Se dovessi stilare una top ten delle frasi che mi ricordano l’infanzia, molto vicina al podio ci sarebbe: “Rossella, stai attenta a dove metti i piedi!”.
Perché è vero, da bambini si è un po’ distratti e qualsiasi dettaglio chiama la nostra attenzione. Tanto i piedi vanno da soli, che ci sarà mai da osservare con attenzione su un marciapiede, una strada ciottolata, uno strato di cemento…?
Le buche, direte voi. O qualcosa di poco piacevole che non dovrebbe essere lì e s’attacca con gaudio alle suole delle scarpe più belle che avete. E invece no, a quanto pare, sia una buona parte di voi che la sottoscritta ha torto.
Ci passiamo sopra tutti i giorni, li vediamo… ma non li guardiamo mai. Benvenuti, dunque, nel favoloso mondo dei Tombini.
Il mio intento, oggi, non è quello di portarvi a far frottage su tutta la pavimentazione del centro storico e di regalarvi un souvenir atipico della nostra città.
Vorrei infatti presentarvi non uno, non due ma cento e più chiusini diversi, tutti raccolti con estrema attenzione, amore e cura nelle sale di quello che negli anni ’20 del Novecento fu un magazzino di legno e carbone e che ora si reinventa come sfondo di una delle collezioni più peculiari al mondo. Siamo in via Baluardi 125, vicinissimi al Monastero di Sant’Antonio in Polesine e ci accingiamo a visitare l’ International Manhole Museum. O la Bottoni Private Collection, che ha quel tocco chic che fa sempre effetto. Ad aprire la porta di questo luogo surreale, è il suo custode, Stefano Bottoni, meglio conosciuto come il papà del Buskers Festival.
“Posso accendere le luci? attendete un attimo. Ecco si, da dove iniziamo, vediamo. Venite di qui, insomma, fate un giro, poi vedete, guardate poi vi spiego, volete qualcosa da bere? Dell’acqua, del succo d’arancia, succo di frutta? Io vado di là, torno subito, arrivo! ”
Conosco Stefano da qualche anno e se c’è una cosa che so per certa è che il tempo che trascorreremo insieme sarà un vortice. Appena varcata la soglia, davanti a noi si stagliano una marea di oggetti: un planisfero riprodotto su un manifesto, dei modellini, le vecchie sedie del cinema Manzoni, scatole di legno di ogni forma e misura. E poi, loro.
File e file di tombini rigorosamente catalogati per dimensione o provenienza.
Mentre Andrea si prepara per immortalare i suoi inconsueti modelli, Stefano racconta: “Sai cara, questa è l’unica collezione di tombini al mondo. Arrivano da Aarhus, Bruges, Kristiansand, Magdeburg, Sarajevo, Zurigo…
Com’è iniziata? Ridendo e scherzando, come nascono gli amori!
Nel 2001 ero a Praga, come sempre alla ricerca di gruppi per il Buskers Festival. Non chiedermi per quale ragione, notai un bel tombino che raffigurava le tre torri di Mala Strana e pensai di farmi scattare una foto mentre lo toccavo. Un gesto normale, forse di contatto, non so. Quando sono tornai in Italia, decisi di stampare la foto su cartoncino e di utilizzarla come cartolina d’auguri. La inviai al sindaco coi miei ringraziamenti… e inspiegabilmente, qualche settimana dopo mi arrivò a casa un tombino di 55kg.
Quando si dice “un pensierino”… ci sono andati leggeri! Galeotta fu Praga dunque, con quelle torri svettanti su una città che vanta meraviglie…
Ma era solo l’inizio… Dopo, quasi senza rendercene conto, ci siamo (e parlo al plurale perché è un’avventura nella quale non sono l’unico ad esser coinvolto) trovati all’interno di un vortice. Sai quando da una scintilla nasce una passione? Esattamente così. Ed è con questo andamento, (molto) surreale ma (decisamente) bello, che è arrivato il secondo chiusino, recuperato da una discarica ferrarese, poi il terzo, viennese, e poi, il quarto, giunto per arcani motivi dalla Cataloña.
Il colpo di genio però è da attribuirsi all’allora Assessore alle attività produttive, Aldo Modonesi che, primo tra i tanti amministratori a credere in questa folle idea, mi ha aiutato a portare avanti il progetto.
Interpellato e prontissimo, Modonesi ci spiega: “Come sempre, quando Stefano presenta un’ idea, un progetto, si rimane trasportati dall’entusiasmo e dalla sua voglia di realizzarlo. Questo suo modo di illustrarti le cose mette, quasi fin da subito, in secondo piano i dubbi sorti al pensiero del raccogliere in giro per il modo ghise e tombini per farli divenire oggetti museali. Penso fossero trascorse appena un paio di settimane dalla presentazione dell’idea (e dalla mia disponibilità nel sostenerla) al giorno in cui vidi Stefano ritornare nel mio ufficio con una bozza di lettera e un primo indirizzario di almeno una trentina di municipalità alle quali richiedere gratuitamente la spedizione dei chiusini. E, non solo con il mio stupore ma sicuramente anche con quello di Bottoni, quasi fin da subito abbiamo ricevuto delle risposte assolutamente positive. E da lì, lettera in lettera, tombino in tombino, siamo arrivati alla creazione del nostro Manhole Museum.”
“Che poi” – continua Stefano – “non me la sento di chiamarlo Museo. Non lo è, in effetti. Lo chiamerei più una collezione, un luogo dove vengo almeno due, tre volte a settimana e del quale faccio uso assolutamente contemplativo. Chi entra qui ha reazioni contrastanti, molti non si aspettano esattamente questo. Ma direi che i più non sanno proprio cosa aspettarsi!
I visitatori non sono tantissimi ma i feedback sono sempre stati positivi.
(attimo di silenzio misto a pensiero misto a respiro)
Ma te l’avevo raccontato di quel giorno in cui ho avuto come ospite l’Unione Italiana Ciechi? Pensaci! I tombini sono gli oggetti perfetti per un museo tattile. Sono come dei dipinti in rilievo. Incisioni. Arte pura! Chiudi gli occhi, prova: senti i dettagli, le linee! In alcuni si riporta il nome delle città, in altri quello dello stato, i loro simboli… Anche se…alcuni potrebbero essere fuorvianti, ora che mi ci fai pensare. Vienivieniguarda, questo è il mio preferito, da Copenhagen con amore… ed elefanti!”
Io guardo Bottoni, Bottoni guarda il tombino. Siamo perplessi. Chissà perché ci sono gli elefanti. Mentre mi perdo sul perché e per come e sulla mia ignoranza in materia di fauna danese, sento Stefano che mi chiama per farmi vedere il chiusino di Valencia. Una sessantina di kg sui quali svetta un pipistrello. Direi che ci stiamo ridimensionando.
“Questo è il nostro vecchietto, classe ’26. Pare che per una serie di fortunatissimi eventi, un pipistrello avesse salvato la città da un incendio. Pensa tu la delicatezza dell’amministratore nel scegliere un soggetto del genere per un tombino. Leggenda o meno, le città possono essere raccontate in tantissimi modi e quest’arte poco considerata è in realtà un altro modo di far conoscere la propria identità. Siamo sempre lì a girare con il naso per aria e spesso non prestiamo attenzione a quei dettagli che possono apportare quel jenesaispasquoi alla nostra giornata. Qui io tengo raccolte tante storie di paesi e comuni che si sono voluti raccontare in un modo atipico ma che col tempo stanno richiamando l’attenzione. Tanto che, guarda guarda, ti faccio vedere!”
Stefano apre pian piano un bel volume, sfoglia le pagine ed eccolo, fotografato insieme ai suoi inestimabili tesori, nel volume ove si annoverano le collezioni più peculiari al mondo firmato Vacheron Constantin. E mentre noi continuiamo a parlare e saltellare qui e là, toccando le superfici sulle quali miliardi di piedi avranno transitato nei loro viaggi intorno al mondo, ecco che ripenso alla mamma e – da copione – penso che, anche questa volta, la mamma aveva ragione.