Mi rendo conto che può sembrare grottesco ma per raccontare il mio rapporto con Alfio Finetti devo partire dagli Stooges.
Erano i tempi in cui ripetevo a pappagallo che “Fun House è la vetta della creatività umana”, cosa in cui ancora – specie quando lo metto su a volumi seri – credo ancora.
Ma vabbè, cerco di farla breve. Ero ancora molto giovane, era il 2006 e mi apprestavo a mangiare una pizza nella casa in cui scroccavo da dormire ai tempi, una casa in via Mortara che avevamo ribattezzato – vedi te – “la Fun House”.
Io e il mio amico F. – che però chiameremo “Cesare”, il mio amico R. – che chiameremo “R.” – e il mio amico N. – che però chiameremo “Alfio” – ci eravamo radunati in quella casa, davanti a quella pizza, perché la mattina dopo la sveglia doveva suonare prestissimo: partenza per l’Idroscalo di Milano a vedere Iggy Pop e quel suo culo grinzoso dietro a cui – finalmente – si sarebbero posizionati i santissimi Stooges, intenti a suonare solo pezzi da The Stooges e Fun House.
Il mio amico Cesare lo conoscevo da un po’, il mio amico R. anche, ma il mio amico Alfio lo incontrai quella sera lì e, a un certo punto, davanti a quella pizza mi sembrò giusto chiedergli: ma ti chiami davvero Alfio? Ovviamente la risposta era “No”. Però il mio amico Alfio ebbe il buon cuore di spiegarmi il perché di questo suo curioso soprannome.
Mi rispose semplice semplice: mi chiamo Finetti di cognome. Da quella risposta mi si aprì un mondo, mi si formò un apposito reparto nel cervello che mi porto dietro tuttora, il reparto Alfio Finetti. Sfortunatamente non sono nato in questa bella città e quindi non sapevo chi fosse questo Alfio Finetti ma fortunatamente, i miei amici Cesare – che di cognome fa Ragazzi – e Alfio si diedero da fare immediatamente.
Il primo pezzo che mi fecero sentire fu “Salama da sug”, classico intramontabile che mi sbomballò il cervello in pochi minuti. Da quel momento iniziai a esplorare il magico, occultissimo mondo di Alfio Finetti tramite YouTube e posso dire di essere diventato, negli anni, un vero fan di questo Signore. Dico “magico” e “occultissimo” perché a me le cose di cui cantava Finetti facevano l’effetto di certi pezzi blues registrati chissà dove e chissà quando, roba che veniva da un mondo che non era il mio ma mi affascinava in un modo indescrivibile. E la cosa bella è che in questo caso – contrariamente a quel che mi succedeva col blues – quelle cose le potevo cogliere, respirare e anche parlare.
Camminando a caso per Ferrara o parlando con qualche amico con più anni di me potevo tentare di immergermi in quel mondo, capire, imparare e sostanzialmente decifrare quella che Harry Crews chiamerebbe “la biografia di un luogo”. Cose come questa, nella musica, non accadono spesso. O almeno, purtroppo, accadono sempre meno.
Qualche anno fa ero arrivato a cercare sull’elenco del telefono il numero del bassista che ha suonato in “Al Condominio”. Avrei voluto chiedergli se gli andava di suonare il basso in qualche pezzo del mio disco perché per le mie orecchie, il suo suono e il suo stile erano di un’eleganza che avevo sentito solo nelle parti di basso di uno come Ray Manzarek. Per fortuna poi ho lasciato perdere perché sarebbe stato irrispettoso.
Poco dopo però ho deciso di comprare un basso da un amico, farmi qualche anno di allenamento e cercare di arrivare a quell’eleganza a modo mio. Mi sembra una cosa più rispettosa e un omaggio più degno. Il basso lo suono ancora – mi sembra la più grande benedizione che ho ricevuto nella vita – e quando sono in sala prove o a suonare da qualche parte, a volte mi ritrovo a pensare “grazie Paul McCartney”, “grazie Ray Manzarek”, “grazie James Jamerson” e “grazie a te, signore che cercai nell’elenco telefonico”. Anche queste sono cose che nella musica accadono di rado o, di nuovo, accadono sempre più di rado.
Alfio Finetti è stato e sarà sempre un gigante. Per come la vedo io è al livello di un monumento come Hank Williams o almeno: è stato e sarà per sempre il nostro Hank Williams. A questo punto dal mio umile cuore di ferrarese acquisito posso solo dire: grazie Alfio. Per me questa è una giornata tristissima, una giornata in cui vorrei tanto chiamarmi Vitruvio e avere una Kawasaki. Purtroppo, però, non mi chiamo Vitruvio e non ho una Kawasaki. Vorrei però onorare il signor Finetti ricordando questo pezzo, Allegria a Kiev – per me uno dei suoi apici – preso da Casalinga, King Kong E.T…. e Nu!, un suo album del 1984. Mi scuso per la qualità ma per caricarlo su YouTube l’ho dovuto “rippare” con un microfonazzo direttamente dal mio giradischi mezzo marcio.
PS:
Una sera di qualche anno fa io e un mio amico ci ritrovammo a pensare che sarebbe stato bellissimo provare a organizzare un album tributo “ROCK” ad Alfio. A me continua a sembrare – come direbbe Cesare – un’idea meravigliosa. Approfitto dunque di questo spazio per rilanciare quest’idea, mettendo comunque in chiaro che, se questa cosa dovesse andare in porto, “Dai Marieta to la bicicleta” la vorrebbe rifare quel mio amico.