Kitty Vinciguerra, un’amica, una sorella, una nonna. Questo è quello che sei per me, dico “sei”, anche se il tuo corpo ha smesso di funzionare, portandoti in un vortice in cui la vita giunge al termine. La tua vita, quella vita così vissuta, così estrema, a tratti romantica, corrosa dalla violenza. Hai trasformato tutto questo in poesia, in libri, in parole, in quadri. Sei un’artista entrata nella storia, per lo meno nella mia. Sei stata capace di trasformare gli aspetti della vita in un qualche cosa di utile, di “positivo” se ti piace come termine. Una vita vissuta in bilico tra la ricchezza e la povertà, trascorrendo giornate in mezzo ad artisti, autori, sportivi ed attori rinomati della tua epoca nei salotti della Milano Bene e non; raccontavi sempre di Battiato, Gaber, Mina e tanti altri. Sognavi di diventare attrice, ma questa attrice non ha mai fiorito perché ha preferito l’amore, un amore che è valso più di mille film, e del quale mai ti sei pentita. Un amore eterno che si è presentato sotto nuove forme nonostante fosse passato eterno tempo. Fino a voler scrivere un romanzo sulla tua vita, per aiutare le persone che come te, hanno subìto violenza, ma che sono state in grado di sfuggirne e riprendere in mano la propria vita. Volevi lasciare il segno, e l’hai fatto, parlo sempre per me. Ma l’hai fatto, e questo libro biografico l’hai scritto, l’hai chiamato “Kitty ad ogni costo”, con la speranza che le persone come te potessero, leggendolo, trovare la forza di ricominciare. Volevi mostrarti e mostrare chi fossi stata, e volevi raccontare di questi amori folli che hai vissuto, compreso quello con Lennon, John. Un amore durato qualche mese, in una Londra tutta per voi, chiusi in casa, senza mostrarvi al mondo, a giocare con cravatte, fiori, poesie, dediche e canzoni. Parlando tra di voi un linguaggio comune, ovvero l’amore. Tutto questo hai voluto raccontare nel tuo libro, e con gli anni hai voluto cambiarne il nome, trasformandolo in “John mi regalò una cravatta”. Sognavi di farne un film, ma non ce ne è stato il tempo, anche se sarebbe stato bello. Ce ne sarà tempo, intanto lo sai. Racconti anche del figlio che tanto hai amato ma verso il quale mai sei riuscita a trasmettere amore, per il semplice fatto che non sapevi cosa fosse. Rimasta incinta a quindici anni dopo un matrimonio obbligato, sei scappata, lasciando il figlio a tua madre. Di questo ti sei pentita negli anni, e forse ancora. Ed è per questo, che in fondo, hai scritto il libro, per riconciliarti con lui, per fargli capire quanto lo amassi. Sono convinto che lui l’abbia capito, un artista anche lui, un musicista, grazie al quale hai viaggiato a Londra in tournée conoscendo John. Sono convinto che Riccardo lo sappia e l’abbia capito, una persona sensibile come te. Ti sarebbe piaciuto raccontare del tuo viaggio in India, dell’incontro con Sai Baba, di tutto ciò che ha arricchito la tua vita, ma non ce ne è stato il tempo, come se il tempo esistesse… Lo trascorrevi ascoltando gli amici, le persone, gli altri, a farti raccontare i loro problemi, ad assimilarli per dare loro consigli, intrisi di bontà e anche saggezza. Questo eri, e sei tutt’ora. Assimilavi fino quasi a stare male, ma solo a pochi raccontavi i tuoi problemi, la tua vita. Spesso si dice che le vere amicizie si contino sulle dita di una mano, e forse questo pensiero si rispecchiava nella tua vita. Ma sono certo che hai avuto e hai tutt’ora persone vicine che sono stati angeli per te, persone “connesse” a te come fossero fratelli di un’altra vita. Sono certo che Fathy è una di queste, dalla quale eri inseparabile. Ora, nel silenzio, ascolto la tua voce nella mia testa che ricorda momenti esilaranti, momenti in cui ti vedevo ridere e sorridere fino a farti scendere le lacrime di gioia, perché in fondo questo volevamo quando si trascorreva il tempo insieme, ridere di gioia. Lo avevi capito, avevi capito che la risata è un principio del benessere. E ora, con grande amicizia, ti ringrazio per tutto ciò che hai fatto e farai per gli altri, per me e per l’universo.
A Kitty, con amore:
Giacomo