DAT ovvero Disposizioni Anticipate di Trattamento. Che brutto nome, che accostamento di parole poco musicale. Chissà a cosa pensava il legislatore mentre coniava questo acronimo, con tutte le possibilità che fornisce la nostra lingua. Ma già scrivere la legge non deve essere stato semplice, pretendere anche un bel titolo era troppo. La legge a cui faccio riferimento è la n. 219 del 2017 che compirà un anno fra poco più di un mese e rientra tra quei testi normativi che mi affascinavano quando frequentavo le aule di giurisprudenza, perché non si limita a fornire mere indicazioni procedurali, ma coinvolge e spinge ad indagare sfere intime dell’uomo, trattando ambiti nei quali tanto poco sembra c’entrare l’ingerenza di un ordinamento quanto invece si rende necessaria.
Il tema è quello del fine vita, della morte e di come morire. L’argomento più inclusivo che ci sia. E proprio perché, volenti o nolenti, ci riguarda tutti, è stato deciso di aprire alla cittadinanza il Convegno organizzato dal Collegio dei Notai che si è tenuto la scorsa settimana al Ridotto del Teatro Comunale di Ferrara, con una appendice in streaming in Camera di Commercio vista l’alta adesione riscontrata. Un convegno che ha raccolto studiosi di diverse discipline, a riflesso della complessità della legge: giuristi, notai, medici, psicoterapeuti e sociologi, tutti lì a dare il loro contributo nello spiegare un tema così delicato e prismatico come il fine vita; sono stati eminenti guide di un serrato viaggio durato quattro ore che è incominciato con la storia del panorama giuridico che ha condotto all’approvazione della legge, tenendo presente il diritto previgente e percorrendo i casi più noti (Piergiorgio Welby, Walter Piludu, Eluana Englaro e il recentissimo dj Fabo); si è sondato il nuovo panorama legislativo attraverso il punto di vista di un medico che si trova a fare i conti con concetti come consenso, informazione, deontologia, cura, muovendosi all’interno di una prassi medica e ancora più complicato, un’amministrazione sanitaria. Si è poi indagato lo scenario con le lenti dei notai, figure neanche menzionate nella legge ma che si rivelano necessari per arginare una eccessiva libertà lasciata dal legislatore che rischia di azzoppare l’intero impianto normativo.
Un percorso, quello del convegno, che si è concluso con la ricerca del senso da attribuire alla fine, cercando un dialogo con la morte e rinunciando a un modello che persegue la vita e la salute a tutti i costi e che continuamente baratta la quantità della vita con la qualità. Un viaggio denso e complesso, farcito di tecnicismi ostici e impennate dottrinali, ma si è parlato di una legge buona e quando una legge viene definita in questo modo significa che agevola le persone cui è rivolta e questa legge è davvero per tutti.
E allora noi tutti, noi che per alimentazione e idratazione intendiamo due coppie dal fornaio e un caffè al bar e non trattamenti sanitari, noi che a parlare di certi argomenti ci viene anche un po’ di fastidio, ci parte subito l’impulso a qualche gesto scaramantico di dubbio gusto, ecco, a noi, di questa legge cosa importa?
A noi interessa sapere che nella nostra città, in via Fausto Beretta 19, presso l’Ufficio di Stato Civile, ogni cittadino residente nel comune può depositare le proprie Dat, perchè Ferrara ha già istituito il Registro delle Disposizioni Anticipate di Trattamento. Chiunque, purché maggiorenne e capace di intendere e volere, può depositare le proprie volontà riguardanti accertamenti diagnostici, terapie e trattamenti sanitari. A noi importa sapere che nell’espressione di queste volontà la legge parla di pianificazione condivisa delle cure prevedendo che si instauri con il proprio medico un rapporto di relazione fondato sulla cura e la fiducia.
Le forme previste per redigere le DAT sono:
– la scrittura privata;
– la scrittura privata autenticata;
– l’atto pubblico.
È una libertà di forma che si può rivelare controproducente allo scopo. È vero che in rete si trovano moduli precompilati, ma è preferibile rivolgersi ad un notaio che con un atto pubblico (che significa blindato da una serie di garanzie) si preoccupa di adeguare le volontà del soggetto alle disposizioni di legge, garantendo l’idoneità dell’atto a produrre effetti. L’obiezione scatta spontanea: tanta fatica a pianificare e poi ci prende un colpo alla vista della parcella del notaio. In realtà non è così, perché sono state disposte tariffe limitate per le DAT, che vanno dai 100 ai 150 euro per la redazione dell’atto. È bene anche considerare che chi sceglie la forma della scrittura privata e spera di ricevere informazioni dai funzionari dell’Ufficio non riceverà nessun aiuto. E per una volta non sarà per le paturnie di un impiegato poco cortese ma perchè è la legge stessa a specificare che allo sportello sono tenuti semplicemente a ricevere l’atto sigillato in una busta, senza poter fornire nessuna indicazione.
Oltre che disporre dei trattamenti, nelle DAT si può nominare un fiduciario, cioè una persona a cui il disponente affida l’attuazione delle proprie volontà nel momento in cui lui stesso non sarà più in grado di determinarsi. Possiamo considerare il fiduciario come il tassello che ripristina la relazione medico-paziente sulla base delle scelte fatte dal paziente stesso e per questo sarebbe importante coinvolgere il fiduciario nel processo che conduce a queste scelte. Quella del fiduciario è una scelta da ponderare con attenzione perchè è colui che si farà carico di raccogliere e attuare le volontà di un terzo facendo fronte alla proprie convinzioni e al proprio vissuto e, ca va san dire, deve godere della fiducia di chi gli mette in mano le proprie scelte di vita.
Una volta consegnate le DAT all’Ufficio, verranno inserite in un registro generale e archiviate cronologicamente, quindi è fondamentale ricordarsi quando vengono depositate perché pare essere l’unico parametro di ricerca.
Questo è solo un atrofico riassunto di quanto prevede la legge e di come muoversi nella burocrazia del nostro Comune, che peraltro ha redatto una pagina molto dettagliata in merito. Mi tengo distante dall’esplorare le molteplici possibilità interpretative del testo che implicherebbero lunghe riflessioni sul piano giuridico, amministrativo e sanitario. Mi chiedo solo se è una norma che può andare a creare una prassi realizzabile. Lo spero e di certo fornisce uno strumento prezioso a chi si trova a vivere una malattia e può pianificare una cura, intesa come accompagnamento nel percorso della malattia e non come sua eliminazione, una cura che si posa sui pilastri dell’informazione, del consenso e della fiducia.
Ma la legge è rivolta a tutti, non solo a chi in qualche modo è costretto a ragionare con la fine. La legge porta ognuno a fare i conti con la natura caduca che fa parte di noi e ci porta a prendere coscienza dei limiti del nostro essere. Queste norme ci impongono di dare un significato alla fine, di cercare un senso alla morte, evento dal quale è istintivo prendere le distanze. Le DAT aprono un canale di interazione con la morte. Lo stesso Paolo Crepet, ospite di punta del convegno a Ferrara, ha ammesso di non sapere cosa sia buona vita e cosa sia buona morte e di porgersi con una certa umiltà verso queste parole.
E mentre anche io cerco un senso a tutto questo, frugando tra i miei valori, le mie esperienze e i miei riferimenti, mi viene in mente una vignetta in cui appollaiato sul tetto della casetta, guardando il cielo stellato, Charlie Brown dice al suo fido amico: “Un giorno moriremo anche noi Snoopy”. E quel gran filosofo di cane risponde: “Certo, ma tutti gli altri giorni no”.