Andrea Tagliati, 29 anni, nato e cresciuto in questa nostra splendida piccola città. Da anni fa il cuoco, ma da un po’ di tempo coltiva un’altra passione, la musica, un mondo attraverso il quale riesce a esprimersi e a trasmettere agli altri i suoi pensieri.
Ci siamo dati appuntamento al Monastero di Sant’Antonio in Polesine, ci siamo seduti nel giardino al tramonto e, dal momento in cui ha iniziato a raccontarmi la sua storia, mi sono ritrovata di fronte a un fiume in piena. Andrea ha un’esigenza di raccontarsi incredibile; il suo è un racconto fatto di dolore e in parte vergogna, mescolato a un’immensa voglia di rivincita.
“Non ho mai avuto un buon rapporto con la scuola. In seconda media ho perso mio padre in un incidente e da quel momento l’istruzione ha smesso di essere la mia priorità. Ho fatto la seconda superiore due volte poi, dopo essermi preso un anno sabbatico, ho fatto la terza e la quarta insieme al Parini. Quando sono andato a Bergamo per gli esami però non mi hanno dato l’ammissione alla quinta. Quella batosta mi ha fatto dire “fanculo tutto” e da quel momento ho iniziato a stare in cucina.” – racconta.
Mi hai detto di aver avuto problemi con la droga in passato…
Ho iniziato a essere dipendente dalla cocaina a 17 anni… solo due anni fa sono riuscito a uscirne. Giravo con la compagnia sbagliata, c’era un ragazzo piu grande che guidava il gruppo e io mi sono reso conto che volevo provare roba sempre più forte. Ho rotto tantissime amicizie a causa della droga. Poi mi sono messo con una ragazza a cui non avevo detto nulla, ma lei l’ha capito e mi ha lasciato. È stata la delusione amorosa a spingermi ad andare in comunità. Mia madre un giorno mi disse: “Oggi viene tua zia a fare due chiacchiere”. Quando suonò il campanello andai ad aprire e davanti a me comparvero due persone in giacca e cravatta: uno faceva parte dello staff di una comunità per tossicodipendenti, mentre l’altro era un ragazzo che aveva intrapreso il percorso per ripulirsi. Quest’ultimo mi ha raccontato la sua storia. Dopo poche ore ho chiamato il mio titolare e mi sono licenziato. Quella è stata la decisione migliore della mia vita: sono stato in comunità quattro mesi e ora so che non ci ricadrò mai più.
Come si è svolto il tuo percorso in comunità?
Mi hanno aiutato ad andare alla radice del problema, a capire “perché” avevo iniziato. Per assurdo non è stata la morte di mio padre, per quanto traumatico sia stato, i motivi erano altri. Ora so di aver risolto il mio problema, definitivamente.
Ad Andrea spunta un sorriso sulle labbra mentre conclude il racconto di quel periodo della sua vita. Mi guarda con consapevolezza, lo sguardo di soddisfazione di chi ha raggiunto con successo un traguardo importante, il sorriso di chi è riuscito a superare un ostacolo difficile.
Dopo il periodo in comunità com’è cambiata la tua vita?
La qualità della mia vita è migliorata tantissimo. Faccio musica e solo ora mi rendo conto di quanto sia diverso lavorare lucidamente rispetto al farlo sotto l’effetto di droghe. Questo è il mio tempo per vivere le cose che non ho vissuto e rimettermi in linea sulla tabella di marcia. Prima di tutto con la musica, che amo tutta indistintamente. Faccio rap, per mio diletto, ma mi dedico anche ad altri generi.
So che anni fa hai pubblicato un album…
Nel 2014 ho autoprodotto un mix-tape di 8 tracce. Alcuni bit li ho presi da Youtube, altri invece li ho fatti io, come un brano che ho dedicato a mio padre. Della grafica invece se n’è occupata mia cugina. Al tempo non avevo un canale di distribuzione, quindi cercavo di far conoscere il mio CD suonando in giro. In un paio d’anni ho venduto 150 copie e per me è già un successo. Mi piace l’idea di dare agli altri qualcosa di cui io sono orgoglioso.
Com’è nata la tua passione per la musica?
Ho iniziato ad ascoltare musica rap grazie a mia sorella e ho iniziato a scrivere grazie a un mio amico. Era il 2013 e io ero sempre insieme a due cari amici. Un giorno uno di loro, che già scriveva, ci ha detto “Provate a scrivere anche voi” e così abbiamo fatto. A lui devo il fatto di avermi messo davanti a una sfida.
(Mentre prosegue il suo racconto, lo sguardo e il tono di voce di Andrea cambiano, diventando più tristi e malinconici, come se all’improvviso stesse rivivendo quella parte della sua vita.)
A causa della mia dipendenza, dal 2014 ad oggi sono stato praticamente fermo. Mi sono ritrovato spesso solo e, purtroppo, anche se la mia passione per la musica è immensa, ho sempre bisogno di un piccola spinta per andare avanti, una pacca sulla spalla da parte di un amico.
Di cosa parli nelle tue canzoni?
I miei testi sono in parte autobiografici, in parte critici. Non sono mai autocelebrativo nei miei brani, sono piuttosto malinconico. Faccio principalmente concious rap perché il mio obiettivo è trasmettere dei messaggi precisi. Ti faccio un esempio: in passato ero il classico “bullo”, mentre ora, rivedendo le persone che si comportano come facevo io una volta, mi rendo conto che il bullismo è una delle cose che mi danno più fastidio. A questo tema è dedicato il brano “Simone”: parla della storia di un ragazzo che fa il bullo a scuola perché a casa le prende da un padre che a sua volta è bullizzato sul lavoro.
I tuoi piani per il futuro sono legati alla musica e non più alla cucina?
La cucina è sicuramente una delle mie passioni, ho fatto il cuoco per dieci anni, ma il mondo della ristorazione è molto stressante, ed è un ambiente che non fa per me. Ora sono a un punto di svolta. Mi piacerebbe aprire una mia piccola attività ed essere l’imprenditore di me stesso, oppure aprire una ludoteca o addirittura uno studio di registrazione. Ho davvero tante idee diverse e sono pronto a mettermi in gioco. Mi piacerebbe far uscire un mio album a gennaio, ma non lo faccio di certo per i soldi. So che nell’ambito musicale non sarò mai nessuno, ma credo valga comunque la pena provarci con serietà.
In arte ti fai chiamare “Kairos”, che cosa significa?
Nell’antica Grecia esistevano due concetti di tempo, quello cronologico e il “kairos”, quella porzione di tempo e di spazio in cui accadono grandi cose. È il cosiddetto “tempo propizio”, titolo che ho dato al mio primo album. Dietro a questi grandi avvenimenti solitamente c’è Dio. Mi piaceva il concetto e il ragionamento che lo sorregge così l’ho scelto come nome. Mi sono reso conto che nei miei brani parlo spesso del tempo, in maniera inconscia, forse anche perchè di tempo ne ho perso tanto…
Però da quello che mi hai raccontato, hai imparato molto dalla tua esperienza…
Sì, decisamente. Ora sto cercando di aiutare un mio amico a uscire dalla droga, in lui rivedo molto me stesso, rivedo tutto il male che ho fatto alle persone a cui voglio bene. So che il mio non è un aiuto professionale, ma ci metto davvero il cuore.
Un grande in bocca al lupo per il tuo nuovo album allora, ti auguro di dedicarti sempre alle tue passioni.
Lo farò. La musica è un bisogno ancestrale, è nel nostro DNA e credo che l’uomo ne abbia bisogno per stare bene. Io, perlomeno, ho questa necessità, per questo so che ascolterò e farò musica per tutta la vita.