Ci passo davanti ogni giorno: una piccola vetrina colorata su via della Paglia. Non mi azzardo mai ad entrare perché mi sembra sempre di disturbare; guardo all’interno, allungando il collo, con il sorriso ebete di chi cerca un po’ di magia nella quotidianità, poi mi ritraggo veloce se incontro lo sguardo di qualcuno, colpevole di averlo spiato.
Ma Amir Sharifpour non è affatto scontento di ricevere visite. Entriamo finalmente nella sua bottega poco tempo fa, qualche giorno prima del festival Cardini che ha aperto le porte tra gli altri anche di Artmelograno, tra quadri, cipressi di ogni forma, barche ed alberi. Amir sta lavorando un’opera in gesso, ci invita a dare un’occhiata mentre scorre veloce sull’oggetto con le mani bianche. Amir e Sima Shafti, compagna di vita e ‘arte’, sono a Ferrara da diversi anni, nel 2006 aprirono la prima bottega in via Saraceno e dal 2010 sono qui, in via Paglia.
Sono convinta da tempo che la nostra città rappresenti un comodo rifugio per tanti: artisti, scrittori, personalità che scelgono di vivere qui, un po’ nascosti, un po’ parte di un sistema confortevole, a misura d’uomo, che sa emulare quello delle grandi città, solo all’occorrenza. Amir e Sima sono capitati qui quasi per caso: un professore dell’Accademia che frequentarono in Iran gli consigliò di specializzarsi all’Accademia di Bologna e da lì scelsero di stabilirsi a Ferrara. Era il 1998. Finiti gli studi sono rimasti qui, nella loro nuova città, ormai a casa.
Sima dipinge, Amir plasma. La loro produzione artistica si intreccia, si completa, come due facce della stessa medaglia. Hanno tentato di esporre separatamente ma qualche amico li ha consigliati di non ripetere l’esperienza: è come se il percorso espositivo necessitasse entrambe le espressioni per essere chiaro ed omogeneo.
Ricordi, paesaggi, sensazioni antiche guidano Amir nella produzione delle sue opere. – Non amo spiegare le mie sculture – ci mette in guardia l’artista, ma poi usa parole appassionate e precise quando gli chiediamo quale sia il significato delle scale e delle barche, tra i soggetti più utilizzati da Amir, – …simboleggiano il movimento, il viaggio – ci spiega -; sulle scale non si può restare fermi-. Le opere si sviluppano spesso in verticale – …tra terra e cielo, come l’uomo: è una piccola entità di congiunzione tra i due elementi -. Alcuni coni arrotolati, in gesso o terracotta, svelano piccole scale all’interno, altri sono solo interrotti da fessure, come se si potessero sfogliare con le mani; li ricopre una texture che ricorda le incisioni pittografiche sumere, una sorta di codice arcaico, e Amir mi spiega che la scrittura è sapienza; un solo termine, ma così puntuale e nitido.
Anche il cipresso è un soggetto ricorrente in Sharifpour. Per associazione automatica con la consueta immagine del cipresso che siamo abituati a richiamare, l’albero che veglia sulle nostre certose, le trovo sculture nostalgiche; mi comunicano quella sensazione tipica e antitetica che provo ogni volta che mi avvicino al cimitero in una bella giornata di sole. Mi scorre nella mente un pomeriggio di primavera, quando rincasavo dopo la scuola, l’aria tiepida e quegli alberi così tristi e calmi che mi osservavano mentre percorrevo Ercole D’Este. Amir legge i miei pensieri e mi racconta che in Iran il cipresso è il simbolo della vita. Al medesimo albero è toccata tutta un’altra sorte, immagine di gioventù e di bellezza. La cultura iraniana è ricca di straordinari simboli che prendono vita nei materiali plasmati da Amir, intrecciandosi con i suoi ricordi. – Io vengo dalla montagna – mi racconta – gli alberi sono i testimoni dei miei ricordi-.
Non si può negare il fatto che i quadri di Sima completino la visione di Amir. Spesso ricorrono ai medesimi soggetti, declinati in maniera molto diversa ma complementare. Mi colpiscono i paesaggi di Sima, realistici e astratti allo stesso tempo. Fili sui quali riposano uccellini, tetti, finestre, e sempre alberi, scale. Alcuni dettagli dorati ricordano la vivida luce del sole che riflette sul paesaggio, quella che obbliga a socchiudere gli occhi mentre si cerca di nutrirli della visione magica di un panorama appagante. Mentre mi immergo tra i colori caldi delle pitture, scorgo una porta, decorata, dietro ad una scrivania, in mezzo allo studio; Amir mi spiega che proviene dalla bottega precedente, quella di via Saraceno, – Ho restaurato questa vecchia porta che separava lo studio dal magazzino. Con questi colori ricorda una porta orientale -, quello che pensavo anche io.
Amir e Sima sono anche, rispettivamente, uno scenografo ed una grafica. In fondo al laboratorio sono esposte maschere di ogni genere, in cartapesta, in terracotta, in gesso, tutte opera di Amir. Il teatro è l’altra affascinante casa dell’artista. Il tempo che non passa in questo studio lo spende tra scenografie, maschere e costumi.
Amir si rimette al lavoro sull’opera in gesso. Noi ci incamminiamo tra le luci arancioni di via Paglia, tra queste vie che nascondono piccoli tesori da spiare, tenendo a mente che, forse, la curiosità non è una cosa della quale vergognarsi perché una visita non dispiace quasi a nessuno.