“Domani te ne parlo”.
Quando due esistenze, fino ad allora sconosciute, si raccordano, anche per una volta sola, c’è un naturale percorso di studio reciproco. Eppure, domani, cioè oggi, o meglio ancora qualche giorno fa, per chi legge, Antonio Dondi, voce degli Strike, storica band della provincia, inizia a parlarmene subito. Sarà che sono passate poche ore, sarà che forse, a guardare bene c’è ancora l’ombra umida di una lacrima. Difficile sapere se è stata versata, nemmeno così interessante, non siamo qui a osservare con lo sguardo di una telecamera l’emozione altrui: siamo qui, dopo un velocissimo accordo a parlare del nuovo disco della band, gli Strike, appunto.
“Tutto da rifare” il titolo. Sarà che sono passate poche ore ma nel tragitto (notiamo la casualità, un bar chiuso che impone di riempire lo spazio vuoto, qualche centinaia di metri verso il successivo) Antonio racconta subito la dolorosa perdita ufficializzata in mattinata. È venuto a mancare Marzio. Il funerale si è tenuto nella stessa giornata e lungo quelle poche centinaia di metri ci diciamo alcune cose, il registratore è ancora spento, off the record, direbbero gli inglesi. Lui mi racconta l’importanza di una persona in qualche modo adottata dalla band, una persona con dei problemi e cresciuta in un contesto difficile, che è sempre stata vicina al gruppo, anzi, anche protagonista, come voce e sul palco (ci arriviamo).
Io, intanto, gli spiego che non sarei qui per la solita intervista, per quelle banali dichiarazioni dove non si fanno le domande: si ascoltano solo le dichiarazioni per riportarle. Parleremo del disco, certamente, ma sarà sfondo della vicenda degli Strike, colonna sonora del racconto, ritmica danzante di parole (ora si, ufficiali, microfono acceso) spese nel tempo (lungo, un’ora quasi, follia in un’epoca veloce, quasi come questo racconto, che ancora sta iniziando e dovrebbe già essere finito). Un ritratto umano. Facciamo qualcosa di diverso.
“Questo disco è un punto di arrivo e un punto di partenza. Il disco precedente era l’arrivo, in effetti. Ora abbiamo sentito la necessità di andare oltre, di tradire in un qualche modo le nostre origini. La musica è continuo tradimento delle origini, altrimenti non ci sarebbe mai stata evoluzione e saremmo ancora ai canti gregoriani” – racconta Antonio.
“È un disco che non ha paura di aprirsi al pop, come nel singolo Mantra Pop. Secondo me noi siamo sempre stati una band pop, eppure avendo le nostre radici nel punk e in altre culture fortemente ideologiche e identitarie, ci siamo sempre inconsapevolmente tenuti un po’ lontano dal pop. Questa volta ci siamo detti: giochiamo, tiriamo fuori la nostra anima più libera.”
“In qualche modo oggi gli Strike sono un collettivo, ci definiamo così: negli anni tante persone sono passate, alcune hanno lasciato per questione di tempo, altri se ne sono andati sbattendo la porta. Il cuore essenziale è rimasto e non ci siamo mai fermati, non vogliamo essere percepiti come una band da “reunion”, non ce ne siamo mai andati. Esserlo vorrebbe dire amare i noi stessi del passato, invece bisogna innamorarsi del futuro.”
Eppure, chiediamo, voi esistete da tanti anni. Come si fa a trovare l’energia per rinnovarsi e cambiarsi, quando spesso giovani band esauriscono la loro spinta vitale nel giro di due o tre album, arrivando poi a ripetere loro stessi all’infinito?
“Vedi, è questione di passione. Noi siamo nati negli anni Ottanta. Cresciuti in provincia, abbiamo visto una piccola realtà come quella di Ferrara in un decennio in cui era finito il terrorismo, erano terminati i moti giovanili: si potevano avere infinite possibilità e incontrare infiniti pericoli. Avevamo davanti tante strade e le vie più facili erano quelle meno sane. Oggi si parla di degrado, ma io ricordo Ferrara negli anni Ottanta. Ricordo le prostitute che vendevano eroina in via delle Volte, lo spaccio a cielo aperto in Piazza Verdi, le siringhe piantate e rimosse ogni mattina dagli alberi da chi puliva la città. Il rumore sotto le scarpe delle cose abbandonate, il pericolo nell’appoggiare il piede a terra. Le divisioni e gli attriti dei giovani. A Rimini, ad esempio, in quello che oggi è il patinato e famoso Viale Ceccarini, erano visibili in pochi metri: estrema destra, centri sociali, comunisti, frange e tifoserie, lusso e povertà. Era un mondo che a me piaceva, affascinava ma in cui era facile affogare. Avevamo la possibilità di farci ogni male possibile. Noi abbiamo sempre fatto delle scelte: investire quei pochi guadagni nella stampa dei dischi, negli strumenti, nella musica piuttosto che, ad esempio, in una automobile nuova”.
Antonio sorseggia una tisana, racconta di essere nel bel mezzo di un rituale periodo annuale di depurazione, in cui elimina tutte le sostanze non sane e concede un periodo di purificazione al proprio organismo.
“Questo album, dal punto di vista delle parole dà esattamente l’idea della nostra collocazione nel contemporaneo. Pensando a Mantra Pop: il testo è una riflessione sullo scoprirsi adulti, fragili, sconfitti: tutto quello che ci eravamo detti di non voler diventare, beh, l’abbiamo fatto. Noi non abbiamo però antidoti, semplicemente verifichiamo che non stiamo tanto bene. Il fatto è che oggi non ci sono più modelli da seguire. Politici, filosofi, intellettuali: chi oggi può ambire a fare da guida morale, chi riesce a dare un impatto, ad essere qualcuno da seguire?”.
Ora: chi intervista dovrebbe sempre essere specchio e scrutatore, non mettersi in gioco in prima persona. Eppure la voce degli Strike ha subito aperto il proprio spettro emotivo, in quei primi metri ha raccontato anche di quel Marzio, di cui si è celebrato oggi il funerale e di uno storico momento per la band, a Bologna a fine anni Ottanta. Nel pubblico aleggiava tra due frange rivali la tensione che precede la violenza e questo complesso e imprevedibile ragazzo salì sul palco, per tenere uno sconnesso, illogico, irrituale discorso sull’amore reciproco tanto assurdo che al termine non era rimasta, nell’aria che calma e pace in quella bolgia ribollente. Ecco, l’idea e la sublimazione di un momento perfetto: cultura, supporto ed empatia in un istante solo.
In qualche modo finiamo a parlare di umanità, del domani.
“Io stavo, ero vicinissimo ad arrivare a essere la classica persona che ad un certo punto della propria vita si ferma, si guarda attorno e pensa: ai miei tempi era tutto meglio. Invece i miei figli, nove e undici anni, mi hanno fatto capire che bisogna assolutamente amare tutto ciò che è contemporaneo. Quello che dico ora ai miei figli è: siate curiosi. Quello che mi insegnano loro è la bellezza dell’oggi, sorprendendomi ogni giorno”.
Mentre torniamo alle strade ripercorriamo quel tratto di strada.
“E poi, guarda, che bellezza”.
Antonio si ferma. Siamo nella rotonda di San Giorgio, in una splendida giornata di sole, un vento che rievoca l’inverno appena finito.
Mi sta raccontando di come vorrebbe portare i figli a Pesaro, prima o poi. Avvicinarli ad una vita più semplice, più vicina alla natura. Ora fanno home schooling ma presto sarà tutto troppo piccolo per loro, diventerà una limitazione di fronte alla vastità di questo mondo connesso e vibrante. Eppure gli dispiace l’idea di staccarli da tutto questo, da questa città, da queste bellezze e queste strade criticate eppure vivibili, ferventi di vita e in qualche modo di possibilità. Minori di un tempo eppure forse con meno margine di errore.
“Ho passato qualche giorno con dei ragazzi giovani, all’Ex Mof, quando è stato realizzato un graffito vicino alla palazzina. Mi hanno dato gioia. Ho trovato in loro rispetto, collaborazione reciproca, educazione. Io non penso assolutamente niente di male dei ragazzi di oggi. Siamo noi ad avere fallito. E poi, guarda quanta bellezza, qui intorno”.
“Tutto da Rifare” è il nuovo disco degli Strike, realizzato tramite crowdfunding. “Mantra Pop” è il primo singolo estratto. Il live di presentazione è venerdì sera, 12 aprile, al Renfe. Forse di questo avremmo dovuto scrivere. O forse abbiamo fatto bene così.