Ora questa affermazione può sembrare retorica e se dovessi giustificarla è probabile che non basterebbero cento cartelle. Ritengo che la maturazione del mio cuore trattenga la risposta ineccepibile, e quindi solo per lui sarebbe un facile chiarimento.
Ferrara Castello Estense Aprile 2018: interno Mostra Cavallini-Sgarbi mattino.
Accompagno piano piano, appena un passo dietro, la figura “maestosa” di Franco Cordelli. Il noto scrittore e critico letterario è arrivato da Roma a metà mattina, in treno, da solo. Andremo insieme a visitare la mostra promossa dalla Fondazione Elisabetta Sgarbi esposta nelle sale nobiliari e nei camerini d’alabastro del maniero estense. Prendiamo il primo taxi libero e passiamo davanti ad un muro su cui sta la scritta “Elena dammi un bacio…”, nessun commento fino all’arrivo ma davanti al Castello, nel scendere, mentre io mi ero già scordato della scritta, mi enuncia con un lieve accento romano: “E per favore Elena dagli un bacio”. Entriamo e noto che fatica a salire le scale che ci porteranno nelle stanze in cui è allestita la mostra. Più tardi mi racconterà di un incidente stradale che gli ha causato non pochi problemi. Annoto questa osservazione, all’apparenza insignificante, perché il Professore non dimostra nessuna età, è cordiale, simpatico, elegante e ogni suo commento meriterebbe un approfondimento. Iniziamo la visita, in silenzio. Poi c’è un momento preciso dove i miei occhi, di uomo ancora smarrito nei propri sogni, incrociano i suoi colmi di saggezza, e in cui il cuore ha un sussulto percependo la prossimità della bellezza assoluta.
Cosa succede?
Siamo davanti a un quadro, l’opera è una piccola tavola del 1600 di Carlo Bononi: “San Nicola da Tolentino resuscita le starne” che rappresenta appunto la resurrezione dei due uccelli galliformi che gli erano stati portati al capezzale già arrostiti. San Nicola è a letto, prega con le mani giunte e intorno a lui altri frati osservano disorientati le due starne resuscitate volare via dalla finestra. Il professore si gira a guardarmi, è raggiante. Forse auspicherebbe io intuisca la sua analogia, ma sono in manchevole ritardo e sebbene non stacchi la vista dal piccolo quadro non comprendo il suo stupore. Poi come a confidarmi un segreto mi si avvicina e indicandomi con il dito la piccola finestra sulla sinistra del quadro, caratterizzata da un azzurro cupo e bruno, mi dichiara: “Michelangelo, Michelangelo Antonioni… Professione Reporter… una catarsi”.
Smarrito non riesco a reprimere un leggero brivido perché l’alchimia dell’invisibile fa il suo gioco riproponendomi la scena finale del film di Antonioni. E’ un piano-sequenza dove Jack Nicholson è sdraiato sul letto e si accende una sigaretta, dopo il primo piano la macchina da presa si muove lentamente verso la finestra, una ragazza fissa attonita un punto indefinito alle nostre spalle mentre noi spettatori increduli passiamo tra le strette grate della finestra. Poi avviene uno scavalcamento del tempo, la cinepresa torna sul protagonista riverso sul letto ora privo di vita.
“Ma quel momento noi ce lo siamo persi”. Questo il suo commento appena sussurrato che mi stimola una timida domanda: “Professore ci hanno fatto vedere tutto tranne ciò che volevamo, perché?”.
Franco Cordelli accompagna la risposta solo con un timido ma deciso sorriso, “Caro mio lei che scrive dovrebbe saperlo, i quadri, come i romanzi, spesso assomigliano alla vita ma più spesso ai sogni”.
Non replico annuendo solo con la testa, assaporando con gusto l’inedita analogia tra Antonioni e il Bononi, oltre alle opportunità di fuga dalla staticità piatta del visibile che mi sono state offerte. Ecco la vocazione smisurata che offre questa meravigliosa mostra d’arte che porta con sé, oltre alla grandezza assoluta delle opere esposte, anche il colore, l’atmosfera, l’odore, la luce e l’illusione della vita. Una sorta di tenerezza insolita, originaria, corre sul filo della grazia stimolando nel visitatore una sorta di felicità assoluta per un qualcosa di perduto e poi ritrovato.
A questo punto, potrei esporre le opere principali tra le oltre centotrenta che vanno tra il quattrocento e i primi del novecento che compongono la mostra. Sì potrei farlo. Ma non sono un grande critico d’arte e così compio l’unica scelta di campo che mi è possibile, quella delle emozioni.
Lungo tutto il percorso museale, che museale non è, attraverso le fotografie in bianco e nero di Rina Cavallini e Giuseppe Sgarbi, i genitori di Vittorio ed Elisabetta, e di loro stessi bambini, l’occhio ti induce alla ricostruzione familiare dei Cavallini-Sgarbi. Sono, a tutti gli effetti, un testamento spirituale offerto ai visitatori e alla storia. Capitoli fulminei, che esaltano secoli d’arte, densi di bellezza, di cultura e di poesia, esposti con sapiente semplicità che è propria di un rapporto profondo con l’arte, che raggiunge un armonia che trascende. Ma per arrivare alla bellezza ci vuole una dedizione umile, rischiosa, essenziale che fugge ai moti del mondo. Perciò è tanto più sorprendente la mostra Cavallini-Sgarbi perché tenta di trovare al di là delle apparenze e delle sue forme visibili, l’invisibile delle cose.
Ferrara Castello Estense Giugno 2018: interno Mostra Cavallini-Sgarbi pomeriggio.
Entro in mostra da solo e mi confondo nel flusso di un gruppo organizzato. Attraverso la tenda che raffigura gli interni della casa museo di Ro Ferrarese e per un attimo sarei tentato non di oltrepassarla ma di viverla, tanta è la curiosità espressa dai libri, dalle sculture e dai quadri raffigurati. Tra la prima e la seconda sala scorgo tra la gente una donna in una posizione inconsueta per osservare quadri e sculture. E’ seduta sulle ginocchia come avesse trovato un punto di vista privilegiato e tutto suo. Mi avvicino incuriosito. Indossa larghi occhiali scuri, capelli fini stretti in un crocchio sulla sommità della testa. Mentre studia, considera, analizza la scultura in terracotta di Niccolò dell’Arca: il San Domenico, i delicati lineamenti del viso sembrano tradire un ansia. La capisco bene, io torno in mostra spesso anche solo per sedermi e osservare l’assoluta autorità di quest’opera. S’innesca una telepatia senza fili e incontriamo gli sguardi. La riconosco, e lei pare riconoscere me. Ma è solo frutto della suggestione del momento. Sì è lei! È Laura Morante l’attrice, e ora scrittrice. Ecco, si alza e come animata da una incontenibile volontà propria si dirige impavida verso il busto di San Domenico. Allunga delicatamente la mano sfiorando le increspature della tunica cercando con lo sguardo quello severo ma dolce del santo. Un attimo di realismo commovente in cui come dice Vittorio Sgarbi “l’opera trasforma il sentimento in movimento, il pensiero in azione e lascia una traccia palpitante dell’inestricabile rapporto tra sensibilità e realizzazione fisica”.
Laura Morante adesso pare un bambina mentre si gira con entusiasmo cercando d’individuare tra i visitatori il suo di bambino per tentare di trasmettergli l’emozione, perché in questi casi l’impulso naturale è cercare qualcuno a cui raccontarla. Comprendo che le sculture a differenza dei quadri le puoi toccare, ne puoi assecondare le forme. Anche in questo episodio si è conseguita l’idea della bellezza.
Il percorso della mostra continua e non è solo una visione delle opere. Oltre alle percezione olfattive, date dalle essenze che si sprigionano magicamente da qualche “dove” all’interno delle stanze, il genio creativo di Elisabetta Sgarbi ha incluso anche l’ascolto prevedendo letture di scrittori e poeti davanti alle opere. Oggi legge lei: Laura Morante. Brani estratti dal suo libro di racconti edito dalla Nave di Teseo:“Brividi Immorali”.
Mentre legge pare ancora toccata dall’emozione di poco prima, la sua voce guida le parole sulla parete che le sta alle spalle in cui un dipinto di Artemisia Gentileschi “Cleopatra” affianca un dipinto del Tassi colpevole di aver violentato la giovane pittrice. Le letture d’autore in mostra sono un atto geniale perché le parole costituiscono una chiave in più, una maniera più profonda di entrare nel segreto dell’opera, ai misteri più nascosti. Laura Morante termina la sua lettura, un tendaggio improvvisamente si apre e un’altra luce colpisce la parete illuminando la vittima e il suo carnefice uniti da un destino ineffabile.
Questo succede alla mostra Cavallini-Sgarbi. Da Niccolò dell’Arca a Gaetano Previati Tesori per Ferrara.
Ora la mostra è prorogata fino al 2 Settembre 2018, ma io spero che le opere offerteci dalla Fondazione Cavallini-Sgarbi alberghino e vivano nelle stanze del Castello della mia città per sempre. Per due motivi: il primo è dato dal fatto che la storia prolunga i sogni della nostra quotidianità, il secondo è che non vorrei vivere il destino degli imbalsamati ma bensì nella magia di prolungare un tempo meraviglioso, solo intravisto. Un consiglio quando visiterete la mostra siate pronti ad assecondare l’incanto.
1 commento
Grazie Marco…. le immagini che descrivi assomigliano tanto al sogno quanto alla vita…