LCD SOUNDSYSTEM Tribulations – Soundkeeper: Stefania Andreotti
La minaccia di pioggia ha accompagnato le ore precedenti al concerto. E’ stato tutto un rivendere biglietti e tempestare la bacheca dell’evento Facebook di “Ma in caso di pioggia?” “Ma il concerto si fa?” “E se piove?”. Il cielo è effettivamente coperto, ma quella che doveva essere tempesta sulle teste di Murphy e compagni si è semplicemente trasformata in una piacevole brezza che ha accompagnato la super gremita Piazza Castello in una serata bellissima. Un caro saluto a chi non è voluto esserci.
In anticipo sulla tabella di marcia gli LCD Soundsystem fanno il loro ingresso sul palco, avvolti dagli ultimi rimasugli di luce della giornata: attaccano frontali con “You wanted a hit” da “This is happening”, disco del 2010, ed è subito chiaro che sarà impossibile stare fermi.
Da prima ancora che entrassi in Piazza ho parlato e gravitato intorno a più o meno quaranta persone che conosco, ma subito dopo “Call the police” (siamo solo al terzo brano in scaletta), mi ritrovo a sentire il concerto da sola. Fossi stata ad un concerto diverso, mi sarei sentita quasi in prestito, con la mia birra e la mia bottiglietta d’acqua senza tappo, un po’ in imbarazzo a ballare in mezzo a gente sconosciuta (sì sono quel tipo di persona), invece no. Il grande leitmotiv della serata è stato il completo coinvolgimento in cui riesce a trascinarti passo passo il gruppo newyorkese, quel tipo di trasporto in cui non t’importa con chi sei o dove sei, ma è come fossi nel salotto di casa tua con lo stereo a palla, dimenandoti senza che nessuno ti veda.
L’unica differenza è che non sei nel tuo salotto, ma sotto un palco dominato da artisti esperti, su cui svetta una gigantesca palla da discoteca, che fornisce le stelle artificiali che mancano nel cielo altrimenti plumbeo e copertissimo di stasera. Questo mi ha fatto pensare che forse la grandezza di un gruppo sta anche in quanto riesce a farti dimenticare i contesti reali, concedendoti la gioia di sentirti libero di muoverti come se nulla fosse. Il ritmo incessante di “Get Innocuous” (che alle mie orecchie suona come un bell’immaginario in cui David Bowie canta nei Kraftwerk, provare per credere) lascia il posto al punk di “Movement”, ma non hai tempo di abituarti ad un solo umore e arriva la cavalcata sappy “Someone great”.
Ho meditato sul fatto che, per me, l’elettronica per essere convincente debba avere ben poco di meccanico, o meglio, debba essere in grado di digerire nel modo più umano possibile tutto quello da cui attinge per tradurlo sì in qualcosa di sintetico, ma che possa lasciare il grande dubbio di non star effettivamente ascoltando solo sintetizzatori e campionamenti. Ha senso il concetto? Nella mia testa funzionava.
Penso anche che molto abbia fatto, per gli LCD Soundsystem, il crescendo lirico di Murphy, che non solo ci vede lungo dal punto di vista di creazione e produzione di pezzi, ha un fiuto eccezionale per le stratificazioni di suoni e generi vincenti, ma possiede anche una scrittura diretta e soprattutto con cui è facilissimo simpatizzare. Dopo di che possiamo discutere di quanto interessi al pubblico preso bene di sto spiegone, possiamo dire che non gliene frega niente e io potrei rispondere “Meglio così”. Sì perché per una volta ho visto (ad un evento così grosso) un pubblico totalmente assorbito dal live: gente a cui non importava essere lì per presenzialismo o per scattare il selfone dell’estate, ma per godere di un gruppo che sa creare una performance degna di essere chiamata tale.
Murphy annuncia che lasceranno il palco per andare in bagno, di non pensare lo facciano per essere acclamati per un bis e tutti ridono, io compresa, come se stessimo ascoltando una battuta dell’unico parente cool in famiglia. Escono su uno dei miei pezzi preferiti dell’ultimo disco, “How do you sleep”, una marcia scura e ossessiva, che getta il pubblico in un inevitabile trance new wave. La serata è talmente bella che mi dimentico subito di aver quasi fatto un volo sul pavimento vissuto del bagno chimico mentre facevo pipì. Molti anni di vita persi per lo spavento ma subito pronti a tornare in pista.
Mentre guardo la gente intorno a me sulle note di “Oh Baby” mi rendo conto che probabilmente l’unica cosa veramente importante, che rende gli LCD il gruppo trasversale che ha portato qui la coppietta che limona ballando davanti a me, il giudicone quarantenne accanto, gli amanti delle discoteche e, la gente che normalmente non va ai concerti e quelli come me, è che la loro musica è semplicemente empatica: le parole di Murphy e le note elettroniche ma organiche dei suoi compagni arrivano lì dove pensavi di non avere un cuore, di aver sentito troppo per poterti ancora lasciare andare totalmente sentendo una canzone. O almeno, così mi sono sentita io. E ne sono stata felice.
LCD SOUNDSYSTEM All my friends – Soundkeeper: Stefania Andreotti
Mi sono fermata a pensare alla voce di James Murphy, così nitida e liscia, al contrasto con il concetto di feeling older, così presente (più del solito) nei testi di “American Dream”. Certo, i continui annunci di scioglimento della band sfociati nello hiatus di qualche anno fa non lasciavano intendere che sarebbe durata per sempre, ma io non riesco proprio ad intravedere stanchezza e vecchiaia: il gruppo è compatto, il suono è potente e soprattutto, l’impressione è quella che gli anni siano passati sì, ma in positivo. Non ci troviamo davanti ad una band che tenta di succhiare le ultime gocce di vita da un repertorio trito e ritrito, ma davanti a chi ha saputo inanellare un successo dietro l’altro, cosa che rende il passaggio tra pezzi nuovi come “Emotional haircut” e grandi classici come “Dance yrself clean” e “All my friends”, che chiudono il concerto, una passeggiata di piacere.
Tutto sommato, se qualcuno mi dicesse che “American Dream” è l’ultimo disco degli LCD Soundsystem e questo l’ultimo tour che fanno, non penso mi rattristerei, piuttosto penserei che sia la scelta giusta di un gruppo che ha fatto quello che ha voluto, come l’ha voluto e coi suoi tempi, senza aver paura di tornare dopo aver chiuso baracca o con il timore di dover rimanere dopo una simile scelta. Ricorderei un gruppo ancora definito e con qualcosa da dire, anche si trattasse semplicemente di un “Addio, è stato bello”.
Eh sì, è stato proprio bello.