L’arte, specie nella sua accezione visiva si divide in due binari totalmente diversi: guardare non è capire, osservare non è percepire. Un quadro, una fotografia, un’installazione: uno sguardo disattento non restituisce niente al fruitore, che spesso finisce per allontanarsi in poco tempo da qualcosa di freddo e distante. Bisogna sapere indossare gli occhiali giusti e l’occasione è stata la visita a The Sexist Show (An apology to the world), nella Galleria del Dosso Dossi: una mostra curata da Julia Mahrer, ex studentessa della scuola, ora residente a Londra e pienamente inserita in un giovane ma già interessante percorso artistico.
Gli occhiali scelti sono quelli della cecità. Perchè scoprendo di non poter essere presenti all’installazione con l’autrice, abbiamo pensato di chiederle di farci una specie di audioguida telefonica. Di più: di immaginare di raccontare sensazioni e esperienza visiva come se fossimo non vedenti. Pensandoci, è difficile per un non vedente capire una mostra: le immagini descritte sono in realtà immaginate, creando una nuova e fittizia realtà elaborata dalla propria mente.
“All’inizio percepisci un certo disagio” ci racconta Julia.
“La porta è molto piccola, l’installazione piuttosto grande e c’è subito la paura di entrare, calpestando l’opera.”
È forse questa l’idea più forte: entrare nella mostra significa entrare nell’opera, appoggiare i piedi su di essa, in qualche modo rovinarla, senza chiedere permesso: prendere il proprio posto, senza chiedere niente a nessuno.
“Questa persona non vedente quindi percepirebbe di dover camminare e poi di doversi fermare perché questa enorme bandiera, dodici metri per otto, poi sale verso l’alto, verso il soffitto e non si può continuare. Sentirebbe il lavoro sul tessuto, capendo che c’è un testo, un messaggio”.
E il testo è la seconda parte di questa opera di ribaltamento dei ruoli: I am so sorry, chiedo profondamente scusa, vi è scritto.
“Se dovessi descrivere la scritta, racconterei del rosa, del suo essere volutamente kitsch, glitterato ed esagerato, riferimento alla Pop art e desiderio di ricreare lo stereotipo della donna in una scritta. In realtà questa donna chiede scusa, ma non per qualcosa di commesso: per qualcosa di acquisito come la parità lavorativa, l’essere rispettata, l’essere proprietaria del proprio corpo. Scuse che, come donna, non dovrei chiedere, per obiettivi che in realtà ancora non sono stati raggiunti”.
Io sono dispiaciuta.
Per essere una grande maggioranza
Per sentirmi inclusa
Per essere proprietaria del mio corpo
Per avere accesso agli stessi diritti
Per ricevere uguali opportunità di lavoro
Per essere equamente rappresentata
Per essere sempre dimenticabile
Per essere equamente retribuita
Per essere rispettata nel mondo dell’arte
Per essere rispettata nel mondo
Per essere bella, non intelligente
Per non avere mai segnalato come “femminile” i miei lavori
Per poter scegliere una carriera E un famiglia
Per non essere mai prepotente
Per non essere mai sensibile
Per non amare mai il sesso
Per recitare come una femminuccia
Per essere una donna
Julia racconta le frasi che si è sentita dire spesso, come “sei brava per essere una donna” e di avere omaggiato Dorothy Grebenack, grande artista del passato che lavorava su tappeti e che subì l’umiliazione, invitata ad una mostra collettiva, di vedere all’inaugurazione le proprie opere spostate nello shop adiacente ed appoggiate a terra, su cui camminare senza il rispetto per l’arte creata, unica donna della mostra e unica vittima di questo approccio.
Sensazioni, spiegazioni e il messaggio sono volutamente ambigui, lasciati allo spettatore, che può pensare di chiedere scusa alle donne, per la mancanza di uguaglianza o che le donne stesse chiedano ironicamente scusa, per avanzare queste pretese, uscendo dal ruolo sottomesso in cui l’evoluzione e la storia umana le avevano poste.
Uscendo, ci raccontiamo al telefono, si smette di calpestare l’opera. Imparare a sentirla e percepirla si è rivelato importante per percepirne tutta la forza. Togliendo gli occhiali del non vedente, tutto esplode di colori e luce intensa: il riflettore è per la scritta, il pensiero ad un messaggio che ancora non riesce a diventare sorpassato e quindi rimane attuale, più che mai e forse lo sarà per parecchi anni ancora.
Julia Mahrer, diplomata al Liceo Artistico Dosso Dossi nel 2013, è laureata 110L in Design della Comunicazione Visiva presso lo IED di Milano, dove nel 2017 si specializza anche in Curatela di Mostre ed Eventi Artistici. Ha frequentato un semestre alla University of Canberra (Australia), prendendo parte all’UC Design Society, e sta frequentato il corso post-laurea in “Experimental Communication” presso il Royal College Art di Londra dove attualmente vive e lavora.
The Sexist Show è in mostra alla Galleria del Dosso – Via Bersaglieri del Po 25/B Ferrara
dal 29 settembre al 14 ottobre 2018.
Orari mostra: 10-12.30, 16-19.30.
Instagram: @imsosorry