Ho incontrato per la prima volta Luigi Dal Cin diversi anni fa e ogni singola volta resto incantata dall’espressione serena che il suo volto assume quando parla di bambini. Scrittore ferrarese per giovani lettori, ha pubblicato oltre 100 libri di narrativa per ragazzi (tradotti in 10 lingue) e vinto talmente tanti premi che impiegherei troppo tempo a elencarveli tutti.
“Scegli tu dove incontrarci” gli scrissi io qualche giorno prima dell’appuntamento. Pensavo mi proponesse un bar o un pub, invece mi invita in uno dei luoghi più colorati che io abbia mai visto: la libreria “Testaperaria”. Le proprietarie, Paola e Rita, generalmente tengono chiuso il giovedi, ma per noi hanno fatto un’eccezione. Quando sono entrata, insieme al mio fotografo di fiducia, il collega e amico Davide Vancini, non so chi sia rimasto più sorpreso nel ritrovarsi in un caleidoscopio di colori, ideale per il mio spirito di bambina e perfetto per i suoi splendidi scatti.
Luigi mi ha accolto con un abbraccio e un “come stai?” sincero. Ci siamo seduti su un divanetto e lì, tra un racconto e l’altro, Luigi mi ha trasportata nel suo mondo.
Hai sempre voluto fare lo scrittore?
No, anzi! C’è stato un momento della mia vita scolastica alle elementari in cui ho avuto difficoltà con la scrittura. Racconto molti divertenti aneddoti di quel periodo in un mio spettacolo teatrale intitolato “Piccoli voti di scuola, piccoli trucchi per difendersi”.
A che età hai iniziato a scrivere? Qual è stata la scintilla iniziale?
Nonostante le iniziali difficoltà con la scrittura, fin da piccolo ho sempre avuto dimestichezza con l’immaginazione e la creazione di storie: inventavo trame narrative che poi non scrivevo, ma mi tenevo in mente. Poi la passione per la lettura mi ha fatto pian piano sentire vicina, possibile, divertente anche la scrittura.
Ricordi ancora le sensazioni del giorno in cui hai pubblicato il tuo primo libro?
È stata un’immensa soddisfazione, con la chiara consapevolezza che si trattava solo di un primo passo per poter fare della scrittura la mia professione.
Oggi è davvero così: faccio solo lo scrittore.
C’è un libro in particolare a cui sei più legato?
Sono legato a tutti i miei libri, per ciascuno ci ho messo tutto me stesso, il mio affetto, la mia cura. In questo momento, forse, citerei in particolare “Scrivila, la guerra” edito da Kite con illustrazioni di Simona Mulazzani. Con il tempo è diventato uno spettacolo che ho portato in molti teatri d’Italia, e che andrà in scena anche al Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara nell’ambito del cartellone del Teatro Ragazzi il 3 e il 4 aprile 2019. “Scrivila, la guerra” è stata per me un’occasione per presentare la Grande Guerra dal punto di vista dei più giovani e dei più umili, per riflettere insieme su uno degli eventi più drammatici del secolo scorso, sulle inevitabili sofferenze che ogni guerra porta e sul potere salvifico della narrazione.
Credo che ai bambini e ai ragazzi si possa, anzi si debba, raccontare la verità con la delicata esigente responsabilità, però, di assumere sempre il loro punto di vista, in modo che la verità sia per loro innanzitutto comprensibile e poi, soprattutto, utile. Anche per potersi rappresentare le conseguenze sulla popolazione delle guerre di oggi, di cui bambini e ragazzi tanto sentono parlare. Non ho voluto quindi centrare il racconto sugli eventi bellici al fronte, vissuti da adulti soldati, ma raccontare le inevitabili quotidiane sofferenze che ogni guerra porta agli ultimi, tra cui i più giovani: nel nostro caso il dramma dell’anno della fame vissuto dalla popolazione dei territori occupati dalle truppe austro-ungariche dopo Caporetto. È un argomento che mi è familiare: i miei nonni, veneti, hanno vissuto la Grande Guerra e, nella mia infanzia, me l’hanno raccontata in diversi modi. Per poter però prendere il giusto e veritiero punto di vista di un ragazzo che vive una situazione così drammatica ho raccolto testimonianze scritte, memorie, lettere, diari cui poter fare riferimento: sono preziose testimonianze che hanno ispirato il punto di vista di questo libro.
Il giorno stesso in cui io e Luigi ci siamo incontrati, usciva il suo ultimo libro, “Afferra la cima!” edito da Lapis, con illustrazioni di Chiara Carrer, parte di una collana il cui obiettivo è parlare ai bambini di un tema molto delicato, quello delle disabilità neurologiche. “Afferra la cima!” racconta l’epilessia: ho incontrato tanti bambini e le loro famiglie e ho inventato una storia per spiegare cos’è l’epilessia, ma anche per abbattere i tanti stereotipi che le ruotano attorno. Luigi mi racconta che la commozione è sempre tanta quando affronta tematiche simili in classe, durante gli incontri nelle scuole: quando ho incontrato i bambini mentre raccoglievo materiale per questo mio libro, mi ha colpito molto la frase di un ragazzo. Mi ha detto “Ogni volta che dico che ho l’epilessia, la gente fa un passo indietro… e io non sono più lo stesso. Vengo identificato per quell’unico tratto della mia personalità, come se all’improvviso tutto il resto sparisse”. La narrazione in questi casi ha una forza che l’informazione di per sé non ha e, questa collana, è nata proprio per rivolgersi ai compagni di classe: con la narrazione voglio raccontare ai bambini sia come comportarsi dal punto di vista pratico se, ad esempio, un loro compagno dovesse avere una crisi in classe, ma anche per mostrare quale sguardo è possibile avere. I bambini sono generosi, hanno un’anima grande ma hanno bisogno innanzitutto di capire; l’adulto inoltre deve rispondere alle loro domande utilizzando il loro stesso linguaggio.
Perché hai deciso di scrivere proprio storie per bambini?
Quando si scrive un libro lo si fa per due motivi fondamentali: esprimersi e comunicare. Io preferisco dire che scrivo per dire la verità (i miei sogni, bisogni, speranze, scoperte, desideri, paure…) attraverso l’invenzione, e per comunicarla. Sembra un paradosso pensare di dire la verità attraverso l’invenzione, eppure è proprio ciò che fanno i bambini quando per spiegare la realtà inventano storie e dicono: “facevamo che io ero…”. Poi c’è l’altro polo: la comunicazione. Se non ci fosse questo desiderio di comunicare, lo scrittore terrebbe il manoscritto nel cassetto, senza farlo leggere a nessuno… e di certo non gli verrebbe in mente di pubblicarlo.
Quando si scrive per un bambino si può parlare di tutto, ma bisogna avere un “aiutante magico”. Per quanto possa sentirsi solidale con il mondo dell’infanzia infatti, lo scrittore adulto resta un adulto e ha dunque bisogno di un aiutante, la cosiddetta “Penna bambina” che lo aiuta ad assumere il linguaggio dei più piccini. Si tratta della “lingua madre” di cui parla Bianca Pitzorno.
Io riconosco il linguaggio dei bambini come la mia lingua madre che, una volta diventato adulto, non ho rinnegato, ma anzi esercito ogni giorno incontrando gli alunni nelle scuole e dialogando con loro, rispondendo alle loro lettere, scrivendo per loro. Con il tempo mi sono convinto che la magica “Penna bambina” si riveli solo a chi sta davvero dalla parte dei bambini, a chi li considera veramente delle persone. D’altronde, il vero scrittore per ragazzi sta sempre dalla loro parte, per sua stessa natura e vocazione.
Quella di Luigi Dal Cin è davvero una vocazione. Tra una domanda e l’altra mi racconta trame dei suoi libri e lo fa con un’espressività, una mimica e un linguaggio che ti rapiscono. Ora capisco perché ha così tanto successo con il suo giovane pubblico: quando Luigi racconta una storia è come se lui stesso, all’improvviso, tornasse bambino.
Non hai mai pensato di rivolgerti anche a un pubblico adulto?
Mi rivolgo a quel pubblico di adulti che ha responsabilità nei confronti dei bambini, come con la collana di cui ti parlavo prima. Tengo corsi di formazione per insegnanti e corsi di tecniche di scrittura per adulti. Ci si potrebbe chiedere se c’è davvero bisogno di tecnica nella scrittura. Credo che per scrivere un buon libro, o insegnare a scrivere ai propri alunni, sia necessario essere quanto più possibile consapevoli delle modalità fascinanti da mettere in atto e degli effetti che si desidera ottenere sui propri lettori.
Da cosa trai ispirazione per scrivere i tuoi libri?
Per scrivere un testo narrativo credo ci voglia immaginazione più che fantasia. La fantasia credo sia la capacità di creare associazioni, come in quel gioco dove io dico una parola, e tu ne dici un’altra, ovvero la prima che ti viene in mente per associazione. L’immaginazione è qualcosa di più: è la capacità di inventare un mondo fantastico coerente per il tuo lettore. Il bello è che anche l’invenzione si può esercitare. L’azione volontaria più importante da esercitare per favorire l’invenzione è l’osservazione, perché è da questa che nascono le scintille dell’ispirazione. Penso che scrivere richieda sempre uno sguardo stupito, come fosse la prima volta che si vede ciò di cui si sta scrivendo. È lo sguardo che si ha quando, ad esempio, si è in viaggio: ogni persona incontrata, città, pietra, paesaggio assume una luce più luminosa e non ci si lascia sfuggire alcun particolare.
Per quel che riguarda la scrittura, quali sono i tuoi progetti futuri?
Fino a giugno sarò in giro per l’Italia per incontri nelle scuole, spettacoli a teatro, corsi di scrittura: un never-ending tour che mi porterà quasi ogni giorno in una città diversa. La prossima estate intendo concludere un nuovo romanzo.
Oltre alla scrittura, hai altre passioni?
Mi appassiona la musica, il cinema, la letteratura, il teatro, la poesia, la pittura, l’architettura… mi appassiona la vita.
Qual è la soddisfazione maggiore ricevuta a oggi?
Ogni volta che incontro i miei lettori nell’ambito dei cosiddetti “incontri con l’autore” a scuola o negli spettacoli a teatro è – credimi – sempre una soddisfazione immensa, che ogni volta mi commuove.
Con costanza e perseveranza, oggi la tua più grande passione coincide con il tuo lavoro. Nonostante il raggiungimento di questo traguardo, hai ancora sogni nel cassetto?
Tanti. Non solo nel cassetto: nella mia casa anche gli armadi e gli scaffali ne sono pieni.
Prima di salutare Luigi, gli pongo la mia solita domanda, quella che faccio a tutti gli artisti che ho il piacere di incontrare, quella che attendo con ansia fin dall’inizio dell’intervista.
Cos’è per te la scrittura?
Sono uno scrittore “in togliere”, che quando rilegge ciò che ha scritto toglie, toglie, toglie sempre. Mi verrebbe dunque da rispondere che per me la scrittura è “usare la parola per tendere al silenzio”.
Mentre Davide e Luigi immortalano gli ultimi istanti con curiose fotografie, mi aggiro per la libreria, osservo le sue pareti color pastello e resto affascinata da un angolino nascosto, pensato appositamente per essere un rifugio per bambini. Oggi che la vita si digitalizza sempre più, invito ogni genitore a portare i propri figli in un luogo colorato e accogliente come questo, per toccare e annusare i libri, per innamorarsi fin da piccoli della carta… proprio come ho fatto io.