Quante volte in libreria ci ritroviamo a voler leggere l’incipit o un capitolo di un libro prima di affrontare l’eventuale acquisto? Un po’ come con gli ebook, per i quali possiamo scaricare un breve estratto e curiosare indice, argomenti e stile dell’autore, vi proponiamo da oggi una nuova rubrica per consentirvi di leggere in anteprima il primo capitolo di libri di autori ferraresi o che abbiano attinenza con la nostra città. Ringraziamo Edizioni La Carmelina per la gentile concessione.
Il libro A mezza luce, di Michele Balboni, già in vendita in libreria e stampato da Edizioni La Carmelina sarà presentato in Biblioteca Ariostea venerdì 26 ottobre alle 17. Siamo nel 1958, in prossimità della chiusura delle case di tolleranza prevista dalla legge Merlin. Al Chez Madame in via Buonporto a Ferrara, una casa di tolleranza di prima classe, lavorano Elsà Morgana, Luisella e Martita. Dirette da Madame Ivone tutte hanno segreti, sogni e amori nascosti. Il gatto Oscar, sempre presente, ci racconta tutto con i suoi pensieri perché “i gatti non hanno bisogno di parole”. Un romanzo al femminile in cui le “signorine” brillano per bellezza e sensualità…
Michele Balboni, dirigente d’azienda, appassionato di tango e ballerino maldestro, scrittore velleitario, spallino della prima ora. Ha pubblicato Il mio tango (Volta La Carta edizioni, 2013), La Diva del tango – alla ricerca del niño rubato (Faust Edizioni, 2014, Premio Letterario per i Diritti Umani, consegnato a Papa Bergoglio il 17/12/2014), Il tango delle parole – racconti e fantasie (Europa Edizioni, 2016). Con A mezza luce – Ferrara, 1958 si allontana dal mondo del tango per lasciare un ricordo di tanti luoghi, situazioni e personaggi di Ferrara – in verità validi e riscontrabili anche altrove – nonché un pensiero ad un mondo che non c’è più.
Prima parte
INVERNO
Il gatto
Compito di bambino di 9 anni, Le Figarò 6 maggio 1952.
Il gatto è un animale che ha due zampe davanti, due zampe dietro, due zampe sul lato destro e due zampe sul lato sinistro.
Capitolo 1 – Evviva Madame
“Le case erano soprattutto luoghi di dolcezza e di umanità.”
Mario Soldati in Quando l’Italia tollerava di Giancarlo Fusco.
«Evviva Madame!».
È entrato in sala come un tornado, gli altri clienti in attesa del loro turno d’amore si voltano.
«Evviva l’Albina di via Salinguerra, evviva la Manòn di via Colomba, evviva l’Antonia di via Quaglia e anche – ma sì – evviva Maria la zoppa. Ma soprattutto…» piccola pausa e si volta verso la reception «…evviva Madame!».
«La nostra maîtresse: sempre bella, elegante, profumata…». Nell’avvicinarsi e porgere il bacia mano acquista marchette corrispondenti alla tariffa per la “mezz’ora”. Non è tipo da lesinare sul proprio piacere e limitarsi ad una “semplice”, il signor Alberto.
Madame ammicca, sorride sorniona.
Mai fu tardi nella sua vita, la tormenta degli anni non ha ancora corrugato il viso. Non sono le mani sapienti, né il blu degli occhi vivi e neanche i capelli tinti di biondo raccolti e ben curati, non si tratta di bellezza – o meglio non solo – ma di qualcosa di diverso, di più sottile e penetrante, qualcosa che si percepisce ma non si vede, un fascino senza nome né tempo. Madame Ivonne è così.
Prosegue nel suo monologo, il bellimbusto: «Dio stramaledica la signora Merlin!». Il tono è alto, da comizio: «La sua dannata legge rischia di troncare un filone di civiltà erotica che si tramanda di generazione in generazione, di cui noi qui dentro facciamo – onoratamente – parte. La Merlin è come Nerone che ha incendiato la Biblioteca di Alessandria d’Egitto…».
Per un po’ gli uomini in attesa distolgono l’attenzione dai seni nudi, dalle gambe fasciate da calze nere, dal ristagnante odore di sesso che si respira lì al “Chez Madame”, nel salone del bordello di prima classe all’angolo di via Buomporto, a Ferrara.
Oscar è disturbato dal trambusto:*«Cos’è ‘sto casino? Stavo dormendo». Nemmeno il tempo di stirarsi come si deve, si rizza a sedere: *«Gli umani sono rumorosi». Una leccata al folto pelo nero reso più lucido dal freddo invernale, grosso più che grasso, il micio si concede il vezzo di quattro scarpine bianche ai piedi. Oscar si acciottola sulla credenza, in fondo alla sala, nasconde la coda rigogliosa sotto il corpo compatto, chiude gli occhi azzurri. Anche le orecchie perfettamente triangolari – un triangolo equilatero, si sarebbe detto alle scuole medie – sempre così attente e vigili, apparentemente si acquietano. È una delle sue postazioni preferite perché da lì si vede chi entra e tutto lo sviluppo delle operazioni di sala, inoltre il vaso che accoglie sempre fiori freschi di stagione – ora è il tempo degli iris, blu profumatissimi – è a portata di narice felina. Madame ama i fiori e non manca di tenere uno o più mazzi in evidenza per rimarcare l’eleganza del luogo verso gli arrapati clienti e soprattutto per il proprio piacere. *«Io amo annusare tutti gli odori. Madame lo sa e li mette anche per me». Oscar si ingobbisce e provvede ad un ampio sbadiglio, ormai il riposino pomeridiano è interrotto. *«Costui non mi piace proprio, quando entra non mi saluta, nessuna carezza. Non che io gradisca sempre le moine dei bipedi, ma se le rifiuto io è un conto, diverso è se uno mi ignora». Il gatto non vuole che tutto il mondo lo ami, solo quelli che lui ha scelto di amare. Ora osserva altezzoso. E ascolta. Ogni tanto la coda si muove, assistendo a questa sorta di comizio, ma nessuno potrebbe dire se è un riflesso felino o se si tratta di un segnale di dissenso, se non di fastidio.
L’umano – ben vestito, mani curate – gratificato dai consensi non verbali che percepisce sugli sguardi degli uditori, resta sul tema dell’autrice della legge appena approvata: «Pensate: si dice che la bersagliera voglia anche vietare il fumo nei locali pubblici e addirittura mettere un limite ai guadagni dei calciatori». Su quest’ultimo argomento la condivisione di chi ascolta si fa esplicita: «… e la nostra SPAL… cum fegna…?».
Insiste a piena bocca, dando visione di due grossi denti d’oro: «Beh, sappiate che la legge approvata qualche giorno fa alla Camera è una vera rivoluzione. Altroché Rivoluzione russa, altroché Mao Tsé Tung e la sua Lunga Marcia in Cina. Questa qui sì che è una cosa grossa e vicina a noi! Chiuderanno le case chiuse! Che già a sentirla questa frase si capisce cl’è propria ‘na cazada. Una stupidità. È una contraddizione in termini: chiudere le case chiuse». Qualcuno ridacchia.
Si toglie l’elegante cappotto di gabardine e posa il cappello tipo Borsalino sul tavolino tondo centrale a treppiede, evidenziando una calvizie incipiente, coperta da un accurato “riporto” di pochi volonterosi capelli. Rimane così parzialmente coperto l’avviso che marca il tono del locale: “SIETE IN UN LOCALE DI LUSSO – SI PREGA ELEGANZA ED EDUCAZIONE – LE SIGNORINE POSSONO RIFIUTARE I CLIENTI”. In nessuno dei 700 e più bordelli in attività all’inizio del 1958 (per oltre 2700 prostitute registrate, le famose “tremila”) esisteva un annuncio del genere, restando inteso che la prostituta non poteva mai esimersi dalla prestazione richiesta, né tantomeno rifiutare il soggetto pagante che si presentava. Invero anche al Buonporto, era assolutamente raro che un cliente non venisse accolto. In ogni caso l’invito sortiva un doppio effetto: da un lato costituiva pretesto per ricusare soggetti veramente impresentabili (per cattivo odore, sospetto di malattie veneree, brutalità nei rapporti), dall’altro rappresentava un motivo di vanto per i clienti stessi che si sentivano accettati per il loro aspetto – a volte oggettivamente sgradevole – piuttosto che per le loro banconote. In questo modo le tariffe decisamente più alte rispetto alla concorrenza trovavano ulteriore giustificazione, tanto che la “réclame” (all’epoca si chiamava così) recitava: “UNA ALLO CHEZ MADAME LA RICORDI PER SEMPRE, DUE ALTROVE LE DIMENTICHI SUBITO”. Che il bordello di Madame fosse di alto bordo, il cliente novizio – ma non erano numerosi, perché spesso chi lo frequentava diventava assiduo – lo percepiva subito, prima ancora di farsi catturare dalla bellezza delle ragazze, dalla loro giovane età, dalla biancheria di qualità, finanche dalla loro chiacchiera per coloro che desideravano un conforto non solo fisico. Madame orgogliosamente diceva: «Tra i primi dieci dei primi cento…», facendo riferimento alla classificazione delle case di tolleranza in esercizio: circa 100 appunto di prima classe, duecento di seconda e il resto di terza classe. Qui al Buonporto le ragazze avevano calze di nylon, nessuna finta riga disegnata a matita sul retro delle cosce. La cura degli arredi (specchi alle pareti, divani in velluto), la pulizia, persino la ricercatezza dei quadri appesi, caratterizzano il locale come molto diverso da tutti gli altri. Impensabile trovare lì da Madame una ragazza discinta, una macchia gialla nelle lenzuola del letto, essere assaliti dall’odore di piscio o da zaffate di ascelle, trovare qualcuno che bestemmia a voce alta o che entra in sala già ubriaco. Il tono di raffinatezza del contesto stimola a mantenere un comportamento consono anche coloro che ordinariamente ne sono digiuni. Gli stessi contadini che venivano in città per il mercato e destinavano al proprio piacere buona parte dei guadagni erano soliti indossare giacche o vestiti eleganti, dentro i quali stonavano e a volte risultavano ridicoli. Ma tant’è un momento di gloria – non a buon mercato – non si nega a nessuno.
Il cliente verboso – lui invero abituato ad un benessere effettivo ma di recente acquisizione – ha ora conquistato l’attenzione generale, ma non durerà a lungo. Ciò che comanda, là tra le gambe dei clienti può attendere minuti, non tanto di più. Gonfia il petto: «Io le donne le conosco bene, lo sapete», riferendosi al fatto che è dirigente di una fabbrica dove è impiegata molta mano d’opera femminile, il calzaturificio Zenit, e appunto le sue scarpe sempre nuove e lucide lo testimoniano. «Queste case sono una gloriosa istituzione italica. Qui si è fatto il nostro Paese, altroché storie. Dov’è che andavano i nostri soldati a riposare e rincuorarsi? Dov’è che i nostri figli…» (lui che figli non ne ha) «… fanno le prime, sane, esperienze di sesso? Tutti vengono qui. I comunisti senza patria e i preti, i contadini e i professionisti, i ricchi – pausa quasi ad esemplificare “come me” – e anche i poveri (se lavorano e risparmiano). Persino il Milite Ignoto è stato in casino. Qui abitano le tre istituzioni cardine dell’Italia: Fede cattolica, Patria e famiglia. Famiglia? Sì, certamente anche la Famiglia. Una visita qui può salvare un matrimonio. Meglio una trasgressione in casino che una relazione extraconiugale. E potete stare certi che se sono pulite le lenzuola di una famiglia per bene è perché gli uomini possono sporcare quelle dei bordelli. Qui il Peccato è confinato e sotto controllo. La prostituzione è il migliore dei diavoli e si sa che non esiste Dio senza Diavolo. E il mio rammarico va anche ai giovani che rischiano di non fare in tempo a conoscere le case. Qui con una spesa ragionevole possono avere una ragazza, e di straordinaria bellezza, e il tutto senza complicazione sanitarie, pericolo, né perdita di tempo».
Gratificato dalle sue stesse parole si guarda intorno: «Guardate infatti le ragazze, ammiratele. Che belle che sono! Sempre nuove. E disponibili. E ancora, non dimentichiamolo, igieniche. Sì, sono tutte pulite e ben curate dal nostro stimato dottor Rizzi. Ma non solo, qui c’è professionalità nell’amore, c’è la scienza dell’erotismo, la tecnica amatoria e la competenza vengono rispettate. Non è vero, Madame?».
Tirata in ballo, Madame sta al gioco, si tocca i capelli sistemandosi lo chignon e con un sorriso un po’ forzato: «Sì, signor Alberto, è così. Però ci vogliono far chiudere. Dicono che lo chiede l’ONU».
«E zà, l’ONU. Ma ‘sti americani è meglio che pensino a quel che succede a casa loro, alle loro donne che girano con i pantaloni. Là il matriarcato è già nei fatti. E se il progresso deve essere questo, allora io preferisco stare dove sono – sospiro di ricerca di assenso – non è così?». Assensi silenziosi lo inducono a proseguire: «Le nostre donne italiche sono le migliori. Al tempo stesso angeli del focolare a casa, e viziose qui. Ma in questo modo tutto funziona. Del resto dove potrebbero stare quelle ragazze che crescendo scoprono di essere prostitute congenite? Ci sono femmine nate per il casino così come il casino è fatto per loro. Non è questo forse il miglior posto possibile per vendere la propria carne?».
«E voi ragazze, cosa dite? Loro, quelli che propugnano questa sciagurata legge, hanno scritto che siete sfruttate, che siete le schiave del sesso e tante altre stupidità. Voi, proprio voi, che siete la fonte del nostro piacere, il fiore delle nostre serate, voi cosa dite a difesa del vostro lavoro? Non pensate che per esercitare la professione più antica del mondo proprio il casino sia il posto giusto? Lo si voglia capire o no, il casino è il male minore!».
Madame interviene decisa: «Signor Alberto, noi non siamo nessun male! Minore o maggiore che sia».
«Certo, volevo dire così anche io. E poi chi sostiene che bisogna redimere queste donne non sa in realtà di cosa parla, io non ho visto, e vengo qui da molto tempo, come sapete» ora ricerca benevolenza nell’uditorio «ragazze infelici qui dentro, ma soltanto allegria e professionalità di amore».
«Certo che noi non vogliamo essere redente, vero ragazze?» esclama Elsà.
*«Lo sapevo che non sarebbe stata zitta», Oscar gira appena il muso verso la voce sul fondo, in penombra del salone.
Elsà è sdraita sul divanetto intenta a farsi toccare da un prossimo cliente e contemporaneamente si struscia su un possibile successivo avventore, magari nell’intento di incassare due o quattro marchette con una unica, doppia, prestazione. Si divincola e alzandosi: «Eh sì, la sapete quella di una di noi – una gran zoccola dicono – con bellissimi capelli lunghi biondi, che si era pentita, andava sempre in chiesa e pregava, pregava la scema, e poi sapete cosa le hanno fatto? Le hanno tagliato tutti i suoi capelli. Ed è restata pelata, pelata in testa. E dopo è entrata in convento. Mo’ no che noi non vogliamo finire così». È vero il riferimento al fatto che, oltre 400 anni prima, le prostitute potessero ritirarsi in un convento conosciuto come Le Convertite, localizzato poco lontano dall’attuale Buonporto, nella stessa zona medioevale della città, ma certamente Elsà non lo sapeva.
Dalla mezza luce della lampada a stelo ravvivata dal fuoco del camino sempre acceso in inverno, là in fondo al salone, esce la bellezza massiccia, calda, possente di Elsà, la più gettonata. Età non ben definita, meno giovane di altre ragazze comunque. Grossi seni, grossi fianchi, rossiccia di capelli, la sua opulenza ne accentua la voluttuosa femminilità. Bellezza rigogliosa, odora di femmina da lontano, scaltra anche oltre il lecito. Mestierante del sesso a pagamento da sempre. Nemmeno Madame a volte riesce a tenerla a freno del tutto.
L’austera pendola che inesorabile batte anche i quarti d’ora (e non potrebbe essere marcatempo più azzeccato per un bordello), posizionata al centro del salone, sottolinea l’entrata in scena di Elsà.
Madame taglia corto la situazione, anche per interrompere una inopportuna assemblea delle sue lavoratrici: «Bene, signor Alberto, si accomodi pure» e indica la scala, mentre Elsà gli si è avvicinata, rispondendo ad un cenno della maîtresse e lasciando così a mezz’asta i due clienti in fase di riscaldamento. Tuttavia il signor Alberto intende congedarsi dalla sala con l’ultima parola, con tono di piccola ripicca: «… grazie Madame. Salgo, salgo, ma un giorno prima o poi ci dirà quale nome segue “Mada-me”, vero?».
Oscar ascolta sornione, lui sa tutto: *«Sali, sali, impomatato bipede grassoccio, che ci pensa Elsà a rizzartelo. E Ivonne non ti dirà mai il suo nome vero e men che meno ti racconterà la nostra storia».
Morgana si appropinqua al divanetto subentrando a Elsà nell’opera da lei avviata. Il cenno di Madame verso Elsà aveva appunto l’intento di togliere la giovane dalle mire del riccastro, perché lei sa che i due non si prendono bene. Il signor Alberto sceglie spesso Morgana quando è libera: trova pari soddisfazione nel possederla e nel costringerla ad ascoltare le sue prolusioni. L’uomo così sicuro di sé, almeno apparentemente, recita la parte del padre saggio verso la ragazzina scomposta, «Sei una puttanella da aiutare» le aveva detto una volta, terminati i rantoli di rito. È convinto, il signor Alberto, che pagando si possa esercitare su una donna una forma di possesso completo, limitato soltanto dal tempo a disposizione e dalla legge, una sorta di supremazia generale all’interno della quale è possibile e lecito ogni discorso o atteggiamento. Oscar, che osserva sempre le ragazze non solo nella sala comune, ma anche nei loro momenti di lavoro, potrebbe testimoniare: *«Costui, inoltre, appena può le strizza i capezzoli». I piccoli capezzoli ambrati che coronano le tettine sode, non grosse di Annamaria, qui ribattezzata Morgana. Si porta addosso questo nomignolo da sempre, certamente dal momento in cui lavora – fissa, qui al Chez Madame non ha mai partecipato alla tradizionale rotazione quindicinale – nel bordello di via Buonporto. Come da leggenda del soprannome, alterna momenti di dolcezza con atteggiamenti più decisi o dominanti verso i clienti e la sua pelle di seta appena più scura del consueto alimenta la curiosità e l’attrazione. Ma nessuno si è sinora qualificato come il suo Re Artù. In ogni caso si può pensare che il signor Alberto la stuzzichi pizzicandola là, sulle puntine, più per infastidirla che non per darle un piccolo dolore. Morgana tollera professionalmente e sta alla parte assegnata, ma dato il suo carattere acceso e ribelle, Madame teme che, prima o poi, lei possa sbottare e urlargli il proprio disprezzo, così da perdere il cliente. E costringere Madame a sanzionarla, cosa che le darebbe ancor più fastidio. Madame sa bene che il successo di un bordello dipende dalle ragazze, dalla loro abilità e bellezza e anche dal loro benessere: se stanno bene saranno più calorose verso i clienti e questi non lesineranno sulle marchette.
Elsà prende per mano il signor Alberto e salgono le scale, ancora gradini per lei.
*«Ha sceso dandoti il braccio, almeno un milione di scale…» pensieri liberi di felino. *«Elsà non si stanca mai di salire e scendere. Lei e le altre, “le mie chicas, le mie pipistrelle”, così le chiama Madame quando mi accarezza e mi parla. E io faccio le fusa».
Elsà è la più navigata ed esperta delle ragazze. Non perde occasione per sbandierare la sua onorata militanza e, a proposito di scale, dalla balaustra lancia giù: «Al Vico Lepre di Genova c’era l’ascensore, addirittura in legno di mogano e specchi. Lo mettiamo anche qui, Madame?». Il Vico Lepre, il Chiaravalle a Milano, via degli Avignonesi 10 a Roma, via dell’Orso a Bologna: case di prima classe dove l’avvenente e corposa rossastra aveva siglato centinaia e centinaia di marchette, pur non essendo ancora entrata negli “anta”.
Il signor Alberto esce di scena cantando: «Volare oh oh, cantare oh oh, nel blu dipinto di blu, felice di stare lassù, e volavo, volavo…». La canzone ha appena vinto il festival di Sanremo ed è sulla bocca di tutti. «Ciao ragazze, sono il vostro Domenico Modugno…ah, ah, ah» entra in stanza, strattonato da Elsà, arrotolandosi i baffetti impomatati.
Morgana infastidita, tra sé e sè: «Modugno… io preferisco la versione cantata da Johnny Dorelli. E poi ad incendiare la Biblioteca di Alessandria d’Egitto fu Erostrato, non Nerone».
Elsà, appena richiusa la porta della camera, provvede a spegnere quella voce gracchiante. Luisella discende le scale precedendo un giovane cliente soddisfatto e dal viso paonazzo. Entrambi ridono. Le altre ragazze in sala si fanno scegliere dai clienti presenti, altri ne entrano in attesa del proprio turno, Madame sorride accogliente.
Oscar zampetta verso il fondo del salone, si accomoda alla base della statua raffigurante a grandezza naturale una donna sinuosa in attillato abito nero. In cima in luogo del viso una abat-jour sparge una luce fioca, un lungo collare di perle – forse vere o forse no – ravviva la composizione. Il fuoco del camino acceso lì accanto garantisce la mezza luce giusta per il locale. Madame è molto orgogliosa della sua statua e la fa lucidare tutti i giorni. Oscar si sente parte integrante della composizione artistica e spesso sta accovacciato sul piedistallo quasi ad affermare: *«Voi che entrate sappiate che qui dentro c’è anche il gatto Oscar, non solo le ragazze».
In quel pomeriggio fattosi sera, così proseguono i suoi pensieri felini: *«Adesso tutto è a posto. Fuori freddo e nebbia. Con l’inverno ho indossato la mia più folta pelliccia. Ora comunque posso rimettermi a dormire». Provvede a stirarsi le zampe, procede ad una accurata pulizia del proprio lucente cappotto nero, di nuovo si acciambella e la coda chiude un cerchio perfetto con occhio di sentinella e musetto.
“… si tramanda di generazione in generazione…”: questa ed altre frasi del signor Alberto sono riprese da “Come fece Erostrato” di Dino Buzzati (in “Quando l’Italia tollerava” di Giancarlo Fusco) e da “Addio Wanda” di Indro Montanelli (ne “I Libelli”).
“… la legge approvata qualche giorno fa alla Camera…”: Legge 20 febbraio 1958, n. 75 “Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui”, pubblicata sulla GU 4/3/1958. A marzo 1958 le case erano 717 in totale: 102 di prima classe, 204 di seconda, 411 di terza.
Le “tremila” è un modo di dire molto diffuso e un termine di largo utilizzo in “Lettere dalle Case chiuse” di Carla Barberis e Lina Merlin.
“Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale” è una poesia di Eugenio Montale (in “Satura” 1967), dedicata alla moglie.
“la canzone ha appena vinto il festival di Sanremo…”: l’ottava edizione del festival di Sanremo si tenne dal 30 gennaio al 1° febbraio del 1958, presentatore Gianni Agus. La canzone “Nel blu dipinto di blu” cantata da Domenico Modugno e Johnny Dorelli vinse trionfalmente. Il brano è restato famoso negli anni e in tutto il mondo sono state vendute oltre 25 milioni di copie del disco (naturalmente in vinile a 45 giri).