La storia di Cranchi non procede in maniera lineare, un po’ come certe leggende di provincia dove l’inizio non è mai in un punto preciso della storia ed il finale è sempre aperto, e anche personaggi collocati in diverse epoche storiche convivono, si incontrano, dialogano. Una storia dai tratti antichi ma allo stesso tempo contemporanea. Non è facile capire se ci troviamo di fronte ad un cantautore, Massimiliano Cranchi, oppure a una band, i Cranchi, le formazioni cambiano spesso, così come le notizie sulla loro provenienza geografica riportate dai media, definiti talvolta emiliani, talvolta lombardi, veneti o polesani. Quello che è certo è che da diversi anni Cranchi è una presenza fissa a Ferrara, da manifestazioni come la rassegna di canzone d’autore di Aspettando Godot alla Sala Estense o situazioni live più raccolte in bar, circoli o eventi all’aperto.
Cranchi sarà in concerto questa sera, martedì 10 luglio, al Il Solito Festival, nel Giardino del Baluardo dietro a Sonika e Teatro Ferrara OFF, in viale Alfonso D’Este, 13. Senza girare troppo intorno all’argomento, cerchiamo di scoprire qualcosa di Cranchi, artista o nome collettivo, dalle parole di Massimiliano.
Quattro dischi, “Caramelle Cinesi” del 2011, “Volevamo Uccidere Il Re” (2013), “Non Canto Per Cantare” (2015) e “Spiegazioni Improbabili” (2017), partiti in un momento in cui la canzone d’autore era ancora qualcosa visto che un retaggio del passato e nel corso degli anni è stata sdoganata ed è diventato un linguaggio comune per molti nuovi artisti. Era qualcosa che ti aspettavi?
Faccio fatica a rispondere a questa domanda, primo perché penso che la canzone d’autore non sia mai scomparsa e mai scomparirà. Magari è cambiato l’approccio, la musicalità, ci sono e ci saranno nuove forme e nuovi stili. La musica va sempre lasciata depositare prima di averne un’idea chiara. In secondo luogo per una sorta di pudore e di rispetto verso i grandi autori quando vengo associato alla musica d’autore. Quello che amo di più è l’intimità che il cantautore riesce a ricreare, non è l’amore in generale, è il suo amore, non è una storia, è la sua storia. Mi sembra che ultimamente, per bisogno, siano tornate le tematiche sociali ma qui si aprirebbe un capitolo a parte…
“Spiegazioni Improbabili” lascia intuire anche nuove evoluzioni, c’è un brano “Fa Un Caldo Che Si Muore” che suona Itpop, quasi un appeal dance come potrebbe essere un singolo di Cosmo o Lo Stato Sociale. C’è questo nel vostro futuro?
Non penso sarà la direzione che prenderanno le mie canzoni. “Fa un caldo che si muore” è nata voce e chitarra, come tutte del resto, abbiamo sfruttato lo studio di registrazione e Marco Malavasi per arrangiarla, tutto qua. Mi piace sentire le canzoni prendere una vita propria, al di fuori anche della mia idea iniziale, per questo lascio molta libertà ai musicisti e ne cerco sempre di nuovi e di diversi mantenendo comunque lo zoccolo duro per i live e l’immancabile spalla destra: Marco Degli Esposti.
Cosa mi dici invece di “Ferrara”?
Ferrara nasce in tanti momenti diversi, l’incipit è nato a Sarajevo, forse per nostalgia. Ho vissuto tutta la mia carriera universitaria a Ferrara e anche l’amore dei vent’anni. “Odio questa città” è in riferimento proprio alla perdita di quei momenti felici e spensierati, amo Ferrara, tranne quando ci devo guidare, sono uno di campagna.
Diverse canzoni hanno temi politici o sociali, “Eroe Borghese” dedicata all’avvocato Giorgio Ambrosoli, la controversa “Anni Di Piombo” che spesso viene trasmessa su Radio 3 e genera reazioni contrastanti. Eppure non mi date l’impressione di essere un gruppo “militante” come potrebbero essere i Gang o i Modena City Ramblers…
Non mi definirei militante, “Volevamo uccidere il re” parla di anarchici, “Eroe Borghese” di un monarchico… Ambrosoli è morto per aver fatto fino in fondo il suo lavoro, incaricato dallo Stato e poi abbandonato. Venne definito, proprio da Andreotti: “Uno che se le andava a cercare”. Mi è venuto in mente Marco Biagi, definito “rompicoglioni” dall’ex ministro Scajola e tutte le persone che hanno pagato con la propria vita per aver fatto il loro dovere: Peppino Impastato (figlio di mafioso chiacchierone di paese), il capitano Ultimo (ultimo degli sbirri), Mauro Rostagno (giornalisti con la barba), Carlo Alberto dalla Chiesa (generali arrivisti), Falcone e Borsellino (magistrati con i baffi), Lea Garofalo (donne sciolte dall’amore). “11 settembre ’73” parla di Allende, Jara e Neruda e del terribile colpo di stato di Pinochet mentre “Anni di piombo” invece è una critica alla lotta armata. Solo per fare alcuni esempi di come mi piace raccontare i vari aspetti delle questioni politiche e sociali.
Nel vedere la vostra età ed i temi che spesso trattate, non ti sei mai chiesto se sei nato nel periodo storico giusto?
Ognuno è figlio della sua epoca, sono appassionato di storia, se avessi vissuto questi momenti nel presente magari non ne avrei scritto. Il presente è contaminato dalla nostra soggettività.
E poi ci sono le canzoni d’amore, ad occhio circa il 50 per cento del repertorio e in ogni disco un duetto con una voce femminile…
Come dicevo mi piace spaziare sia con gli argomenti che con i musicisti, ogni disco ha una voce femminile diversa, confesso che un mio sogno rimane scrivere una canzone ad hoc per un’interprete femminile. Il tema dell’amore in realtà è il più complicato in assoluto per un cantautore, si cade facilmente nel banale.
Una canzone è stata anche colonna sonora di un film, “”I Cormorani” di Fabio Bobbio. Ve lo aspettavate?
Questa proprio no. Quando Fabio mi telefonò per comunicarmelo non credo di avergli fatto una bella impressione, ero tra l’incredulo e il bambino davanti alla bicicletta nuova. Continuavo a dirgli: “Si va bene, fai tu, mi fido, non ci posso credere ma dici sul serio?”. Ho visto la prima da solo al Festival Du Réel a Nyon, ero tesissimo, al botteghino una ragazza dal caschetto nero come Amelie mi ha detto con il suo accento francese: “Sei qui per i Cormorani? È bellissimo” ed ero più rilassato.
In tutti questi anni vi siete esibiti nelle situazioni più differenti. C’è qualche episodio che vi ha toccato di più, un posto speciale in cui vorreste tornare…
Sicuramente i momenti più magici sono stati i due tour che abbiamo fatto al sud tra Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. E più che i posti splendidi sono le persone che incontri che ti lasciano a bocca aperta: Elio, Roberto, Dacia, Aida, Ruggero, Michele, Gino, per citarne solo alcuni ma sono infiniti. Gente che ti fa suonare e che ti offre la sua ospitalità.
Non c’è concerto dei Cranchi che non si conclude con un’usanza, oserei dire un rituale…
Il concerto sul palco finisce sempre con “Anni di Piombo”, una canzone breve ma intensa, una di quelle canzoni che ti vengono come un lampo una sera e devi correre da qualcuno a farla sentire. Giù dal palco l’immancabile “Dolce signora che bruci” pubblicata nel ’72 da un giovanissimo De Gregori, senza amplificazione, in mezzo al pubblico o dietro al bancone del bar, è diventata un marchio di fabbrica…
Io e Marco (il chitarrista) ci siamo innamorati di questa canzone tanto tempo fa e per scherzo abbiamo cominciato a farla rendendola quasi spensierata e divertente. Si presta molto alle due voci ma anche a un coro! È incredibile per una canzone infondo triste e malinconica.
La frase “Ma io posso capire la tua età” è molto significativa, ti mette di fronte alla realtà, ti costringe a pensare a quel che sei diventato. È una grande metafora sullo scorrere del tempo e sul rimpianto del vissuto (alla fine di un concerto è perfetta…). La musica è una signora che si comporta da bambina, innamorata ma che si vende ai soldati per poter sopravvivere, che brucia di passione, di rabbia, che si specchia vedendosi bella poi brutta poi ancora bella, che ha perso migliaia di figli che vive nel ricordo di un amante perduto con un album di foto alla deriva… Probabilmente, anzi quasi certamente, De Gregori non intendeva questo però chi se ne frega!