Sarà quell’odore di cannella, l’oscillare leggero delle ghirlande con melograni e spicchi d’arancia, ma a dicembre, quella piccola bottega dai sapori genuini e autentici in via San Romano, sa proprio di casa. Un nido, piuttosto. Un luogo dove ripararsi quando i vetri si appannano e riflettono con tutta la calma dei pomeriggi sonnolenti dell’inverno in centro, le luci di Natale.
Mi avvicino al bancone, prendo due mandorle, ordino il mio succo di mela bollente e aspetto. Nel mentre, sulla parete alle mie spalle, prendono vita le immagini di Ferrara, tra ombre e luci. Sono gli sketch, le opere di Fernando Adriao, artista portoghese originario del Mozambico, ora in Italia per motivi di studio e lavoro e ospite speciale di Zazie per la sua prima temporanea. Con qualche minuto di ritardo, una bicicletta, le mani fredde e un sorriso, arriva anche lui, per raccontarmi e raccontarvi ciò che vedono i suoi occhi quando si perdono nelle meraviglie di una città della quale, noi habitués, spesso dimentichiamo lo splendore.
“Sono molto belli” gli dico, indicando alcuni dei suoi schizzi.
“Davvero? Ti piacciono?”
Rimango un attimo interdetta. Perché quel “davvero” è un “davverodavvero?” onesto, senza presunzione, quasi stupito. Studio Fernando mentre mostra alcune delle sue opere a Giacomo Brini, con noi per immortalare qualche attimo della chiacchierata e per concedersi una coccola con dei biscotti superlativi. Vedere due architetti che osservano le linee di un capitello e che si perdono in disquisizioni sulle forme e lo stile, mi incuriosisce, e mi da i primi spunti.
Non solo quindi, siamo davanti al lavoro di una persona che ha mosso i primi passi e ha nutrito la sua mente dei paesaggi e delle visioni di un luogo completamente diverso da quello di una piccola realtà provinciale, ma anche al cospetto di un uomo che conosce gli stili e le peculiarità storico artistiche dei monumenti ed edifici del centro.
“Ferrara è una città meravigliosa. Quando ho avuto l’opportunità di scegliere dove proseguire i miei studi, cercavo un posto tranquillo, così da poter concludere l’anno di restauro in completa serenità. Non credevo di poter trovare tale bellezza. Sono anni, ormai, che mi perdo nelle vie del centro, che ogni tanto scendo dalla mia bighina e mi fermo ad osservare i quadri così perfetti e le bellezze improvvise che regalano le viuzze medievali. Sono tanti frammenti, visti e vissuti, dove i protagonisti si alternano e vivono le loro storie, interagendo con tutti questi personaggi pazzi e liberi della vostra città. Mi piace come le persone si innamorano nelle architetture che li ospitano. Prendi lo scalone del Comune. Quante storie ci sono, lì dentro? Quante parole?”
Sorrido.
“Quando disegno, ricerco l’emozione. C’è stato un momento, qui a Ferrara, quasi indescrivibile. Qualche tempo fa, verso le 18.30, a Sant’Antonio in Polesine. Non so cosa sia stato, ma tutto, tutto insieme, era la perfezione, la sintesi di un’armonia karmica che non lascia scampo, che ti porta dentro la bellezza, ti avvolge, ti scalda e spezza il cuore.”
Sono le quattro del pomeriggio, da Zazie, tra i frullati e i kiwi, e davanti a me un uomo di 54 anni si sta perdendo in un ricordo talmente forte e intimo da fargli scendere le lacrime. Forse è così che ragionano, i poeti.
“Ho viaggiato tanto, sono partito dal Mozambico nel 1975, subito dopo la dichiarazione d’indipendenza, ho vissuto poi tra Porto e Lisbona… forse è stato proprio lì che ho capito che sarei dovuto andare oltre. Venendo qui, cinque anni fa, cercavo qualcosa di autentico. Lo ritrovo dovunque, nel sorriso della gente, nella pedalata delle signore in bicicletta. Volevo svuotarmi un po’ del perfezionismo dell’architetto e vivere, imparare ancora.”
Fernando sorseggia il suo caffè d’orzo e continua: “Gli sketch esposti sono tutti frutto dell’emozione, di uno sguardo senza filtri, figli di un bianco e nero con qualche accenno di colore che vuole far risaltare dei dettagli rilevanti. Una delle opere alle quali tengo maggiormente è sicuramente la silhouette di Savonarola, che con quella postura sembra abbracciare la luna, la luce, divenendo quasi un mago nella scenografia notturna della città. Poi le giostre, che danzano coi loro cavalli e gli scrigni di risate dei bambini in una piazza del centro, in un movimento perpetuo che alterna luci e ombre. E quella Madonna, quella lì. Quante volte l’ho guardata… e disegnata, seduto, come mio solito, lì davanti, con una matita e un semplice foglio. En plein air, per coglierne l’essenza.”
Mi avvicino alla parete, la osservo. I colori sono sfumati, lavati, si distribuiscono sulla carta armonicamente, come se stessero scivolando. Cerco di riconoscere la Madonna in questione, ma a Ferrara il patrimonio della Curia è troppo vasto per concedersi di indovinare in qualche secondo.
“Nel chiostro di Santa Maria in Vado. Quella statua erosa, limata dal tempo e dagli eventi. Ricordo di essermi seduto lì, averla immaginata, e disegnavo, disegnavo. E il bimbo poi, le tonalità, i lineamenti, non sono casuali. Nulla, è mai casuale.”
In effetti, sulla parete tutto si mostra specchio di una realtà immaginata ma magistralmente ritratta, lontano da una concezione onirica ma comunque protesa verso il sogno dello spettatore, grazie agli occhi di una persona che ha deciso di lasciarsi affascinare. Le ghirlande di melograno oscillano ancora, quasi come il pendolo di un cucù.
È tardi, salutiamo Fernando che va via sulla sua bighina, a guardare chissà cosa, a svegliarsi durante a notte e accendere la luce in tutta fretta per abbozzare un’idea, a stupirsi ancora.
La mostra è visibile da ZAZIE in Via San Romano, 62 a Ferrara, dalle 9.30 alle 20.00 fino all’8 gennaio.