Solitamente è difficile distinguere ciò che piace da ciò che oggettivamente è bello. Non si spiegherebbero altrimenti i film (o i dischi, o i libri) premiati dalla critica eppure bocciati dal pubblico, o viceversa. Solo raramente l’arte, declinata in qualsiasi forma, diventa motore di consenso senza rinunciare a niente di sè stessa: diviene comprensibile ad un pubblico ampio, che ha la mente aperta per potersene nutrire.
Questa, in sostanza, è la storia attuale del Cinema Boldini, di cui abbiamo voluto tratteggiare gli ultimi anni, avendo la sensazione di un luogo (attenzione, non una sala cinematografica) decisamente in movimento. Paradossalmente il cinema (inteso come edificio) poggia su fondamenta solide, datate fine anni Trenta, anche se la visione è invece moderna, con moderni dispositivi audio e video che consentono proiezioni fino al 4K e un audio rinnovato. Le seggioline rivelano la reale età, ormai considerevole. Non è l’unico cruccio, soprattutto non è l’unica ambizione di Alice Bolognesi, da pochi mesi presidente di Arci Ferrara e da qualche anno al timone della programmazione artistica del Boldini.
In una lunga chiacchierata scopriamo punti cardine della programmazione e sogni per il futuro, alcuni dichiarati, altri celati dietro un “sarebbe bello”.
“Su due punti posso garantire: – ci racconta Alice – non faremo mai l’intervallo all’interno del film, non metteremo decine di minuti di pubblicità prima del film, manteniamo i classici trailer, magari delle pellicole che proietteremo”.
Dogmi importanti per un certo pubblico. La visione di Alice è coerente eppure sorprendente (ad uno sguardo superficiale) se si pensa alle difficoltà del cinema oggi, in calo di incassi e minacciato dalla crescente potenza dei colossi dello streaming, come Netflix.
“Eppure, per me, non sono concorrenti, anzi ci aiutano. La percezione negli anni è che queste nuove realtà stiano educando il pubblico alla visione del film in lingua originale, al documentario, al film d’autore che richiede impegno nella visione. Il pubblico si è ringiovanito e specie nella prima parte della settimana ho modo di variare la proposta, lasciando poi per il resto della settimana la programmazione d’essai che ci contraddistingue e che segue anche logiche di mercato e distribuzione più difficili da gestire in piena autonomia”.
Come nasce la programmazione? Ad esempio la scelta di proiettare in lingua originale leggermente in ritardo sull’uscita ufficiale (come nel caso di Suspiria) non è in qualche modo un rischio?
Si e no. La possibilità di essere cresciuti assieme a questo pubblico, tra l’altro più giovane negli ultimi anni, consente di sapere che quella nicchia, nemmeno troppo piccola, ci sarà. Negli ultimi anni al Boldini gli spettatori sono in aumento e c’è un’ottima risposta anche per questo tipo di scelte, come la visione in lingua originale, il documentario particolare o ancora il restauro, che pure ottengono una risposta importante.
Diversamente da altre realtà quindi, non vivete come concorrenziale l’ascesa di Netflix, Amazon Prime o altri nuovi attori in campo.
No, anche perchè è testimoniato dalla realtà. Roma, di Cuaron (10 nomination agli Oscar e prodotto da Netflix) è andato bene in sala nonostante sarebbe stato subito dopo reso disponibile sulla piattaforma online. O Sulla mia pelle sul caso Cucchi, che era già tranquillamente disponibile e si è invece tradotto in una serata anche di incontro, rendendo quindi la visione al cinema un’esperienza diversa. Un paio di anni fa c’è stato anche l’exploit di Lo chiamavano Jeeg Robot che abbiamo visto in una multisala e a cui è seguita l’idea di prenderlo anche per il Boldini: nel frattempo il film era esploso, diventando un piccolo fenomeno, così la risposta è stata ampia.
Qualche anno fa, in una intervista, avevi dichiarato il sogno di far evolvere il Boldini verso un luogo aperto, ad esempio con un bar, come il cinema Kino di Roma. È ancora così?
Purtroppo il Kino ha chiuso da qualche mese ma l’idea per noi c’è ancora, anche se è ovviamente difficile da realizzare. Negli ultimi anni stiamo comunque tentando cose nuove, a fine 2018 c’è stata una grossa risposta ad un Workshop di due giorni sul cinema con Roy Menarini, che ripeteremo nei prossimi mesi; abbiamo mantenuto con buoni risultati la collaborazione con il Teatro Comunale per la rassegna dedicata all’infanzia e sicuramente mi piace immaginare in un futuro di poter dare la possibilità di lasciare vedere un film ai genitori e al contempo coinvolgere i figli in un laboratorio all’interno del cinema. Sicuramente la possibilità di avere una piccola zona cucina bar, dove fare incontri anche in maniera più intima rispetto alla grande sala del Boldini sarebbe il compimento di un sogno.
Una classica domanda è su particolari aneddoti su un film, su una difficoltà distributiva o un problema dell’ultimo minuto con un ospite. Vorrei invece ribaltare l’ottica: la cosa più particolare successa con il pubblico?
Una delle cose più divertenti è successa la scorsa estate, l’ultimo giorno prima della chiusura estiva. Una coppia di giovani ragazzi si è avvicinata alla locandina esposta all’ingresso e ha commentato “In questo cinema fanno sempre cose strane”. Ero felicissima. Non l’hanno detto con disprezzo, ma come riconoscimento della nostra forte identità.
Manterrete l’arena all’aperto anche quest’anno?
Si, la direzione è quella. Certo c’è un bel cambio di pubblico: non sono più i giovani a venire al cinema, tendiamo a fare una programmazione di seconde visioni anche per la ferma del mercato cinematografico che da sempre si ostina, caso unico tra i mercati europei, a chiudere la programmazione nella fase estiva. Ci fosse la volontà di non posticipare i film estivi a settembre, potrebbe essere un’idea quella di seguire maggiormente le uscite e fare una programmazione diversa, magari anche dello stesso film per più giorni: ci sono esperienze di questo tipo in Italia e potremmo ragionare in tale senso.
Tornando all’incipit dicevamo di come il cinema Boldini sia riuscito in questi anni a fare della propria identità e diversità un vanto, coinvolgendo un pubblico pronto ad aprirsi a nuove visioni, anche per fattori contemporanei. E che non manca di pubblicizzare, consigliare, sostenere in prima persona la serata a cui è interessato, creando una rete informale eppure efficace in una piccola città come Ferrara.
Nell’attesa di scoprire i futuri sviluppi di una sala storica quando ancora proiettata verso il futuro, vogliamo chiudere l’intervista con qualche consiglio, estorcendo ad Alice qualche suo gusto personale. Alla guida di un cinema, scoperta in qualche archivio per essersi prestata come “per un giorno”, alla direzione di quell’Arci che organizza Ferrara Sotto le Stelle, le chiediamo un consiglio per un disco, un libro e un film. La risposta ci arriva via messaggio quaranta minuti più tardi, tornati a casa, dopo averle causato non poche difficoltà e spaesamenti: troppa indecisione.
Il disco, uno dei Beirut
(qui l’ultimo singolo, ha suonato a Ferrara nel 2011)
Il libro, uno di Javier Marias
(scegliamo “Domani nella battaglia pensa a me”).
Il film, The Sisters Brothers, di Jacques Audiard, uno dei miei registi preferiti.
Il film che avrei voluto girare io?
Grand Budapest Hotel
Ma non finisce così: “se me lo richiedi tra mezz’ora cambio idea”, ci fa sapere, con un sorriso.
Link: http://www.cinemaboldini.it
Foto di copertina: Giacomo Brini