Uno degli aspetti più affascinanti dell’arte riguarda sicuramente l’evoluzione, il cambiamento. L’arte è un processo di aggiustamento dell’estetica, del significato, della sensibilità; quasi sempre, questi piccoli assestamenti si possono notare anche all’interno del percorso dei singoli artisti. Succede spesso che i traumi corrispondano ad un cambiamento, o che qualche fortuito incontro incida sulla poetica artistica; in De Pisis è una dinamica così evidente da divenire un tratto distintivo empatico dell’intera opera e dell’artista stesso.
Nato a Ferrara nel 1896, si sposterà tra Roma, Parigi, Milano, Venezia, cittadino del mondo, per poi ritirarsi a Brugherio sia fisicamente che mentalmente, inibito dalla sua malattia. Proprio la sua Ferrara lo riporta al centro dell’interesse con la mostra De Pisis La poesia dell’attimo, al Padiglione d’Arte Contemporanea, visitabile fino al 2 giugno 2019 e curata da Lorenza Roversi. La Fondazione Ferrara Arte e le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea invitano la città ad apprezzare il proprio patrimonio artistico contestualmente alla temporanea chiusura di Palazzo Massari per riqualificazione architettonica. Una mostra della quale Ferrara ha bisogno sia per superare serenamente il momento di transizione della seconda fase di recupero post-sisma del complesso Massari, sia perché De Pisis merita che la città conosca maggiori dettagli riguardo la sua opera, e la sua vita. Come diceva un mio illuminato professore universitario, “scommetto che se vi chiedessi di descrivere le facciate dei palazzi accanto ai quali passate ogni giorno, fareste tutti scena muta. E scommetto anche che quella volta che vi capiterà di alzare la testa non rimarrete indifferenti, sia in positivo che in negativo, sia chiaro!”; e secondo me, De Pisis vi regalerà qualche brivido inedito e profumato.
L’esposizione De Pisis La poesia dell’attimo segue il percorso segnato dalle importanti tappe dell’artista, in un ordine sia cronologico che tematico, scandendo visibilmente i passaggi che portano la sua poetica a subire piccole, ma significative, deviazioni. – Abbiamo voluto dare un taglio inedito a questo percorso espositivo, presentando dipinti che possano mostrare tutte le differenti sfaccettature di De Pisis. – spiega la curatrice, accogliendoci nella prima sala.
Così dalle nature morte ferraresi, cariche di particolari evocativi, metafisici, e agricoli, come li definisce la Roversi, ci si sposta verso l’ispirazione urbana scorrendo i ricordi di De Pisis, i suoi attimi suggestivi.
A consolidare il carattere intimo ed emotivo dell’esposizione, grazie alla concessione dell’Università di Bologna, il patrimonio epistolare testimone degli scambi tra De Pisis e l’amico Giuseppe Raimondi, tra anni Venti ed anni Cinquanta, viene esposto nelle piccole sale del piano terra. L’artista ferrarese invita lo scrittore a visitare alcune mostre interessanti, lo tiene aggiornato sui suoi progressi, gli racconta aneddoti di viaggio, gli descrive le occasioni mondane alle quali partecipa con entusiasmo, fino al difficile impatto con il peggioramento della sua condizione fisica. Si leggono parole piene di amarezza e prive di speranza nelle ultime lettere indirizzate all’amico: la perdita della lucidità, i dolori e la mancanza di segni di miglioramento.
Alla luce di questo punto di vista privato ed inedito, le sale al piano superiore acquistano nuove sfaccettature; De Pisis si muove a piccoli passi dalla rappresentazione narrativa dei suoi luoghi e delle nature morte marine e floreali degli anni Venti, verso gli emotivi scorci urabi di Parigi, Milano e Venezia. Il caos quasi cubista di alcune nature morte parigine, si trasforma in frenesia cittadina, in una veloce suggestione milanese. Il solito amico Raimondi definirà “spaventose” le macchie instabili ed informi che costruiscono le emotive visioni dei paesaggi dell’artista, succube dei sintomi della grave malattia.
Proprio mentre la curatrice racconta questo aneddoto mi scopro rapita dalla discontinuità dei tratti di queste ultime opere di De Pisis che sembrano aver bisogno spazio sulla tela; distanziati, abbozzati, lasciano intravedere chiaramente il supporto come se volessero essere completati solo mentalmente. Il percorso intimo dell’artista ferrarese lo porta ad allontanare sempre di più le sue pennellate, a definire sempre meno il suo oggetto, sino alle nostalgiche, delicate, meravigliose rose della serra di Villa Fiorita, ora intitolata all’artista, che diventa il suo atelier nei primi Cinquanta, per i pochi anni che gli restano. Una rosa solitaria, nel suo vaso fragile. Fiori dai colori tenui, come esposti a flebili raggi di sole che ricordano solo vagamente il mazzo coloratissimo, I grandi fiori a casa di Massimo, degli anni Trenta. Mi sembra di percepire calde atmosfere rilassate nonostante il declino doloroso ed inesorabile della malattia.
Da piccola visitavo le mostre sempre con il mio papà che ho sempre creduto (e credo tutt’ora) onnisciente. Il mio papà mi spiegava tutto e io restavo con i miei occhietti spalancati ad esaminare ogni dettaglio. Oggi non riesco sempre a coordinarmi con lui e spesso mi tocca parlare di mostre a posteriori. Qualche giorno dopo la visita al PAC, seduta a tavola con papà, descrivo la Rosa nella bottiglia, 1950, che mi ha tanto colpita. – Sapevi che De Pisis ha sempre avuto una grande passione per la botanica? Raccolse più di mille campioni in un erbario che non era nemmeno maggiorenne; negli ultimi anni della sua vita ha vissuto a pieno la sua passione – mi spiega papà. L’arte serve a raccontarci storie magnifiche, a volte un po’ tristi, ma fatte di passione e di cambiamenti; e i papà a spiegarci sempre qualcosa in più.