Corso Porta Po; mi trovo all’ingresso di C.A.T. Music Repair. Forse mi ricorda una di quelle botteghe anacronistiche che contengono oggetti impensabili senza nessuna connessione, attrezzi ai quali non saprei mai associare un utilizzo; forse mi sembra il laboratorio di un orologiaio, di un genio della manualità, di un artigiano con le mani piccole e il monocolo; in una frazione di secondo cerco di decidere quale sia l’interpretazione più calzante spostando lo sguardo tra un vecchio pc enorme, marca Atari, un paio di scaffali colmi di piccoli oggetti, un pianoforte verticale e qualche altro strumento scomposto. Scorgo Mattia in un angolo, dietro al pianoforte, chino sul suo tavolo di lavoro, con una chitarra in grembo.
Mattia Capozzolo ha scelto una passione particolare, o meglio questa passione ha scelto lui quando, studiando elettronica alle superiori, ha cercato un’applicazione soddisfacente della sua abilità a destreggiarsi tra circuiti, fili e altri strani minuscoli aggeggi, che poi imparerò chiamarsi resistenze. Tia, come lo chiamano tutti, costruisce effetti a pedale per chitarra e basso, i cosiddetti pedalini; quelle piccole scatole metalliche che invadono palchi e sale prova, partendo dai piedi dei chitarristi e limitando lo spazio di manovra dei cantanti (e dei pochi bassisti che ancora non sono entrati nel vortice dell’effettistica). “I primi progetti li ho fatti proprio a scuola: disegnavo gli schemi e li davo ai professori che mi realizzavano fisicamente i circuiti; all’epoca non riuscivo ancora a produrli autonomamente – racconta Tia -. Il circuito in rame si crea tramite un processo chimico, per sottrazione, con una maschera in negativo: un acido elimina il rame superfluo, quello non coperto dalla maschera, e così rimangono le piste”. Probabilmente i pedali 1 e 2, i veri prototipi di Tia, sono ancora in circolazione; si narra fossero inscatolati approssimativamente ma che funzionassero benissimo.
Dai primi tentativi, l’idea di Tia ha impiegato qualche anno a concretizzarsi, alla ricerca delle componenti e degli strumenti utili. Poi gli amici iniziano ad accorgersi del talento di Mattia, cominciano a chiedergli qualche modifica alla loro attrezzatura, ad interessarsi alle sue creazioni. “L’approccio che ho adesso è molto su commissione in realtà: ho una pagina Facebook dove i clienti mi contattano in quanto ‘artigiano’, per modifiche, perché cercano qualcosa con determinate caratteristiche, ma il mio obiettivo sarebbe quello di arrivare a produrre una linea mia. Sto cercando la strada giusta per farlo diventare il mio lavoro. Voglio continuare a fare le cose fatte a mano, a farle io dall’inizio alla fine, ma producendo pezzi ben definiti, che rispecchino una mia idea”.
Mi chiedo come faccia ad immaginare un suono guardando una serie di complicatissime connessioni, e lui confessa che a volte il risultato non è esattamente quello che si aspetta, ma questo non vuol dire che sia meno buono, anzi, “… ho notato che spesso l’approccio a calcoli, per quello che faccio io, è molto difficile. Puoi fare tutti i calcoli del mondo, e magari sono anche precisi e veri, ma poi ti accorgi che probabilmente, quel componente che sembra nel posto sbagliato, è quello che permette all’effetto di suonare bene, che crea qualcosa di più interessante. Successivamente subentra un’altra variabile: può suonare bene con un determinato amplificatore o una determinata chitarra ed essere meno buono in altre occasioni. A volte bisogna procedere per tentativi. Spesso faccio testare i pedali ad amici musicisti e chiedo qualche consiglio”. Alcuni risultati inaspettati sono messi in conto quando le variabili sono così tante e i gusti così soggettivi.
Questa abilità tecnica, questa incredibile manualità, Mattia dice di averla ereditata dallo zio, appassionato esploratore dei meccanismi di funzionamento degli oggetti; ma piste e collegamenti necessitano anche un corrispettivo estetico, una grafica che orni la scatola metallica del pedale, ed ecco che Tia se la cava egregiamente anche qui: “La mia mamma lavorava in una tipografia, devo aver preso da lei l’attenzione grafica alle decorazioni. Mi piacciono i disegni geometrici, con pochi colori, senza i nomi dei comandi… infatti poi mi sento sempre dire dai clienti ‘Fai la grafica che vuoi però, ti prego, scrivimi a cosa servono le manopole!’ Io sono un po’ contro questa cosa: mi piacerebbe invogliare a sperimentare, a giocare con i controlli per tarare i pedali in maniera ottimale. Io non posso dare suggerimenti sulle regolazioni, il suono è una cosa personale!”. Le manopole sono un’altra fissazione di Tia, che colleziona magnifici pomelli aspettando di utilizzarli sul pedale perfetto.
Nel frattempo, qui nel laboratorio di Corso Porta Po, Tia inventa, ripara, studia e si cimenta anche su altri apparecchi musicali.
Qualche tempo fa ho assistito ad una scena emblematica: un chitarrista con un amplificatore rotto ha richiesto un suo intervento a poche ore dal concerto. Tia si è recato sul posto e in qualche minuto ha sistemato il problema, come una guardia medica musicale. Tutti i malconci strumenti in questa stanza sembrano proprio pazienti in attesa. Per rimanere ironicamente in tema, Mattia mi racconta che in questo periodo sta anche ‘riparando organi’; ne ha persino incontrato uno ‘indemoniato’ che sembrava godere di vita propria, accendendosi e spegnendosi autonomamente.
Mattia parla con una passione insolita, racconta aneddoti sugli strumenti in attesa di riparazione e mi mostra un vecchio mixer che un cliente gli ha regalato, “Da questo estrapolerò qualche pezzo utile. Guarda questa! (mi mostra una gigantesca scheda intarsiata di rame, n.d.r.)”. Sul muro, quelle che sembrano fitte mappe di metropolitane impossibili, raffigurano circuiti interni di pedalini ed amplificatori: un linguaggio strano, comprensibile a pochi, ma estremamente decorativo. Il mio dilemma non si è risolto, temo sia peggiorato: non so ancora se questo laboratorio assomigli più ad una bottega vintage o ad un’orologeria, ma so che c’è anche qualcosa di alchemico. Immagino, di notte, le tastiere prendere vita, assieme agli amplificatori, i pedalini ed il computer Atari. Ed è subito Hugo Cabret.