Fiera, occhi brillanti ma voce tremante. Aurelia accoglie così il pubblico, un pubblico interessato, accogliente, come lo definisce la nostra guida, Chiara Ronchi. Il pubblico del “Migrantour” è un pubblico che ha voglia di incontrare e ascoltare. Perché ad Aurelia, così come a Guy, Muddasar, Samira, Sitta, Lamin e Keita, le nostre co-guide, questa iniziativa dà la possibilità di parlare, per raccontare delle storie, diverse da quelle che siamo abituati a sentire. E’ il tassello finale di un percorso laboratoriale con studenti universitari stranieri, rifugiati, richiedenti asilo e mediatori culturali all’interno del progetto Sprar gestito oramai da oltre dieci anni a Ferrara dalla cooperativa Camelot, e che la stessa ha deciso di promuovere nell’ambito del Festival di Turismo Responsabile “Itaca” e nella giornata di mobilitazione nazionale in favore dell’accoglienza e contro il razzismo.
Parto da casa con la speranza di vivere il “Migrantour” come un’esperienza potenzialmente epica. Perché anche una semplice passeggiata in centro lo può essere, basta accettare il rischio di perdersi, liberi di costruzioni artificiali. E’ la prima volta che un “Migrantour” viene organizzato a Ferrara. L’esperienza si inserisce nella rete italiana ed europea dei Migrantour, già molto diffusa in Europa e nelle principali città italiane, nata dieci anni fa a Torino, da un piccolo gruppo di persone per cercare di favorire lo scambio tra migranti e cittadinanza in una logica di interculturalità. Una narrazione collettiva che racconta la città attraverso le storie personali di chi l’ha vissuta, di chi ci è arrivato perché in ricerca di un futuro migliore, con l’intenzione di creare qui, nella nostra terra, una nuova vita.
Si parte dal Castrum, il centro più antico della città: via Cammello, e in particolare dalla Chiesa di San Gregorio. Siamo nel cuore del “ferro di cavallo” che costituisce la pianta della città. Alle origini della stessa, ma anche alle origini delle nuove vite di Aurelia e Samira che qui ci hanno abitato proprio nei loro primi giorni in cui sono arrivate in Italia dalla Moldavia e dall’Iran e che riservano in questi luoghi particolari ricordi legati alle loro radici e tanta speranza per il futuro. Aurelia, a Ferrara da ormai quindici anni, ha iniziato proprio qui la sua avventura italiana. Ogni giorno percorreva questa via per raggiungere la Caritas, unico punto di supporto e appoggio. “Ai tempi”, come le piace definire quei primi travagliati giorni, ormai lontanissimi, “il luogo per me più importante era la chiesa, in particolare il Duomo, luogo di meditazione e riflessione” che l’ha aiutata a capire questo nuovo mondo e cosa fare per inserirsi e integrarsi.
Muddasar, del Pakistan, Lamin, del Gambia, e Samira ci raccontano le similitudini della nostra piazza Trento Trieste con i loro Paesi di origine: il brulichio di persone, l’atmosfera di famigliarità, i colori di festa degli ombrelli che dominavano via Mazzini dall’alto…“Via Mazzini è la strada dove ho fatto la prima foto perché è la via che mi ricorda i colori di un’importante festa del mio villaggio” ci dice Lamin.
Passando per Piazzetta Savonarola, tra le bancarelle del mercatino del weekend, non possiamo che non soffermarci su di un simbolo della città estense: Girolamo Savonarola. La statua non è tra le più belle sculture che conserviamo a Ferrara, ci fa notare la nostra guida Chiara. Ma è una statua fortunata, per la posizione di quelle braccia immense che l’hanno resa famosa. Un detto ferrarese la omaggia “lasa lì a dmandàr, angò brisa al bràzz ad Girolamo Savonarola”.
Se è vero che noi non siamo indifferenti ai luoghi e i luoghi non siano indifferenti a noi, è altrettanto bello apprendere che le nostre co-guide Sitta, del Benin, e Muddasar, entrambi ragazzi molto giovani e provenienti da paesi molto lontani e molto piccoli, abbiano ritrovato una sorta di rassicurazione nel nostro contesto urbano. Sitta ci racconta come la statua del Savonarola sia molto simile ad una statua del suo villaggio che rappresenta il Re del Benin, attore importante ai tempi del colonialismo francese che ha saputo imporsi invitando i francesi ad arrestarsi nella conquista delle terre africane. Per noi il Castello estense rappresenta l’esatto opposto, rappresenta il “signore” di Ferrara che sulle mura a nord tiene sotto controllo il suo popolo che si è ribellato. Diverrà poi per Ferrara anche sinonimo del rinascimento. A Muddasar il Castello estense, nella sua imponenza e magnificenza, gli ha consentito di ritrovare la strada e con essa la tranquillità dopo essersi perso, il primo giorno di scuole superiori, in vale Cavour.
Le esperienze che ci raccontano sono ambientate in Viale Cavour, poi Corso Giovecca, la cerniera che divide la città in due, estremità ovest da estremità est, parte medievale da parte rinascimentale. E’ molto semplice orientarsi a Ferrara. Che non ci si perda a Ferrara è un dato di fatto. Così come che la lettura urbanistica della città sia un “unicum”. “Un bambino piange meno qui rispetto ad altrove” ci dice ironicamente Chiara. Hai come la sensazione che qui ci sia qualcosa di coerente. Su questa cerniera convivono e dialogano con le loro analogie e differenze le due metà, quella medievale da cui proveniamo e quella rinascimentale. E’ la prima città moderna d’Europa, un disegno di inestimabile valore.
La nostra narrazione continua su Ercole I° d’Este fino al Quadrivio Storico di Palazzo dei Diamanti. E’ la prima strada percorsa da tutte le nostre co-guide, perché sede della Questura e quindi luogo di passaggio obbligato per l’ottenimento del permesso di soggiorno. Mi sorprende come Aurelia descriva le emozioni che ha vissuto in questa via: “E’ stata la prima strada che ho percorso a Ferrara. Ero molto tesa e timorosa. Una via piena di mistero e di arte. In fila, davanti alla Questura, di prima mattina, le auto, l’uniforme… mi chiedevo se avrei mai potuto un giorno vivere liberamente, senza dover sottostare a così tante regole e così tanto rigide. Negli anni poi, sono riuscita a costruirmi un mio percorso di vita, le cose sono cambiate, ho costruito una famiglia e la Questura non mi fa più paura.” Corso Ercole I° d’Este rappresenta l’asse principale dell’Addizione Erculea, da quando nel 1492 Ercole d’Este decise di raddoppiare la città. Rappresenta il disegno della “città ideale”, il famoso “disegno” di Biagio Rossetti. La sua unicità sta nel fatto che Ercole I° d’Este non ha imposto di distruggere la città medievale sovrapponendole la città rinascimentale, ma ne ha invece progettato una estensione.
Proprio su questa sua unicità il noto artista ferrarese Amaducci, ha fondato il detto “Ferrara nel 500 era New York” volendo raccontare come provenendo dalla città medievale, e affacciandosi a strade così larghe, così lunghe, con piazze così importanti come quelle dell’addizione erculea, la sensazione fosse quella che abbiamo oggi, da provinciali, se andiamo a New York.
Guy, dal Camerun, studente e mediatore culturale, a Ferrara ormai da dieci anni, e Keita, dal Mali, studente di italiano a Ferrara da un anno e mezzo, ci fanno riflettere su quanto questa via sia rimasta nel tempo sempre uguale. E lo fanno raccontandoci le similitudini con i loro villaggi: l’architettura delle case, il rosso del mattone, sono stati per loro una rassicurazione, un avvicinamento alle loro origini. Così come il verde rappresentato dal Parco Massari e dai tanti giardini interni che si affacciano sul Corso. Il giardino, il campo coltivato nei loro villaggi hanno sempre rappresentato fonte di vita e punto di incontro. E a Ferrara sono lì, intatti, da centinaia di anni. Siamo all’importantissimo incrocio tra Palazzo dei Diamanti e il Corso che collega alla Piazza Nova, la Piazza Ariostea. Ferrara è Patrimonio dell’Umanità perché rappresenta nelle sue strade e nel suo patrimonio urbanistico la cultura rinascimentale di corte. Su Ercole I° d’Este non si può costruire, non si possono cambiare le coordinate, non si possono alterare i pieni con i vuoti. La sua prospettiva è famosissima, da una parte il Castello, dall’altra la forza delle mura. Mano a mano che ci allontaniamo dal Castello diminuisce il colore rosso del mattone e aumenta il verde degli alberi. E’ uno spazio, della fine del 400, formidabile per la geometria e per gli aspetti poetici.
La nostra visita si conclude nella sede della Contrada di San Benedetto, la bianco-azzurro, una delle otto contrade dell’antichissimo Palio di Ferrara, un palio fatto di giochi tra popoli, di passione, azzeramento delle differenze e condivisione di un sogno comune. Un Palio che ha ricordato a Guy proprio le feste in abiti colorati del suo paese.