

Questo articolo fa parte della rassegna Racconto d’Impresa. Leggi le altre storie qui.
All’inizio di via Ravenna, al numero trentadue, proprio in quell’angolo di strada trafficatissimo di San Giorgio a ridosso della rotonda, si trova Scacco Matto srl. Chi tra i lettori più attenti è anche appassionato di scacchi noterà la coincidenza che vede il numero civico corrispondere al numero totale di pezzi su una scacchiera, ma Scacco Matto nulla ha a che vedere con questo antico gioco. Nata come cooperativa nel 2010, un paio di anni fa era cresciuta al punto da diventare una società a tutti gli effetti ma con la stessa mission iniziale: erogare servizi alla persona portando una visione innovativa nel campo della salute mentale. Con lo scopo di dimostrare che qualsiasi persona con un disturbo psichico ha un potenziale da scoprire e utilizzare sia nel mondo sociale che in quello lavorativo alla pari di qualsiasi altro individuo.
Il fondatore, il dottor Wladimir Fezza, inizia la sua attività a Portomaggiore dopo la laurea in Psicologia e un anno di tirocinio formativo post-laurea obbligatorio. Inizialmente ha un solo utente ma oggi sono già quasi centocinquanta e le strutture di Scacco Matto coprono quattro dei cinque distretti in cui è suddivisa l’Ausl provinciale: Cento, Ferrara, Copparo e Portomaggiore. Manca Codigoro ma vista la crescita esponenziale che stanno avendo si suppone arriveranno anche lì.
Sulla divertente e interessante pagina Facebook di Scacco Matto si legge:
“Prima che il malato impari ad essere uomo, bisogna che imparino ad essere uomo sia il medico che l’infermare che curano il malato. Soltanto allora il malato diventerà uomo”.
Una frase di Franco Basaglia, colui che rivoluzionò in Italia l’approccio terapeutico e la concezione della salute mentale e che promosse la cosiddetta legge Basaglia di cui lo scorso anno si è celebrato il quarantennale. Quarant’anni non sono pochi e sicuramente si sono fatti grandi passi avanti ma lo stigma della salute mentale è ancora forte e difficile da superare, lo sottolineano a chiare lettere Wladimir, Sonia e Cinzia, due dipendenti della società passate prima per il percorso riabilitativo e ora assunte a tempo indeterminato. La loro storia e il loro inserimento lavorativo è un esempio chiaro del lavoro che viene portato avanti e che permette agli utenti, attraverso tirocini formativi, di essere inseriti nelle strutture occupando la mansione a loro più adatta.
Come fare a rendere il medico l’uomo stesso? Un dato per spiegarlo: dei ventiquattro dipendenti della Scacco Matto diciotto escono dal percorso riabilitativo proposto, creando quello che viene definito peer-working o supporto tra pari. “Ognuno fa quello che è nelle sue corde – dice Wladimir – sarebbe inutile chiedere a una persona appassionata di contabilità di occuparsi di cucina o viceversa”. E così, riprendendo l’esempio di Cinzia e Sonia, la prima, appassionata di fornelli, si occupa di gestire i pasti e la cucina della club house di Ferrara mentre la seconda si occupa della parte amministrativa di Scacco Matto avendo lavorato da un commercialista ed essendo diplomata in ragioneria e laureata in Economia.
La complicità e familiarità che si respira tra i dipendenti e gli utenti rende i rapporti umani. Si riesce così a superare la relazione medico-paziente dove il primo spesso rischia di essere visto come erogatore di un servizio al paziente\consumatore. Infatti, ci racconta Wladimir, “la mia idea è stata quella che chi eroga il servizio è proprio colui che ha vissuto sulla propria pelle il disagio psichico, attivando così quello che è un supporto tra pari. Chi più di lui che ha vissuto sulla sua pelle le stesse cose ti può aiutare a raggiungere ciò che ha guadagnato e cioè un posto di lavoro? Perché per i pazienti sottoposti a cure psichiatriche l’opportunità di trovare lavoro è pari a zero. Lo stigma è molto alto e l’assunzione diventa un miraggio”.
Ovviamente nessuno nega l’importanza della figura dello psichiatra che risulta fondamentale nel processo riabilitativo ma un aiuto fondamentale è dato anche da queste figure che, come dice Sonia, sono portatrici del messaggio “se ci sono riuscita io puoi riuscirci anche tu”. L’idea principale da cui parte questa impresa è, come detto, quella del supporto tra pari, un modello che di recente sta vedendo un riconoscimento importante da parte della Regione Emilia-Romagna con l’istituzionalizzazione della figura dell’orientatore\facilitatore. È stato infatti istituito un corso pilota a cui hanno partecipato Luca e Antonio, due dipendenti di Scacco Matto, oltre a un’altra trentina di partecipanti da tutta la regione, così da poter finalmente inquadrare con una specifica mansione questi ragazzi che prima non erano ufficialmente riconosciuti.
La figura del facilitatore si può considerare la grande innovazione apportata da Wladimir, al punto che Scacco Matto è diventata caso di studio per altre realtà simili in partenza in Italia e nel mondo. “Sono venuti a trovarci – dice Wladimir – oltre che da tutta Italia, due volte dal Brasile, dalla California e a metà febbraio attendiamo una delegazione di una università coreana”.
Il modello proposto però ha anche altre peculiarità oltre a quella del peer-working. Attualmente sono diciotto le unità abitative che consentono ad oltre cinquanta utenti di avviare un percorso di affiancamento quotidiano via via decrescente fino alla loro completa indipendenza, finito il periodo di acuzie della malattia. Non tutti gli utenti riescono a raggiungere lo stesso grado di indipendenza ma l’obiettivo rimane sempre quello della socialità e dell’inserimento lavorativo. Un’altra cinquantina di utenti è seguita direttamente da casa a seconda delle proprie necessità. Proprio per questo in ogni distretto è presente una Club House, un luogo di ritrovo e aggregazione che è fondamentale per chi, in molti casi, è emarginato o ha problemi relazionali. Un luogo in cui si può cenare in compagnia o passare per prendere un caffè, in cui deve passare il messaggio che l’utente “è sempre benvenuto, benvoluto e atteso ogni giorno”.
Foto Eugenio Ciccone
Nella Club House di Ferrara, in via Porta San Pietro, per entrare varchi una coloratissima parete che si staglia su dei tavolini da bar decorati con fiori di cartapesta. I colori e le decorazione oltre all’ampio ingresso invogliano ad entrare in un luogo in cui stare in compagnia. Appena varcata la soglia della porta si avverte il calore della cucina, uno dei ragazzi ci viene incontro e si presenta, gli altri sono seduti su un divano nel salone principale. Stanno chiacchierando mentre aspettano la cena, un importante momento aggregativo. Mentre anche noi, con un pò di invadenza, ci uniamo alla discussione arriva un signore a prendere il caffè. È la funzione del luogo quella di creare momenti di socialità. Non sempre ci si riesce ma sono fondamentali gli odori, i sapori, i colori perché se non si ha una sensazione di casa, di sicurezza e di familiarità difficilmente si può abbandonare la propria confort-zone mettendosi in gioco.
Il passaggio successivo alle attività sociali e laboratoriali proposte nelle Club House e quello del tirocinio formativo retribuito. Come si scriveva sopra questa è una fase fondamentale del percorso riabilitativo e attualmente sono ventiquattro gli utenti in fase di tirocinio retribuito che aiutano facilitatori e operatori nelle attività quotidiane. C’è chi sta in cucina e chi invece si occupa dei lavori di manutenzione, ognuno secondo le proprie capacità e le proprie aspirazioni. “Tra questi – ci spiega Fezza – alcuni porteranno a termine il percorso e verranno assunti, prima con un contratto a tempo determinato poi indeterminato”. Il boom che ha avuto la società negli ultimi anni ha permesso di assumere in struttura tutti coloro che al termine del tirocinio formativo si dimostrassero idonei e si prevede che anche nei prossimi anni si possa continuare con lo stesso trend.
Foto Eugenio Ciccone
Queste assunzioni hanno creato un equipe che si supporta a vicenda, che è come una famiglia allargata nella quale si può contare sull’aiuto dell’altro in ogni momento. Una cosa essenziale da non dare per scontata. Trovare un luogo di lavoro simile in cui ci si possa sentire protetti e compresi aiuta tutti i dipendenti a dare il meglio e lavorare sereni. Sonia lo sa: “Bisogna essere dei matti per andarsene una volta che hai lavorato qui. E noi siamo matti ma non fino a questo punto”.
Nato nella campagna della bassa ferrarese, dopo la maturità mi trasferisco nella Dotta per studiare storia. Per fortuna o purtroppo mi appassiono all’antropologia, in particolare ai nativi americani, e mi trasferisco a Madrid per completare gli studi. Tornato in Italia inizio a scrivere, prima di cronaca poi di teatro. In futuro chissà…

Un iniziativa importantissima.. sapete se ne esistono altre a Roma o dintorni? ,ho girato comunità indicibili per mia figlia borderline, ma non aggressiva, molto creativa e lontana dalla realtà a cui dovrebbe fare ritorno. Vi prego inviare un recapito. Grazie, buon anno