La Coldiretti in poche righe riassume la misera fine degli zuccherifici italiani.
“Anni addietro la Commissione Europea disse no alle misure di emergenza per salvare lo zucchero made in Italy, cosicchè negli ultimi anni sono stati chiusi ben 16 zuccherifici su 19 azzerando, l’84% del potenziale industriale nazionale. In Italia la maggior parte del mercato è infatti controllata da tre giganti stranieri, il primo dei quali è la multinazionale tedesca Sudzucker che vanta 31 siti in tutta Europa. Il secondo padrone dello zucchero in Italia è la francese Cristal Union, acquisitrice della tricolore Eridania, che con 10 stabilimenti nel mondo sforna 2 milioni di tonnellate all’anno di prodotto, poi la multinazionale Tereos, che vanta 45 siti industriali in 13 paesi, ed è il primo produttore francese con 3,7 milioni di tonnellate. L’Italia dello zucchero cerca di difendersi come può: l’ultimo, anzi gli ultimi a provarci sono le 25.000 persone impegnate nella filiera che fanno parte della cooperativa tricolore Coprob-ItaliaZuccheri, che ha due stabilimenti di trasformazione sul territorio nazionale e riunisce 7.000 aziende con 32.000 ettari coltivati a barbabietola fra Veneto ed Emilia Romagna. Senza di loro, l’Italia, che è il terzo mercato dell’Unione Europea, diventerebbe uno dei pochissimi casi al mondo senza alcun produttore locale di zucchero come Nigeria, Malesia, Corea del Sud e Arabia Saudita”
È un vero peccato che le cose stiano in questo modo, ma è una situazione praticamente irreversibile. Quando qualcosa scompare per sempre scatta immediatamente il meccanismo del ricordo per chi ha vissuto tempi ora perduti. Non sono da meno con gli zuccherifici, che anche nel nostro territorio hanno in effetti segnato un’epoca.
Primi anni del dopoguerra, un qualsiasi agosto soffocante e polveroso, via Argine Ducale è impraticabile a causa di una interminabile colonna ferma sulla destra. La compongono autocarri, rimorchi gommati con i cavalli tra le stanghe con la testa nel sacco e piccoli trattori che puzzano di petrolio, sempre in moto perché se li fermi non partono più. La colonna è perenne, dall’alba al tramonto inoltrato, perché se il primo mezzo in testa entra nello stabilimento, altri contemporaneamente se ne aggiungono alla fila.
I mezzi sono tutti stracolmi di barbabietole da consegnare allo Zuccherificio che c’è in fondo, prima del passaggio a livello praticamente sempre chiuso. È lo zuccherificio Eridania, che tanti continuano a nominare “l’Agricola” per via dell’antico nome Zuccherificio Agricolo Ferrarese, datogli all’inizio del 1900 quando entrò in funzione. La viabilità della strada è compromessa anche dal fatto che in senso contrario si incrociano i mezzi in uscita dallo stabilimento, carichi di polpe di barbabietola fradice che lasciano sull’asfalto strisce di acqua scivolosa… Al cambio turno alle 6, le 14 e le 22 è addirittura impossibile transitare. Questo in un momento qualsiasi di un giorno qualunque di campagna saccarifera.
Il processo di fabbricazione dello zucchero comporta l’esalazione di odori sgradevoli che si diffondono nei dintorni e non se ne vanno mai, anche perché nelle adiacenze dalla Stazione Ferroviaria, al di là della cinta dei binari, in via del Lavoro c’è un altro impianto saccarifero, lo Zuccherificio e Raffineria Bonora e l’inconfondibile odoraccio si percepisce dappertutto. Ma nessuno fa caso all’aria appestata perché è odore di lavoro, tutti sanno cosa è, da dove viene e non c’è niente di pericoloso, puzza e basta. Ce ne fosse sempre, sarebbe una manna per tutti. Il lavoro è continuativo sette giorni su sette, per ventiquattrore al giorno, inizia intorno ai primi di agosto e termina circa a metà ottobre in una interminabile tirata. Questo scenario è il denominatore comune di tutti gli zuccherifici a prescindere dai volumi di produzione dimensionati dalla potenzialità industriale dello stabilimento.
Ora in quei luoghi c’è silenzio, via Argine Ducale è quasi deserta, vivacizzata solo dai residenti, anche perché è interrotta proprio all’altezza del passaggio a livello, attraversabile con un sottopasso pedonale, precluso ai veicoli. In parallelo e a diversi livelli corrono larghe e asfaltate alternative che con le spaziose rotonde fanno bella mostra di se. Il panorama è molto diverso, tutto un altro mondo. Le strutture del vecchio stabilimento sono state restaurate e convertite, essenziali, nude e pulite. Nell’orgoglioso antico aspetto non rinnegano il passato, anzi ostentano la spenta ciminiera quale testimone della trascorsa laboriosità. Ora sono diventate la dignitosa sede del Polo Scientifico Tecnologico dell’Università di Ferrara. (Per i più curiosi qui si trovano foto d’epoca della struttura: http://www.saccarifera.it/index.php?key_page=36)
Dove un tempo venivano scaricati migliaia di quintali di barbabietole al giorno oggi c’è un mare di auto ordinatamente parcheggiate. L’ex Zuccherificio Bonora ora è una grande nave di pietra rossa attraccata a un molo sul quale troneggia un grosso serbatoio a testimonianza dell’antico e laborioso passato. Ospita studi professionali e un bar ristorante. Eccellente esempio di recupero e conversione. Un altro validissimo intervento sulle strutture non più in attività lo si riscontra a Pontelagoscuro dove l’antica Distilleria Gulinelli è stata recuperata e convertita in un grosso complesso per attività commerciali e la palazzina direzionale è divenuta un hotel ristorante.
Sull’area dove sorgeva lo Zuccherificio, nei pressi del ponte ferroviario a ridosso dell’argine del Po invece, sono rimaste le tracce degli impianti demoliti. Stesso discorso per quanto riguarda l’area dove un tempo sorgeva l’importante zuccherificio di Bondeno, disarmato da tempo e demolito in seguito. Della fabbrica sono rimaste le stradine interne tra le aree un tempo occupate, sopra le quali ora esistono ben visibili solo le tracce del fabbricati e degli impianti preesistenti. Ora il tutto è in completo abbandono, ci sono solo cancelli lucchettati.
L’impressione più macabra però è quella che lascia il grandissimo zuccherificio di Codigoro, le cui strutture abbandonate e fatiscenti fanno pensare a ruderi di cattedrali sconsacrate dove di notte tra le erbacce, cavalcano gli spettri dei Templari. Non meno importante per l’agricoltura ferrarese era la coltivazione della canapa, supportata da uno dei più importanti canapifici nazionali che sorgeva di fronte alla Stazione FF.SS. e raso al suolo dalle bombe durante il conflitto.
Nelle nostre campagne sono ancora presenti numerosi “maceri”, che sono scambiati spesso, da chi non ha mai visto la canapa, per allevamenti di rane. Potrebbero raccontarci il loro ruolo determinante ricoperto in passato che, attraverso batteri anaerobi come il B. Amylobacter, il B. Felsineus, consentivano la separazione delle fibre dalla canarelle, futuri “stic… da metar in t’la sticara”! Ma questo è un altro discorso.
Con l’inizio del secolo scorso insomma, l’industria nel ferrarese era riuscita finalmente a decollare trovando il giusto aggancio per crescere quantitativamente e qualitativamente in simbiosi con l’agricoltura. La fine dell’industria saccarifera e della lavorazione della canapa trascinarono nel baratro anche le coltivazioni da loro dipendenti. Oggi non servono più… ma lo zucchero c’è ugualmente sulle nostre tavole.
2 commenti
Ottimo articolo quello relativo alla storia dell’industria saccarifera ferrarese.
Ho lavorato diversi anni come stagionale nello stabilimento di Pontelagoscuro, Romana Zuccheri , e ora lo ricordo con grande nostalgia
Bei articoli di storie vere che fanno vivere