

L’Aeroporto di Ferrara, dedicato a Michele Allasia, sottotenente ferrarese della prima guerra mondiale, è il principale aeroporto civile della provincia che ospita l’Aeroclub “R. Fabbri”, dedicato al volo ad ala fissa ed al paracadutismo e l’Aeroclub Volovelistico Ferrarese, dedicato al volo a vela. Ci sono inoltre quello di Poggio Renatico, tutt’ora Base Militare, e quello denominato “Prati Vecchi” di Aguscello, presso il quale è attiva un’associazione deputata alla riparazione ed al ripristino di aerei storici o classici, di cui cura la riparazione, o la totale ricostruzione, e l’intelaggio.
L’Allasia è dotato di due piste parallele (una in erba l’altra in asfalto), orientate Est/Ovest. Risale ancora agli anni ’20 e fino al 1940 è stato un’importante sede dell’Aeronautica Militare, con un grande sviluppo tra il 1930 e il 1940. Questa progressiva evoluzione vivacizzava di riflesso anche la città, tanto che in quegli anni nelle sere d’estate, nelle nostre bellissime piazze si notavano le numerose bianche uniformi degli Ufficiali e Sottufficiali. Erano numerosi e normalmente frequentavano il F.I.S., l’ultimo Caffè prima della Farmacia Navarra, e il Caffè Nazionale, sotto i portici del palazzo della Ragione. Erano ammirati prima di tutto per l’essere aviatori, poi per le impeccabili divise che indossavano.
Le signorine ne subivano l’irresistibile fascino, anche per il fatto non trascurabile che vedevano in loro un brillante avvenire. Essere la fidanzata o la moglie di un Ufficiale o di un Sottufficiale d’Aviazione significava prestigio. Per i giovanotti rappresentavano invece un sogno quasi impossibile da realizzare, perché entrare in aviazione non era facile e capivano che il loro destino militare sarebbe stato certamente il peraltro onorato grigioverde delle truppe pedestri.
Gli Ufficiale e Sottufficiali non sposati alloggiavano solitamente all’Albergo Nazionale, in Corso Porta Reno, pertanto quando non erano in servizio si ritrovavano nel nostro salotto cittadino distante solo due passi. Altri invece, sul tardi, se ne tornavano all’Aeroporto servendosi del piccolo autobus ad accumulatori della STU, che faceva servizio da e per il campo d’aviazione. Un Maresciallo pilota, simpaticissimo e sempre di buon umore, abitava con la famiglia sotto di noi e divenne in breve tempo l’amico di tutto il vicinato, spesso dopo cena gli facevano visita altri colleghi con le rispettive mogli. Io ero divenuto il loro piccolo amico e mi volevano un gran bene. Fu proprio la simpatia che nutrivano nei miei confronti a darmi l’occasione di conoscere il campo d’aviazione nei particolari.
Una sera sentii, tra i vari discorsi dei “grandi”, che l’amico Maresciallo invitava mio padre e me al campo d’aviazione per la domenica seguente. Che fosse proprio vero? Ero già emozionato soltanto al pensiero. Io che mi ero sempre accontentato di ammirarlo da lontano, aggrappato con gli amici alla rete di recinzione per guardare il decollo e l’atterraggio degli aerei! Era giunto il momento che ero certo non avrei mai dimenticato.
Quella domenica mattina ero fuori di me, confuso e felice. Quando mi succederà di avvicinare gli aeroplani, quando li potrò toccare e magari salirci a bordo? Questo pensavo sulla Balilla che con l’amico Maresciallo e mio padre percorreva l’interminabile via Aeroporto.
Eccoci arrivati. Mi guardai attorno e fui subito attratto dai due grandissimi Hangar avvolti ancora dalla foschia mattutina. Erano proprio dinnanzi a me, abbastanza lontani e un poco a sinistra, diversi tra loro ed enormi, due cattedrali costruite sull’erba. Il Maresciallo mi disse che un tempo erano il “garage” dei dirigibili, e che ora non essendoci più servivano da ricovero agli aerei. Saremmo andati proprio là, dove c’erano gli aerei.
Sembravano abbastanza vicini, invece erano parecchio distanti, camminavamo spediti ma loro erano sempre lontani, non arrivavamo mai! Intanto la mia guida ci diceva che all’interno di quello a copertura tondeggiante, che a me faceva l’effetto di una enorme “D”, avremmo visto i trimotori SM 81 e gli SM79, il gobbo maledetto, l’aereo del momento. Ed eccolo lì, l’81 bianco, un poco antiquato ma bellissimo, enorme alla mia vista. Dopo il giro attorno salimmo a bordo attraverso un’apertura con scaletta. Cercavo di capire da solo quello che vedevo e immaginavo l’emozione del volo. Allo stesso modo visitammo l’SM79, migliore sotto tutti gli aspetti, dalla livrea mimetizzata opaca, con una larga fascia bianca attorno alla fusoliera sopra la quale era stampigliata una sigla. Bellissimo davvero. Intorno erano presenti anche altri aerei dello stesso tipo.
Quell’Hangar mi fece un strano effetto, visto da dentro sembrava ancora più vasto, aveva un’altezza inimmaginabile, impressionante. Passammo al secondo più piccolo ma molto più largo. Questa maggior area consentiva di ospitare numerosi aerei da caccia che tra l’altro erano molto più piccoli dei trimotori. Il paradiso per un ragazzo che non sapeva più dove guardare! Il Maresciallo mi fece sedere al posto di pilotaggio di uno di loro, credo si trattasse di un Macchi C 200 e lui accanto a me, in piedi sull’ala, che mi spiegava cosa era quello e quell’altro.
Terminata la visita di ritorno verso l’ingresso, mi voltavo indietro ogni tre passi per ammirare quei giganti che tanto mi avevano affascinato. Oggi non esistono nemmeno le tracce della loro passata esistenza, anche se dalle foto aeree qualcosa si riesce a intuire sovrapponendo le planimetrie. Dove erano? La fantasia ci aiuta: laggiù, grigi e avvolti dalla foschia del primo mattino, a Sud Est, appena dopo le piste… ecco dove erano gli hangar!
Florio Piva nasce a Ferrara il 12 Ottobre del 1931 e dopo un’infanzia serena è costretto a crescere sotto le bombe in un clima di fine del mondo. Mentre l’Italia rinasce, prende il diploma di Geometra al V. Monti nel 1952. Dopo il servizio militare (Ufficiale specializzato in posa e rimozione campi minati), esercita la professione per alcuni anni, poi inseguendo il lavoro, si trasferisce a Mantova. Dopo dieci anni, per lo stesso motivo, si stabilisce a Brescia dove tuttora risiede. Attualmente è in pensione. Voleva tornare a Ferrara, perché la ama a dismisura, ma non c’è riuscito. Appassionato di auto, con un riguardo a quelle d’epoca, fa qualche quadro, che piacciono a lui e ad alcuni amici compiacenti. Da qualche anno è rimasto solo. Scava nella la sua memoria piena di immagini affascinanti e, prima che svaniscano, le scrive.