Poco prima della metà di luglio, giorni undici e dodici per la precisione, anno 2003. È un’estate insolitamente calda, tutto quello che sappiamo oggi sui pericoli collegati al riscaldamento globale sono già noti, ma ignorati. Nel giorno seguente alla seconda delle date di Ferrara dei Radiohead, Lance Amstrong prenderà possesso di una maglia gialla da leader di un Tour de France, quinto consecutivo, che poi perderà (saranno sette, consecutivi) in una delle più fragorose cadute sportive ed umane di sempre, rivelando il doping dietro le proprie imprese, le cui memorie svaniscono, istantaneamente, come una nebbia mattutina ai primi raggi del sole.
Curiosamente, la settimana precedente Roger Federer ha vinto il suo primo Slam, nella Wimbledon che lo ha visto nuovamente, in questi giorni (quasi) eroe, mozzando il fiato a mezzo mondo con la finale persa contro Novak Djokovic.
In questo magico 2003 Thom Yorke ha trentaquattro anni.
È leader di una band che ha appena varcato i confini del mito: Ok Computer (1997) segna una generazione con un disco che sposta il confine del rock, Kid A e Amnesiac (tra 2000 e 2001) osservano e impostano il futuro della musica e raccontano forse il più spettacolare cambio sonoro, estetico e filosofico di una band di successo degli ultimi decenni musicali.
Poco prima della data di Ferrara, il 3 Giugno, è uscito Hail To The Thief.
Un album acclamato eppure destinato a non diventare mito, forse perché eterogeneo, diamante dalle mille facce, non riassumibile in un concetto, il cui fragore nell’attesa di un appuntamento dal vivo è però enorme.
Oggi il nostro Thom di anni ne ha cinquanta.
Non è cambiata la piazza, forse il calore si, ma è una tregua passeggera dopo un giugno rovente e una primavera che verrà ricordata per la protesta civile di Greta Thumberg, per fermare il cambiamento climatico.
Un tema che mi hanno fatto conoscere i Radiohead in quella edizione di Ferrara Sotto le Stelle è il rispetto per il pubblico – mi racconta Roberto Roversi, per tanti anni curatore della rassegna che, probabilmente, in quel fine settimana raggiunse il suo apice più alto.
Era l’unico momento in cui potevamo avere i Radiohead: erano in cerca di posti particolari, di luoghi con una bellezza, di location ancora piccole. Già molti mesi prima vennero alcune persone dello staff per analizzare la piazza, per valutare che tutti, da ogni posizione avessero accesso ad una giusta visione del palco. Costruimmo il palco per loro, il palco dei Radiohead. Per la prima volta preparammo la pedana per i disabili. Fu davvero un’occasione incredibile per scoprire quando il gruppo tenesse ad ogni singolo spettatore. Avevo capito che fare quelle due date ci avrebbe aperto le porte negli anni successivi a molte più possibilità.
Nel 2003 la piazza non era piena: molto di più.
Qualcuno aveva passato la notte, molti l’intera giornata, in una sensazione quasi messianica di essere in attesa di una esperienza che andava oltre la normalità di un concerto. Era l’evento della vita, ed era in Piazza Castello, Ferrara, per due sere consecutive.
Solo pochi mesi dopo inizia la carriera solista di Thom Yorke, per la discografia nel 2006 con The Eraser, nella realtà pratica dalle sessioni di inizio 2004, pochi mesi dopo quel tour, quando Yorke inizia a sentire la necessità di un percorso personale.
Da solista, lungo tre album e una colonna sonora (Suspiria), la sua musica diventa uno specchio sempre più allarmato di paure e angosce, un incastro di battiti sonori e parole frammentate.
Siamo cresciuti tutti, in questi sedici anni.
Tranne forse Lance Armstrong, che non rinnega la sua idea di vittoria oltre ogni regola (“non era legale, non era la decisione migliore, ma non cambierei nulla” ha dichiarato pochi giorni fa).
Roberto Roversi ha lasciato in ottime mani il Festival ed è a capo da diversi anni del Circolo Nazionale dei Cinema Arci.
Di Roger Federer, ne abbiamo già parlato. Thom Yorke, invece, è diventato adulto e consapevole di sé stesso. In alcune interviste prima dell’uscita di Anima ha raccontato la sua ansia per il presente e al contempo la necessità e la sensazione di essere vicino ad un risveglio di massa.
Lui stesso ha scoperto il proprio corpo e la propria fisicità. In una insolita intervista a cuore aperto (https://crackmagazine.net/article/long-reads/thom-yorke-daydream-nation/) spiega come il rapporto con l’attuale compagnia, attrice (Dajana Roncione), gli abbia insegnato il rapporto con il proprio corpo.
Come non sia possibile lasciarsi andare in un ruolo senza abbandonarsi completamente e la difficoltà di coniugare tutto questo con la necessità di suonare, cantare, lavorare con le macchine sul palco.
Thom Yorke in Piazza Castello è sembrato felice.
Di fronte ad una folla non indifferente, capace di attraversare tutte le età, lo spettacolo offerto è stato quello di un uomo completamente a suo agio. Tre sul palco, con il fido Nigel Godrich ai suoni e Tarik Barri alla componente visuale, che avvolge da dietro l’intera formazione, per un live che è stato, come su disco, un enorme flusso musicale.
Un insieme organico dei vari album solisti del cantante, con l’ovvio riflettore acceso su Anima, disco appena uscito, che ha raccontato quasi una festa mossa nella direzione di un’amalgama sonora di loop, battiti, intrecci vocali, filtri. Si è spesso stati vicini a ballare (anzi, molti si sono lasciati andare) e soprattutto in diversi momenti si è percepito come il tono della serata fosse una celebrazione.
Della vita, o della felicità, forse.
Già nel primo brano, nel primo momento strumentale disponibile Thom Yorke si è spostato sul ciglio del palco per alcuni secondi, sorridente e quasi chiamando gli applausi. Riducendo quella distanza emotiva palpabile negli anni, quando dentro alla band principale ha sempre dato l’impressione di essere in un certo qual modo goffo nei movimenti, chiuso in sé stesso, deciso a lasciare volare quella meravigliosa voce eppure espressione di un disagio emotivo che i Radiohead si sono sempre portati dentro. E che non manca in Anima, vero e proprio manifesto contro ad una società digitale, fredda e insensibile, specie su tematiche su cui occorre intervenire oggi, come l’ambiente.
Eppure in questa piazza questa ansia e questo disagio si sono convogliati in sorrisi e danze. In una celebrazione condivisa. Il viso di Thom Yorke era splendente, il sorriso emozionante. Le spalle dritte, i balli (come dimenticare le scomposte e adrenaliniche esibizioni su Idioteque di un decennio fa) sono diventati armonici, totalmente a tempo, fieramente orgogliosi di un mondo sonoro ricreato ad arte nello scenario dal vivo.
Inutile entrare nel consueto racconto dei brani cantati, sarebbe una strada banale che mancherebbe di mettere a fuoco l’idea nel complesso. Le due ore quasi esatte di concerto, ottimamente aperte dall’itallano (e purtroppo poco conosciuto) Andrea Belfi, hanno davvero chiuso un cerchio.
Quel gesto spesso ripetuto, le mani conserte e un leggero inchino, di chi restituisce in uno stile più orientale al pubblico il merito di avere reso possibile la serata è il grazie di un uomo che vuole lanciare un messaggio positivo.
Tutto il progetto (Tomorrow Modern’s Boxes) in generale è il simbolo dichiarato di un cantante che è capace di parlare un linguaggio universale. Per questo la platea così stratificata, dai ragazzini alle persone che probabilmente già c’erano nel 2003 ed erano già adulte.
Questi battiti digitali, queste parole frammentate hanno colpito nel segno.
David Foster Wallace, nel suo saggio “Il Tennis come esperienza religiosa” ha scritto:
“…quasi tutti gli amanti del tennis che seguono il circuito maschile in televisione hanno avuto, negli ultimi anni, quello che si potrebbero definire «Momenti Federer». Certe volte, guardando il giovane svizzero giocare, spalanchi la bocca, strabuzzi gli occhi e ti lasci sfuggire versi che spingono tua moglie ad accorrere da un’altra stanza per controllare se stai bene. I Momenti sono tanto più intensi se un minimo di esperienza diretta del gioco ti permette di comprendere l’impossibilità di quello che gli hai appena visto fare.”
Si potrebbe dire lo stesso, di Thom Yorke. Forse ognuno ha il suo momento Thom Yorke e il mio è stato Not The News, dall’ultimo disco, sublimazione dell’idea musicale dello Yorke solista
Un piccolo rave del futuro racchiuso in pochi minuti di canzone, incredibilmente immaginato da chi suona musica da trent’anni e che non smette di guardare avanti, cambiando sé stesso, migliorando sé stesso.
E, abbiamo scoperto, trovando la felicità. Sedici anni dopo, ancora nella stessa piazza, cambiando e crescendo, la magia è rimasta per tutti.
Peccato per quel Lance Armstrong.
https://www.ferrarasottolestelle.it/
https://anima.technology/
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