Dal 2015, nel piatto panorama delle campagne di Gaibanella, è apparso un misterioso ed elegante edificio di design che ha scatenato la curiosità dei ferraresi. I rumors parlavano della super griffe francese Louis Vuitton senza riuscire bene a definire la natura della relazione tra il colosso del lusso e l’enigmatico immobile. Dopo mesi, e decine di strane ipotesi, ha iniziato a diffondersi la voce che si trattasse della nuova sede della già residente Manifattura Berluti, nota maison calzaturiera francese, fondata dall’italiano Alessandro Berluti nel 1895. Sicuramente, la scoperta dell’insegna della famosa struttura, non ha placato il desiderio di conoscenza dei cittadini: mi capitò, poco dopo l’inaugurazione, di fare un colloquio presso la Manifattura e mi misero più in difficoltà le domande che mi vennero fatte, una volta a casa, dalle amiche.
L’importante storia e la tradizione artigianale della maison si sono dimostrate in linea con gli obiettivi del gruppo LVMH che ha acquisito la Manifattura nel 1993 (qui si svela l’arcano della chiacchierata prossimità tra Louis Vuitton e l’azienda in questione), e che ci invita oggi a partecipare all’evento pubblico Les Journées Particulières, dal 12 al 14 ottobre. L’iniziativa internazionale si fonda sulla necessità di riportare in primo piano le qualità fondamentali che fanno di una maison, un’eccellenza. Quando si pensa al gruppo LVMH, viene automatico associarlo ad un colosso finanziario, un gruppo imprenditoriale, subordinando la specificità delle strutture che lo compongono; la scelta della famiglia Arnault è frutto di un’aspirazione ben precisa: mantenere il fondamentale patrimonio artigianale che qualifica le aziende riunite sotto la sigla LVMH. Les Journées Particulières saranno l’occasione per curiosare all’interno delle aziende del gruppo e, per noi, in particolare, della Manifattura Berluti che aprirà i suoi laboratori al pubblico.
Entriamo alla Manifattura Berluti per un giro in anteprima per la stampa, sono qui come detto per la seconda volta e ricordo benissimo la parete di vetro che divide l’ingesso dall’Agorà; file di forme di piede in legno, che sembrano ripercorrere l’intera storia dell’azienda calzaturiera, danno il benvenuto agli invitati. L’Agorà, il magnifico atrio centrale, ricorda volutamente una scatola da scarpe solcata da decine di lacci in cedro. Ci accoglie François Berthet, il direttore, con pacata gentilezza e un ottimo italiano. In questi spazi, sono impiegate più di 250 persone, – spiega Berthet – tutti artigiani competenti e specializzati che danno valore ad ogni fase di lavorazione della calzatura.
Guardandomi attorno posso già vedere alcune fasi di lavoro attraverso le pareti in vetro che attorniano l’Agorà. Mi rimane particolarmente impresso un disegno, notato nell’atrio, che illustra le varie fasi di composizione del famoso nodo Berluti. Pare che il complicato nodo, che sto cercando di comprendere, risalga ad un episodio che vide coinvolti il Duca di Windsor e Olga Berluti, nipote del fondatore Alessandro, intenzionata ad allacciare le scarpe del nobile, a modo suo. Mi sforzo di seguire le fasi chiaramente rappresentate ma il gruppo prosegue obbligandomi a gettare la spugna.
La nostra visita inizia nell’atelier con il taglio e la prima cucitura della tomaia. Seguiamo il direttore nel magazzino della pelle, senza trattenere lo stupore di vedere da vicino ciò che rimane di un coccodrillo di 3,5 metri, completamente bianco. – I materiali che utilizziamo per la confezione provengono tutti da animali uccisi per scopi alimentari – puntualizza correttamente Berthet; il collega francese precisa – non si potrà affermare lo stesso per il coccodrillo! – e io ho già in mente il dramma del Crocoburger all’Expo milanese del 2015.
Proseguiamo verso il tradizionale processo di tintura tipico della maison,la Patina. La pelle ottiene il riconoscibile colore lucido e sfumato dopo una serie di delicati passaggi. Il cliente di Berluti ha anche la possibilità di personalizzare il futuro acquisto con colori speciali o tatuaggi; questo spiega l’inconfondibile ronzio della macchinetta per tattoo che rompe il silenzio concentrato degli artigiani al lavoro. La responsabile del reparto tintura, finalmente, ritorna sul famoso nodo Berluti dandoci una dimostrazione pratica. Poi un’altra. E poi un’altra. Niente, la mia mente impermeabile non trattiene nemmeno un indizio. Osservo i barattoli di colore disposti ordinatamente sugli scaffali che sembrano gli ingredienti di una pozione magica.
La visita termina di nuovo al centro dell’Agorà dove posso riguardare per bene uno zaino favoloso che vorrei potermi permettere. Francesca Messina, responsabile del progetto Académie du svoir-faire, ci mostra i suoi giovani artigiani al lavoro, prima di salutarci. L’accademia permette, a decine di inoccupati, di imparare, gratuitamente, le consuete tecniche artigianali, bagaglio tradizionale della manifattura, per poi, in molti casi, ottenere un impiego nell’azienda. Il ciclo dell’accademia prevede una breve introduzione teorica, una formazione pratica completa ed un tirocinio finale, che permette il consolidamento delle tecniche apprese. Guardando i ragazzi al lavoro, attraversiamo l’ultima sala. Davvero un peccato lasciare clima silenzioso e rilassato della Manifattura.
Per soddisfare finalmente la propria curiosità partecipando alle giornate di apertura al pubblico di ottobre basterà iscriversi online alla pagina Les Journées Particulières e lasciare a casa la macchina fotografica; si potranno usare gli occhi che ci serviranno, poi, per condire il racconto fantastico che faremo a chi non c’era. La Manifattura Berluti deve restare una bella leggenda, una storia da tramandare, come le tecniche che conserva; un piacevole mistero, come il nodo Berluti.