Guardando questa foto si pensa immediatamente che rappresenti quello che resta di un gruppo di case dopo l’ennesima incursione aerea subita dalla nostra città, ma non è proprio così. Partiamo dal principio. Marcello Piacentini è un nome assai noto per essere stato “l’architetto del Regime” che, non si sa come e perché, ebbe modo di operare ancora per un decennio dopo che la guerra finì. Altrimenti non avremmo ancora oggi in piazza quello che per molti è ancora il discusso “Palazzo della Upim” al posto del più bello Palazzo della Ragione. Ma questa è un’altra storia.
Facciamo un salto indietro negli anni ’30. Tra i cittadini serpeggia la voce che dovranno fare uno sventramento: verranno abbattuti tutti i fabbricati che esistono tra corso Porta Reno e via San Romano, un’area di straordinaria importanza storica e ambientale. Sentivo i commenti degli adulti su quell’evento paventato e mi sentivo coinvolto negativamente. Ero sicuramente influenzato dal disappunto nei loro occhi, ma avvertivo veramente dispiacere per la demolizione di una parte della città che conoscevo così bene. Quando con i genitori andavo al cinema Apollo, che all’epoca sorgeva proprio in quel punto e aveva due entrate, una in Porta Reno e l’altra in S. Romano di foggia quasi identiche, pensavo con anticipata tristezza che prima o dopo quel marciapiedi, quelle case e quei negozi sarebbero spariti e non sarebbero più esistiti.
Ho ancora negli occhi l’immagine di una pubblicità, sul vetro della porta di entrata del Caffè in Porta Reno, che metteva fine ai portici dell’Apollo andando verso il centro. C’era rappresentata una mano azzurra, aperta che faceva da sfondo a una bottiglia di un conosciutissimo amaro, ancora oggi sul mercato, poi un’altra più piccina, di cui non ne capivo il senso. C’era un omino con la faccia dolente e una gamba spezzata stampata su un calice riempito a metà con un noto aperitivo giallo oro. Mi spiegarono il rebus: la gamba spezzata non era altro che il nome del prodotto. Mi dissero che gli esercenti coinvolti nell’operazione non dormivano la notte nel dubbio che il primo lotto di demolizione comprendesse il proprio esercizio. La stessa sensazione che si prova quando si va a far visita ad un malato consapevoli della sua prossima fine. Quando chiedevo perché avrebbero dovuto fare tutto questo nessuno era in grado di darmi una risposta esaustiva.
Poi, voci precisamente informate, asserivano che il tutto faceva parte del nuovo piano regolatore che avrebbe proiettato ogni città verso nuovi orizzonti di modernità. Il disagio quando iniziarono i lavori fu grandissimo, anche se per la verità non andarono molto per le lunghe perché si cominciava già a respirare aria di conflitto e i lavori furono sospesi, esattamente all’altezza che l’immagine sopra ci mostra. Immaginate la mia gioia nel sapere che venne risparmiata tutta la parte comprendente il cinema Apollo!
Nel dopoguerra apprezzai ancor di più il salvataggio per l’ancora efficiente sala biliardi, che in seguito divenne il cinema Apollino. Era un seminterrato di discrete dimensioni a cui si accedeva attraverso un’entrata a fianco del cinema. Appena entrati si scendeva per una larga scala che sul finire curvava a destra. Le lampade verdi smeraldo, opache e abbassate sopra i biliardi, riuscivano ad illuminare con luce diffusa tutta la sala facendole assumere un fascino particolare. Veniva una gran voglia di farsi una partita anche se avvolti dal costante fumo azzurro delle sigarette, che a onor del vero a nessuno dava noia perché tutti a quel tempo fumavano…
Corso Porta Reno a quei tempi era molto più stretta di oggi: aveva circa la larghezza del vecchio Volto della Torre dell’orologio, praticamente la metà di quella attuale. Osservando la foto a inizio articolo la si vede guardando la distanza della parte non demolita dalle case sul lato destro.
Per chi oggi volesse cercare a quale punto di corso Porta Reno arrivò la demolizione, basta posizionarsi esattamente davanti alla porta dell’Albergo Nazionale e guardare diritto davanti. Esattamente di fronte c’era il negozio di biciclette Bianchi di Garbini, e a sinistra il deserto, fino a ridosso del retro del Palazzo della Ragione. Del negozio della Bianchi se ne legge l’insegna ingrandendo opportunamente sempre la foto in alto.
Questo piazzale così grande, apparso all’improvviso, dava a tutti un senso di desolante scontento. Si potevano vedere i negozi della parte sinistra di S. Romano come non si erano visti mai e l’effetto era molto strano. Quelle case sezionate mostravano le pareti rimaste, il loro colore, le piastrelle residue svelavano quali erano cucine, quali camere da letto… Poi quest’area cominciò ad ospitare progressivamente commercianti ambulanti che con le loro baracche e i loro clienti riuscivano in qualche modo ad animarla. Alle novità, anche quando subite involontariamente, ci si fa il callo, così ci abituammo ben presto anche a questa triste prospettiva. Ci vollero ancora molti anni per veder ricostruita la via come la conosciamo oggi, per una demolizione cominciata così male molto tempo prima.
2 commenti
Signor Piva, chiedo se ha delle foto delle demolizioni. Mio marito Geometra Italo Faggioli demolì tutto, a cominciare dalla facciata del Palazzo della Ragione come dipendente, fino a Piazza Travaglio con la sua impresa, ma ho pochissime foto. E poi c’è il mistero del ritrovamento del soffitto che ora è nell’aula magna dell’università.