: e gli aggiungerai un poco d’olio.
E come non serà caldo, bastarà riguardarlo ogni due mesi.
In quello che vorrai mangiare fresco, che è ottimo, gli porrai solamente un terzo d’oncia di sale per libbra d’uova, oncia una e mezza di pevere ammaccato per ogni peso d’uova.
E questo pevere non si pone in quello da salvare perchè lo fa rancido; ponendoglielo maccato però, ghe ne potrai mettere oncia mezza di pesto per peso, e ponendoglielo col sale, quando salirai le uova.
Dopo la caduta degli Este della celebre ricetta si sono quasi perse le tracce, ma la tradizionale pesca allo storione è praticata nel ferrarese almeno fino alla metà del ‘900. Lo testimoniano le numerose comunità di pescatori che sorgevano tra le sponde emiliane e venete del grande fiume, arrivando sino al Delta. I racconti sulle imprese di questi uomini che sfidavano i giganti del Po con reti artigianali ed arpioni sono ancora tramandati tra la gente di fiume. Ci si ricorda di pesci che raggiungevano tranquillamente i 2 metri di lunghezza e i 100 kg di peso, ma che nelle specie più massicce arrivano anche a toccare i 6 metri e i 500 kg. Una sfida dura, che non sempre vedeva il pescatore come vincitore.
Negli anni ‘30 in pieno centro storico, per la precisione in Via Mazzini, nel cuore del ghetto, proprio all’angolo tra via Vignatagliata e via Vittoria (dove oggi sorge il negozio Quellogiusto), si trovava un piccolo negozio di alimentari celebre per la produzione di caviale: la bottega di Benvenuta Ascoli, detta la Nuta. È lei una delle ultime custodi dell’antica ricetta medievale del caviale cotto, tramandato fino ad allora solo attraverso la pratica e la tradizione delle cucine popolari locali.
Ma che fine ha fatto la Nuta? Dai registri dell’anagrafe cittadina emerge come la cuoca sia morta nubile, a Ferrara, nel 1941. Sulla sua scheda anagrafica compare il timbro con la dicitura “razza ebraica”. Erano già state approvate le leggi razziali del 1938.
Alla Nuta succede il suo garzone di bottega, Adolfo Bianconi, che rileva l’attività ed alcuni segreti del mestiere. Il negozietto era nel frattempo mutato da “bottega con specialità ebraiche” a “rosticceria”, e il caviale smise di essere venduto al pubblico. Il 24 aprile del 1945, a guerra finita, Bianconi perderà poi la vita in un agguato e per il suo omicidio non sarà mai individuato un colpevole. Rimase però la moglie a tenere l’attività fino al 1972, Matilde Pulga, detta Tilde. Sarà lei a riferire al Centro Etnografico Ferrarese la ricetta originale appresa dalla Nuta, miracolosamente del tutto simile a quella riportata da Messisbugo nel 1500, ove le uova di storione venivano cotte in forno in una cassa di legno con l’aggiunta di sale e pepe, e periodicamente mescolate e rivoltate, in modo da assicurare una cottura omogenea, con alla fine l’impiego dell’olio come conservante. Ma all’epoca della testimonianza di Tilde le razze di storione Beluga (Huso Huso), Comune (Acipenser Sturio) o di Adriatico (Acipenser Naccarii) del Po avevano già ceduto il passo al progresso tecnologico.
Qualche anno prima infatti Renato Dall’Ara, attraverso il suo film Scano Boa (1961), aveva girato un’opera di finzione sulla vita dura e miserabile degli ultimi pescatori di storioni di quell’epoca. Il regista descrisse una comunità isolata nel delta del Polesine, un borgo di piccole capanne realizzate in canna di palude, dal nome omonimo al titolo del film. Le immagini ritraevano personaggi abituati a vivere a stretto contatto col fiume e delle sole risorse che questo gli procurava. Ecco allora prendere forma i pescatori del Po: superstiziosi, selvaggi, miscredenti, legati allo scorrere incessante del fiume ed alla sua storia, fino alla fine. Destinati inesorabilmente a scomparire insieme alle loro prede.
La fine dello storione del grande fiume ha un nome: si chiama Diga di Isola Serafini. Questo colosso idroelettrico è stato realizzato nel 1958 dalla Sima, successivamente acquistata dalla società Enel. Lo storione per riprodursi migra naturalmente dal mare, fino alle zone pedemontane nell’alto corso dei fiumi, ove l’acqua è più pulita ed ossigenata. Per intenderci, si tratta di una migrazione simile a quella compiuta dai salmoni. La costruzione di sbarramenti lungo i corsi d’acqua ed in particolare la creazione della gigantesca diga che ha diviso in due il fiume Po all’altezza di Piacenza, ha impedito la normale migrazione riproduttiva dello storione. Se da un verso il fascismo e la guerra hanno determinato la scomparsa della tradizione del caviale ferrarese, dall’altro l’industrializzazione ha provocato l’estinzione dello storione e del suo habitat.
Dalla scomparsa di questo pesce, oggi non rimane nulla delle comunità di pescatori di Scano Boa, di quelle di Berra, o di Stellata. I fragili villaggi in canna di palude si sono disgregati e mischiati al paesaggio. Si sa solo che l’ultimo a servire in tavola uno storione fu lo storico ristorante Tassi di Bondeno, negli anni ‘70, dopodiché dal grande fiume nessuno ne pescò più. Nulla resta del gigante del Po, una specie di Moby Dick di acque dolci per i pescatori di allora, la cui cattura assicurava benessere e stabilità ad intere famiglie. Un pesce maestoso e leggendario che in epoca antica aveva ispirato con le sue peculiari placche ossee le immagini dei draghi. Quella preda che invece di “pescare” si doveva “cacciare” non ha potuto adattarsi ai mutamenti del suo ambiente naturale, incapace di scavalcare la barriera di 9 metri di cemento realizzata dalla Diga di Isola Serafini.
Fortunatamente non tutto è perduto e grazie ad alcuni recenti progetti europei, come il Progetto Cobice Life (2004) od il Progetto Storione Cobice (2018), si stanno progressivamente reintroducendo intere popolazioni di storioni mediterranei nelle acque del fiume Po e in quelle dei suoi affluenti. In più nel 2017 è stata inaugurata la scala di risalita dei pesci presso la diga di Isola Serafini, opera che permetterà finalmente, dopo oltre 60 anni, la migrazione riproduttiva delle specie ittiche nell’alto corso del fiume. Resta perciò un senso di speranza per il futuro, attendendo il ritorno dello storione nelle acque che l’hanno sempre ospitato. Mentre della cultura e della tradizione legata a questo maestoso pesce rimane ben poco purtroppo, giusto qualche chiacchiera da bar di paese tra uomini di fiume. Spetta a noi perciò tramandare questa storia, e ricordare che Ferrara una volta era la vera e sola capitale del caviale italiano.
Fonti:
– Il caviale del Po – Una storia ferrarese, Michele Marziani, 2G Editrice
– La barca sul Po, Vitaliano Daolio, Stefano Rotta
– Scano Boa (1961), Michele Dall’Ara
– Foto storiche: prese da “Il giornale del Po” e “Telestense” reperibili in rete
10 commenti
Bella storia, mi fa piacere leggerla perché mi ricorda quello che mi raccontava il mio papà. Il nonno lì aveva pescati e quando prendevano lo storione femmina loro la chiamavano (clumbina) veniva venduto ad un signore in via Mazzini che era quello offriva di più. Grazie.
Stupenda
Bell’articolo Marco!
Molto bello!
Interssantissimo e coinvolgente. Spero che con l’iniziativa di qualche Associazione, si possano sensibilizzare le tre regioni interessate al Po e che si riesca far tornare lo Storione nel grande fiume.magari in anse protette e a lui dedicate. Seguirò e caldeggero’ ogni sviluppo. Complimenti
Bravo interessante storia ,pensa si fosse riuscita a salvare la tradizione dello storione di po,oggi si parlerebbe di un economia diversa per la gente che abita sul grande fiume
Il caviale cotto di Messisbugo, della Nuta, il caviale ferrarese è rinato !
Cercate su internet…..
Credo vi possa interessare:
https://www.lombardianotizie.online/storioni/
Sembra che lo storione stia tornando!!!
Ho visto personalmente qualche anno fa, tre circa l’immissione di 50 storioni a pentelagoscuro, io pesco sempre in quelle zone e faccio buona guardia affinché qualche sprovveduto non ne approfitti!
Il Po è pieno di pesce gatto americano, mi chiedo se lo storione può conviverci?