“Mi ricordo esattamente quale fu il mio primo pensiero, quella notte. Dopo aver verificato che a casa stessimo tutti bene, sono uscito di corsa per andare al Museo, per vedere se tutto fosse ancora intatto”, mi aveva detto qualche mese fa Giovanni Sassu, storico dell’arte e curatore del Museo della Cattedrale. Quegli attimi di maggio 2012 hanno segnato indelebilmente i ricordi dei ferraresi. Uno spartiacque. Un prima, un dopo. Il dopo, come una rinascita. Delle radici che si inoltrano, profonde, nelle fratture della nostra terra, un seme che germoglia e che oggi ci regala dei fiori che si schiudono silenziosi. La città si risveglia, le crepe assorbono ghiotte stucchi, resine e vernici e i quadri custoditi nei depositi rivedono la luce, dimenticando la polvere e i silenzi, riappropriandosi degli sguardi.
Ed è il simbolo della nostra città, il Castello Estense, ad aprire le danze, ospitando nelle sue sale la prossima edizione de “L’Arte per l’Arte”, iniziativa promossa del Comune in collaborazione con Ferrara Arte e con l’Azienda Servizi alla Persona (ASP), dedicata alla valorizzazione del patrimonio storico e artistico reso inaccessibile dal sisma. Ad anticipare la mostra “Dipingere gli affetti: la pittura sacra a Ferrara tra Cinque e Settecento”, che aprirà il 26 gennaio prossimo, già dallo scorso ottobre i visitatori hanno la possibilità di ammirare una selezione di capolavori che anticipa temi e protagonisti dell’esposizione, tutti appartenenti alla collezione di dipinti antichi della stessa ASP, depositata presso i Musei Civici cittadini.
Ho incontrato più volte Giovanni cercando di appagare la mia curiosità sulla terza edizione di questa iniziativa. “Questa volta abbiamo voluto concentrare la nostra attenzione su delle opere che provengono da lunghi periodi in deposito e che sono sconosciute al grande pubblico. Vogliamo concedere ai visitatori la possibilità di farsi affascinare dai linguaggi pittorici della Ferrara del tempo, riscoprendo, dopo Bononi, anche nomi del calibro di Bastarolo e Scarsellino. Quella che mostriamo in anteprima è la presenza, sulla tela o sulla tavola, dell’urgenza comunicativa di dar un volto al Sacro, di dialogare col fedele e con lo spettatore, di creare il legame tra il credo e la quotidianità; una pittura che incarna perfettamente il concetto di pietas seicentesco, non solo affetto ma empatia, attenzione alla persona. Da qui, la collaborazione con l’ASP, l’antica vocazione degli istituti d’assistenza ad aiutare i più deboli, al tempo le ragazze “pericolanti”, gli orfani, i figli illegittimi… La premura e l’impegno profuso per le cause sociali hanno echi storici che si intrecciano con la nobiltà estense, tracciando le linee di una fortissima tradizione. Ma quest’anticipazione porta con sé una grande sorpresa, un’opportunità unica…”.
Ho un grosso problema con la parola sorpresa. Soprattutto se mi fido di chi la pronuncia. Parcheggio la graziella in Castello, supero la corte d’onore e, dopo un sorso di caffè tra le foto di una Ferrara che non c’è più e i manifesti dei capolavori bassaniani, raggiungo il piano nobile. Mentre percorro l’ala sud tra le visioni oniriche dei bestiari medievali e i colori di Scarsellino e Caletti, scorgo una deviazione. Arrivo ai Camerini ed eccola, splendida, la sorpresa di cui mi parlava Giovanni: la Decollazione di San Giovanni Battista, realizzata da Giuseppe Mazzuoli, o Bastarolo. A pochi passi, immerso in un leggero profumo di resine e colori e in un camice bianco macchiato indelebilmente, Fabio Bevilacqua, studia la tavola. Si gira, sorridente, pronto ad accogliermi in un mondo nel quale si entra sempre in punta di piedi, in un universo di transizione dove ogni secondo è scandito dal leggero fruscio delle setole dei pennelli sulla superficie del dipinto.
Fabio Bevilacqua è un volto noto per gli amanti dell’arte cittadina. Autore dei restauri di Palazzo Tassoni, delle opere del Maestro dei Mesi e della Madonna della Melagrana di Jacopo della Quercia, è stata la sua mano attenta a prendersi cura della rinascita dell’Incoronazione della Vergine a Santa Maria in Vado, capolavoro del Bononi e opera principale della mostra tenutasi a Diamanti lo scorso anno.
“Sei venuta a curiosare? – mi chiede. – Siamo a buon punto, sono molto contento della situazione attuale. I lavori sull’opera sono iniziati a giugno, ma in questo mese e mezzo qui negli appartamenti del Duca, abbiamo fatto ulteriori grandi progressi.”
Mentre, come prevedibile, inizio pericolosamente ad avvicinarmi al carrello sul quale colori, solventi, polveri e spatole di ogni tipo attirano la mia attenzione, Fabio mi racconta qualche dettaglio sulla sua presenza e sul lavoro da svolgere prima dell’inizio della mostra “Dipingere gli affetti”.
“Quando Giovanni e il professor Sante Mazzacane, che come tu ben sai è il Responsabile scientifico del Centro ricerche CIAS (Centro Ricerche Inquinamento fisico chimico microbiologico ambienti ad Alta Sterilità), finanziatore del restauro e promotore delle indagini diagnostiche, mi hanno proposto di prendere parte al progetto, non ho potuto esimermi. Insieme, abbiamo lavorato per il recupero del tondo della Vergine di Bononi attirando una grande attenzione e intendiamo perseguire questo cammino, concedendo ai ferraresi la possibilità di riappropriarsi di un patrimonio che stanno dimenticando. Il nostro lavoro, oggi, si concentra su una serie di opere firmate da grandi nomi ma in particolare su un capolavoro del 1572 circa di Bastarolo, al secolo Giuseppe Mazzuoli, pittore inafferrabile, mediatore tra manierismo e naturalismo. Su di lui, si hanno solo scarse notizie, ma la sua maestria ci porta a capire quale fosse la sua importanza, il suo ruolo di mastro teatrante dietro le quinte di un panorama artistico in divenire.”
Fabio si ferma, mi guarda. Non esitare, avvicinati. Supero il carrello dei balocchi e mi ritrovo a pochi centimetri dalla tavola, mentre Fabio con la mano destra guida i miei occhi sulle masse cromatiche, sui tocchi di luce, poi sui pantaloni del carnefice che risplendono di un blu cangiante. E il mio sguardo pian piano scende, su quella testa mozzata che non riesce a diventare la protagonista della scena nonostante richiami attenzione con insistenza.
“Esatto. Il quadro andrebbe osservato da lontano, su un altare, per notare la prospettiva. L’impostazione delle opere del Bastarolo è molto geometrica, qui ritroviamo una X perfetta: il nostro carnefice è diametralmente opposto alla scala, in secondo piano. Tutto si gioca in una linea di dialogo da mandante ad esecutore, al centro di quale la lucentezza della lama riveste un ruolo fondamentale che lascia il corpo del Battista all’interno del triangolo della parte bassa, quasi come fosse secondo alla narrazione. È uno studio dettagliato, un’istantanea colta dagli occhi di un uomo vissuto in un’epoca nella quale le decapitazioni in piazza erano quasi all’ordine del giorno… Oggi vedi il dipinto in una fase ove la vernice non è uniforme, ma abbiamo già provveduto al trattamento del legno con iniezioni di consolidamento e con resine acriliche, poi al fissaggio della pellicola pittorica trattando la superficie… Purtroppo – e per fortuna – sei al cospetto di un’opera realizzata su tavola più di quattrocento anni fa, con tutti i suoi pro e contro!”
Mentre il professor Bevilacqua parla, attorno a noi si è radunato un gruppo di visitatori del Castello giunti nell’Ala Sud spinti dalla curiosità di vedere dal vivo le operazioni di restauro.
“Il nostro è un lavoro di nicchia, misterioso. Bisogna sempre rendersi conto che ogni intervento di restauro è differente, ogni storia è diversa. Il restauratore ha dei metodi e delle sostanze che applica sia in base alla conoscenza pregressa ma soprattutto prestando assoluta attenzione alla richiesta propria dell’opera. Ci sono tanti, tantissimi curiosi che mi pongono delle domande. Sai, in molti potranno pur sapere d’arte ma non ci si improvvisa restauratori, non tutti conoscono l’organigramma di un dipinto del 500! Lavorare qui però, a contatto col pubblico, fa sì che tutti possano entrare un po’ di più nelle dinamiche intime dell’arte, possano innamorarsi e ritrovare la bellezza, carpendo i meccanismi che portano alla meraviglia scaturita dal processo concluso…”
Resterei ore, a guardarlo, ma il lavoro – di entrambi – chiama… Lascio Fabio nel suo mondo di colori e sguardi, recupero la mia graziella e mentre attraverso la piazza, penso e aspetto gennaio.
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