Quando lo cerchiamo, Andrea Fantini è in mezzo all’Atlantico. Sta risalendo dalla Spagna alla Francia in barca a vela per qualificarsi alla celebre Rotta del Rum. Abbiamo bisogno del suo staff per comunicare con lui perché a bordo l’energia è preziosa, e non va sprecata, come ogni altro bene primario. I collegamenti con la terraferma sono ridotti all’essenziale, hanno le priorità le questioni tecniche legate al funzionamento della barca, poi viene il resto. Una straordinaria inversione di tendenza rispetto all’esubero di parole, contatti e connessioni che ci circonda.
Andrea è un velista italiano cresciuto a Ferrara che nella sua giovane vita ha già navigato con i più grandi ed ora si sta preparando per una nuova importante sfida: la Route du Rhum, una regata oceanica in solitario che si tiene ogni quattro anni. Quest’anno la partenza è il 4 novembre da Saint Malo, in Francia, e l’arrivo è in Guadalupa. Ai fini della qualifica, il comitato di regata ha richiesto di navigare almeno per 1.200 miglia, senza scalo e senza assistenza, di cui almeno 120 con vento contrario almeno a 5 Beaufort (una scala internazionale di misurazione delle condizioni meteo in mare). Andrea è partito da Cadice per arrivare a Lorient, allungando un po’ il percorso (che seguendo la via più breve sarebbe di circa 900 miglia) per raggiungere le miglia necessarie e anche per andare un po’ oltre, in modo da prendere sempre più confidenza con la barca e con la navigazione in solitario.
Dopo aver regolato le vele, in un momento di relativa calma, ci racconta il suo progetto, guarda al futuro, ma anche al passato, con il trasporto e la schiettezza degli uomini (e delle donne) di mare.
Avendo navigato negli ultimi anni su diversi tipi di barche e in vari Oceani – racconta Andrea – si è accesa in me la passione per la navigazione oceanica in equipaggio ridotto e in solitario. Ho dunque deciso di dedicarmi a questo obiettivo anima e corpo, impostando un programma di medio e lungo termine che nasce da un sogno: partecipare un giorno al giro del mondo in solitario senza assistenza e senza scalo. Ovviamente per ora è un sogno, ma so che ci si arriva solo compiendo un passo alla volta e dunque il biennio 2017-2018 lo considero come una tappa importante in questo percorso più ampio. Nel 2017 ho partecipato alla Transat Jacques Vabre, regata in doppio che parte da Le Havre (Francia) e arriva a Salvador de Bahia (Brasile), mentre a novembre 2018 partirò in solitario per la Route du Rhum. Nel 2018 ho navigato anche in Mediterraneo, partecipando ad alcune regate offshore come la Roma x 1 (in solitario), la 151 Miglia (in doppio), la Giraglia Rolex Cup (in equipaggio) che mi sono servite come allenamento e test prima di tornare in Oceano.
Puoi dirci qualcosa sulla navigazione fino ad ora e su quella che hai davanti a te per completare la rotta?
Si possono fare corsi, allenamenti e qualsiasi tipo di preparazione, ma l’unica cosa che conta davvero è macinare tante miglia, fare esperienza in condizioni diverse e testare se stessi e la barca nelle situazioni più varie per poter rispondere al meglio una volta in regata. Fin qui il percorso è stato utilissimo ma ora è arrivato il momento di fare un grande sforzo e il campo di allenamento non può che essere l’Oceano. Rispetto alla Route du Rhum, dunque, la qualifica in solitario in Oceano Atlantico è stata un test importante al quale ho risposto piuttosto bene. Nei due mesi che mi separano dalla partenza dovrò lavorare molto sulla barca, sulla gestione del sonno e sulla capacità di mantenere sempre alta la concentrazione. Questo sia per un discorso di sicurezza sia per un discorso di performance. Gli altri skipper non mollano un centimetro e per fare bene so che non devo allentare mai la pressione.
Su che tipo di barca sei?
Per questi due anni navigo su Class 40, un’imbarcazione di 12 metri, pensata e progettata per regate oceaniche in solitario o in equipaggio ridotto. Non una qualsiasi, ma una barca che ha già una storia di tutto rispetto: è il numero 55 Magalé, su cui ha già navigato – e vinto – in passato Giovanni Soldini. In questa nuova avventura Magalé diventa Enel Green Power.
Una regata in solitario ha comunque bisogno di un gruppo di lavoro alle spalle, raccontaci del tuo.
Questa qualifica per regolamento la sto facendo in solitario, ma la verità è che per navigare in solitario serve un equipaggio! Sembrerà un paradosso, ma è proprio così, e me ne rendo conto ogni volta che mi fermo a riflettere su quante persone hanno creduto in me. Per gestire in modo professionale il mio progetto di vela oceanica ho fondato una società, Shoreteam Srl, insieme al mio socio Marco Calatroni. Oltre a essere un grande appassionato di vela e a navigare con me nei trasferimenti, Marco è il project manager e gestisce una lunga serie di aspetti: partnership, budget, logistica, comunicazione…
Un altro nome che probabilmente è familiare a chi mi segue sui social è quello di Igor D’India, il nostro on board reporter. Igor ha più di dieci anni di esperienza come videomaker outdoor e autore di documentari di avventura e, da un annetto, ha scoperto il mondo della vela. Poi c’è chi si occupa di social media e stampa, di grafica, di tutti gli aspetti legali. Agnese De Carlo è una figura fondamentale, si occupa di amministrazione e contabilità, oltre a un costante lavoro di controllo e ricerca di nuovi partner e opportunità, e sapendo che c’è chi tiene d’occhio i numeri posso andar per mare un po’ più sereno. Lo scorso anno nel cantiere di Lorient ha lavorato con me al refitting della barca un intero team, capeggiato da Tommaso Stella, un nome molto noto nel mondo della vela: rigger, skipper, preparatore e boatbuilder. Rimane il fatto che un team di Class40 ha bisogno di poche persone ma molto preparate, disposte a fare, spesso, molto di più di quello che gli viene chiesto. La pianificazione è essenziale e cerchiamo di tenere sotto controllo tutto, ma imprevisti e piccoli e grandi problemi sono all’ordine del giorno e sono fortunato ad avere collaboratori in gamba, flessibili e veloci nel reagire.
Ci hai parlato di un “refitting” della barca, quali sono le sue caratteristiche?
Nell’estate 2017 Magalè ha fatto parecchi mesi di cantiere a Lorient, la capitale mondiale della vela oceanica, per un paziente e accurato refitting che l’ha resa ancora più veloce, competitiva e – grazie all’Innovation Partner Enel Green Power – anche ecosostenibile. Abbiamo installato pannelli solari, un idrogeneratore e un nuovo parco batterie. In navigazione la barca invia in tempo reale a terra i dati sulla produzione e sul consumo di energia, per definire la configurazione ottimale e dare modo ai tecnici di studiare e applicare le soluzioni più adeguate. Insomma, un laboratorio galleggiante di sperimentazione e innovazione. Altro partner fondamentale è Garmin Marine Italia, che ha dotato la barca delle più moderne soluzioni in termini di elettronica: il radar, il GPS cartografico e i display esterni con tutte le informazioni e i dati di navigazione, il VHF ad alta portata collegato all’AIS, uno strumento che permette di “vedere” le altre navi e di essere visti da loro e risulta essenziale soprattutto quando si naviga da soli. Mi hanno anche dotato del nuovissimo InReach Mini, un apparecchio che permette di dare H24 informazioni sulla mia posizione e – grande novità – di comunicare con il team a terra via messaggio. Funziona come tracker, come comunicatore in ingresso e in uscita e, in caso di necessità, mi basta schiacciare un pulsante per inviare un SOS a un sistema mondiale di localizzazione e soccorso. Chiunque va in barca dovrebbe averlo, è più piccolo di un cellulare e completamente waterproof.
Con SLAM – che veste il team sia a bordo che a terra – stiamo lavorando allo sviluppo di una linea di abbigliamento tecnico specifica per la navigazione offshore in condizioni difficili, dalle cerate alle maglie tecniche intime per la temperatura: in Oceano è fondamentale rimanere più asciutti possibile e non avere freddo pur rimanendo leggeri.
UBI Maior, azienda italiana specializzata nelle attrezzature di coperta, ha fornito i “frulli”, sistemi che permettono di arrotolare le vele invece di ammainarle ogni volta. In regata i cambi vela possono essere molti, impegnativi e duri, e navigando per lo più in due o da solo questi sistemi permettono di eseguire le manovre con notevoli guadagni in semplicità e rapidità.
Dietro ad un sogno ci sono dunque anche tanti aspetti pratici da considerare. Molti dunque i partner del tuo progetto, qual è il tuo rapporto con loro?
Il mio progetto è un po’ particolare, in quanto non si può parlare di veri e propri sponsor. Con tutte le aziende con cui lavoriamo io e il mio team c’è un rapporto di collaborazione e sviluppo. Loro “usano” me e la navigazione in ambienti e condizioni difficili come base per testare i prodotti, sperimentare le soluzioni e sviluppare tecnologie. Il compito mio e del mio team è quello di dare feedback tecnici, per aiutarli a confermare i punti forti e evidenziare i punti migliorabili. Nei limiti delle nostre competenze e possibilità, suggeriamo quelle che secondo noi potrebbero essere soluzioni, o semplicemente individuiamo e condividiamo necessità su cui poi i loro team tecnici lavorano. L’esempio più eclatante è il lavoro fatto con Enel Green Power, con cui abbiamo trovato la configurazione ideale in termini di produzione energetica a bordo con un nuovo parco batterie ad alte prestazioni, pannelli solari e idrogeneratore, senza compromettere il peso e dunque le performance di velocità della barca.
Vorrei spendere una parola – e un ringraziamento – anche per Credimi e Akran, senza i quali non sarei qui. Grazie a Credimi – società di factoring – abbiamo avuto accesso al budget fin dal primo giorno del progetto, potendo programmare spese, investimenti e realizzare subito i lavori necessari su Magalé. Akran Intellectual Property è lo studio legale che cura tutti gli aspetti legali del progetto, rapporti con i partner, contrattulistica, diritti d’immagine. Inutile dire quanto sia importante poter contare su professionisti di questo calibro.
Quali sono i tuoi obiettivi a lungo termine?
A lungo termine, un obiettivo che per ora preferisco chiamare sogno è la Vendée Globe, il giro del mondo in solitario senza assistenza e senza scalo, l’Everest dei mari. Come dicevo prima, è durissimo arrivare anche solo alla partenza. Oltre a preparazione, capacità, pazienza e durissimo lavoro, servono anche budget importanti e questo è un po’ l’aspetto più duro perché la vela in Italia è molto in difficoltà rispetto ad altri paesi, la Francia in primis. Però passo dopo passo, con pazienza e tenacia nulla è escluso a priori. Con il mio team ci stiamo muovendo bene, credo che la strada sia quella giusta e non siamo gente che molla.
Hai navigato con Soldini, avete nuovi progetti assieme?
Giovanni ha rappresentato un’esperienza incredibile, sportiva, tecnica e umana. Lo testimonia il fatto che ho tra le mani la sua barca e ho la sua fiducia. Ci sentiamo spesso, è un amico e non manca di dare consigli quando gliene chiedo. Per ora non abbiamo progetti assieme, d’altronde lui è sempre super preso con i suoi progetti e io con i miei, ma certamente mi piacerebbe fare una regata con lui: in barca è incredibile e ogni miglio con lui è un’occasione per imparare cose nuove. Chissà…
Di recente Soldini ha partecipato ad un filmato di Greenpeace, cosa ne pensi?
Che dire… Giovanni ha una storia personale che parla da sola. È stato salvato e ha salvato delle vite in mare, rischiando di compromettere tutto ma senza esitare un secondo. Più che quello che dice, che andrebbe mostrato nelle scuole elementari, medie e superiori, è come lo dice. Non scherza, è serio e quasi incazzato. In effetti quello che sta succedendo a livello politico e mediatico è assurdo. Gli essere umani da sempre hanno leggi non scritte e salvare una vita – in mare o a terra – non dovrebbe nemmeno essere argomento di dibattito. Per fortuna – o almeno lo spero – ci sono sempre state e sempre ci saranno persone come lui che antepongono l’uomo al marinaio, al colore, alla provenienza, alla situazione sociale o economica. La vita di chiunque viene prima di qualunque cosa e su questo non credo ci sia altro da aggiungere.
Quando tornerai a Ferrara?
Appena dopo la qualifica tornerò a Ferrara qualche giorno per vedere la mia famiglia ma poi subito a Lorient. Mancano due mesi alla partenza delle Route du Rhum, c’è tanto da fare e ogni giorno è da sfruttare a pieno.
Che rapporto hai con la città?
Sono affezionato a Ferrara, è stata ed è “casa”. È tranquilla, è a misura d’uomo e mi permette di rilassarmi e ricaricare le batterie prima di ripartire. Non amo le grandi città, il caos, il traffico, la fretta. Da anni sono spesso in giro per il mondo, ne ho viste sia via mare che via terra e ho capito che mi piacciono le cose semplici, poter passeggiare tranquillo o andare in bici da casa a casa di un amico, mangiare bene e ritrovare quei luoghi e quelle persone che poi sono quelle memorie che mi porto con me quando sono in mezzo al mare. Sapere che ci sono tanti miei concittadini che mi seguono sui social e fanno il tifo, anche se magari non mi conoscono di persona, è un grande orgoglio per me. Oltre a questo legame affettivo con la mia città, confesso che non mi dispiacerebbe riuscire a costruire un legame professionale, magari coinvolgendo qualche imprenditore locale. Vedremo…
Come vede la tua famiglia la tua scelta di vita?
La mia è una famiglia eccezionale, che mi ha sia dato le possibilità sia insegnato le responsabilità di seguire quella che credevo essere la mia strada. E lo credo tutt’ora. Ovvio che due genitori stiano un po’ in ansia quando il figlio parte per mare, soprattutto se in Oceano e da solo, ma sanno che una persona felice è quella che può fare quello che gli dice la sua passione, o almeno provarci, e dunque per loro sapere di avere un figlio felice è più importante di qualunque altra cosa. Su queste basi mi appoggiano e mi sostengono, e per me questo è il più grande serbatoio di energia quando mi sento stanco e sotto pressione.
Riesci a mantenere i rapporti anche con i tuoi amici d’infanzia?
I miei amici d’infanzia sono imprescindibili, sono molto legato a loro, anche se è sempre più difficile vedersi: alcuni vivono all’estero, altri in Italia ma non più a Ferrara, io sono sempre via, per cui alla fine non ci si vede quasi mai, ma quando succede…! Incontrare i miei amici d’infanzia, quelli veri, quelli che si contano sulle dita di una mano, è un po’ come tornare a casa. Ferrara è magica, a me piace particolarmente in estate, quando tutti sono via, si esce in bicicletta, è tutto tranquillo, tutto semplice, non so come spiegarlo. E pensare che fino a quando studiavo a Ferrara (al Corso di Studi in Farmacia, ndr) ogni momento era buono per andarmene e sognavo di lasciarla definitivamente! Poi effettivamente sono partito per davvero, ma da allora ci torno ogni volta che posso.