Pieno giugno. Mi pento subito di aver dato un rendez-vous in quell’orario terribile che sono le tre del pomeriggio ma forse mi serve ancora qualche anno di ferraresità per evitare di commettere questo genere di errori. Mentre ci rifletto su, vedo una macchina svoltare in Ripagrande e scorgo un bel turbante sgargiante adagiato su un volto sorridente. Pochi secondi dopo, Eva è già tra le nostre braccia, pronta a raccontarsi e a raccontarvi quel vortice incredibile ch’è la sua vita.
Per la nostra chiacchierata, quale miglior sfondo dei locali di Ripagrande 12, sede dell’Osservatorio contro le Discriminazioni e di tutte le associazioni ferraresi che quotidianamente portano avanti la battaglia dei diritti LGBTIQ. Intorno ad Eva, tutto è colorato… e non potrebbe essere altrimenti. “Piacere, Eva Croce. Sono più giovane di quanto sembri, ho solo sette anni di vita.”
Sulle prime, rimango perplessa, poi realizzo e la sento continuare: “All’anagrafe, il mio nome è ancora Massimo. Sono nata nel marzo di una cinquantina di anni fa in una famiglia con una mamma che mi conosceva da prima che fosse il principio, tre fratelli e un papà che, forse, avrebbe preferito vedere suo figlio imprenditore, notaio, avvocato… Non è facile essere me, ma so di essere speciale e ne sono felice. Sono una donna trans e questa è una condizione che mi riempie di gioia e della quale vado fiera: ho affrontato periodi bui, percorso abissi profondi ma finalmente posso essere me, in tutta la mia atipica ma non per questo patologica normalità.”
Quando si parla di omosessualità e transgenderismo, ci sono ancora tanti tabù da sdoganare. Entrambe non sono, a dispetto di quel che alcuni ancora si ostinano a sostenere, malattie o deviazioni mentali e la scienza l’ha decretato ufficialmente ventotto anni fa, nel maggio 1990. Tanto c’è ancora da fare per abbattere tutte quelle barriere erette contro una diversità che diversità non è, ma unicità e identità specifica dell’individuo.“E io sono unica, frutto d’innumerevoli situazioni che mi hanno portata oggi a decidere di voler essere Eva. Non era una consapevolezza insita fin dall’infanzia, ci sono voluti degli anni per giungere al punto, al rendermi conto di dover attuare un cambiamento. Nemmeno una decina di anni fa ero persa in un labirinto infernale, avevo sviluppato un rapporto malsano con la sessualità ed ero vittima di un vortice in cui la pornografia era divenuta una dipendenza. Poi un giorno, per una concatenazione di eventi di ogni genere e tipo, ho incontrato Lucrezia. La storia è lunga da raccontare, ma un momento, uno in particolare, ha fatto sì che la mia vita giungesse ad una svolta. Lucrezia è una make-up artist, mi ha parlato facendomi quasi scordare i disagi, mi ha truccata, mi ha fatto indossare una parrucca e prestato un vestito… e da quell’abisso così buio, si è aperta una voragine. Un grido, un sorriso, il mio.”
Non so se Eva se ne accorge, ma sento le lacrime agli occhi. La sua voce è vivace, ogni sua parola è carica di emozione e arriva intensamente, senza usare mezzi termini. “Mi piace pensare a Lucrezia come la madre di Eva,” -continua- “è una persona meravigliosa che mi ha supportata, senza mai abbandonarmi… tra noi è nata una relazione di reciproca ammirazione ed affetto e sono certa che se non l’avessi incontrata, non sarei qui con voi a chiacchierare.”
Ma prima di Eva com’era la tua vita?
“Ho scoperto il mio femminile dopo i quaranta, ma prima ne ho combinate di tutti i colori! Ho avuto varie relazioni, una storia quasi decennale e delle convivenze… Sì sì, con delle donne ovviamente! Erano amori diversi, quasi platonici. Prima o poi chiederò come hanno fatto a stare con me che, ovviamente, non rappresentavo esattamente la figura di compagno ideale dal punto di vista sessuale… Erano rapporti differenti, si stabiliva un legame affettivo che trascendeva e superava la sfera fisica. Ho trascorso degli anni terribili, vivendo nei sensi di colpa poiché sfogavo la mia sessualità in modi di cui non andavo fiera e anche perché mi rendevo conto delle mie mancanze. In realtà, mi sono sempre sentita una donna lesbica: il mio maschile voleva punire la piccola Eva, così desiderosa di saltar fuori… Pensarci oggi, alla luce di tutto ciò che è cambiato, mi ricorda quanto male stessi e mi fa assaporare ancor di più la gioia del presente, che condivido con la mia compagna, una donna meravigliosa che mi accetta per quella che sono, una donna trans.”
La interrompo, per schiarirmi un pochino le idee sulla terminologia propria dell’universo LGBTIQ. Passate al setaccio le definizioni di transessuale, transgender, queer ed altre, sperando di non fare domande (troppo) inopportune, mi inoltro in quelli che sono dei meandri fisici, ai miei occhi così peculiari e curiosi.
“L’operazione? No, ho deciso di non farla. Ho molte amiche che sono ricorse alla chirurgia, alcune in Thailandia, ove oramai sono divenuti degli specialisti. L’intervento è molto invasivo e onestamente non me la sento. Il mio percorso è stato seguito da un meraviglioso dottore che mi ha accompagnata e ancora oggi mi sostiene. Sono sempre monitorata e assumo regolarmente le mie pillole ed ormoni che ho iniziato a prendere anni fa per dare il via al mio processo di femminilizzazione chimica. La salute è importantissima, così come le visite e gli esami.”
Il tuo quotidiano? Il lavoro? I progetti?
“In passato, ho assunto la gestione del Circolo Arci Renfe, poi ho lavorato in un’osteria della quale ero socia proprietaria… e poi via, al Cairo per dieci anni. Ora che sono di nuovo qui ho la fortuna di avere un lavoro che mi dà la possibilità di essere estremamente flessibile e mi lascia il tempo per coltivare le mie passioni più grandi, l’arte e la musica. Sono proprio questi due aspetti quelli che amo coniugare con la mia pratica di attivista. Dal 2017 è iniziata una nuova favolosa avventura: in un Paese come l’Italia, le persone LGBTIQ continuano a subire numerose discriminazioni… così nel marzo dello stesso anno, insieme ai carissimi amici trans Paolo e Alex, abbiamo fondato il Gruppo TransFer, con l’obiettivo di dare visibilità e informare la cittadinanza tutta sulle nostre istanze, le nostre vite, per scardinare gli stereotipi che ci descrivono come persone fragili, deviate o come prostitute drogate. Organizziamo spesso delle manifestazioni, si passa dalle serate ludiche alle performance artistiche. Quella che ho amato di più è sicuramente TDoR. Ogni anno, al mondo, tante persone trans vengono uccise, in modi che superano la barbarie. Il TDoR –Transgender Day of Remembrance– ricorre il 20 novembre, ed è tradizionalmente celebrato con una fiaccolata e la lettura, ad alta voce, dei nomi delle ultime vittime. Mentre stavamo lavorando per organizzare il nostro primo TDoR come TransFer, ci siamo resi conto che i nomi della maggioranza delle vittime rimane sconosciuto, pensate all’impossibilità di ricevere le generalità degli scomparsi in Paesi come Pakistan, Cina o Arabia Saudita, tanto per citarne alcuni, ma senza dimenticare le vittime in Italia, che se all’anagrafe sono ancora al maschile, non vengono elencate tra le vittime trans. Ricordare è raccontare è assolutamente fondamentale.”
E noi con Eva, abbiamo parlato per ore, sprofondando con lei negli abissi della memoria e risorgendo nel suo sorriso ogni volta che accenna a quanto sia meraviglioso essere sé stessi e vivere in pace col mondo che la circonda. Quando le chiedo se qualcuno le ha mai mancato di rispetto risponde ch’è capitato raramente ma succede che qualcuno possa esprimersi con sorrisetti maliziosi e commenti volgari. E poi, da signorina, le domando quale siano le parti che la fanno sentire più donna.
“I piedi, assolutamente! E poi, ovvio, il seno!”
Ride, Eva. E mentre appunto le ultime dichiarazioni continua a parlarmi del suo indumento preferito, i collant. Ma siamo a Giugno, e oggi, nessun collant vela quelle gambe che onestamente mi fanno un po’ invidia e posano intrepide (e tonicissime) davanti all’obiettivo.