I Bonsai, come tutti sappiamo grazie al maestro Miyagi, sono alberi in miniatura che vengono mantenuti nani intenzionalmente potandone i rami e le radici. A Ferrara però, nel quartiere Giardino, prendono una forma diversa. Un festival di teatro in formato micro che vede un tronco e dei rami compiuti nonostante le ridotte dimensioni. Organizzato da Ferrara Off e da Píndoles tra il 28 e 29 aprile è stato una perla incastonata in quella che, forse per fama, forse realmente è considerata la zona più decadente della città. Ovviamente non è una scelta casuale portare arte e persone in questi luoghi ma un preciso intento sociale, culturale e politico, come spiega Giulio Costa di Ferrara Off in un’intervista a Scene Conteporanee. “Questa modalità di fare teatro – continua – è nata in Argentina durante la crisi e ci è parso affascinante provare a riutilizzare quella stessa pratica in un quartiere che viene vissuto con difficoltà”.
Quando ci si addentra in simili situazione non è mai semplice, il rischio è quello di non essere accolti, di essere visti come estranei che impongono la propria presenza dall’alto. Queste pratiche sono ormai divenute abituali, invadenti servizi per la televisione o self-made sheriff che imperversano nella speranza di raggranellare voti. Entrare in casa di qualcuno è sempre un grosso rischio anche se lo si fa con le migliori intenzioni. Ma questa storia, forse, è meglio farsela raccontare da chi attraversa il Mediterraneo su un barcone nella speranza di una vita migliore. Bonsai cerca di entrare in punta di piedi, di seminare ogni anno qualche nuovo grano, di non essere invadente ma rispettare gli spazi altrui costruendo legami attraverso i quali promuovere arte e cittadinanza. Un viaggio dentro al quartiere Giardino che passa attraverso luoghi simbolo e proposte artistiche di primo livello.
Persone, luoghi e teatro, ecco le tre parole chiave che accompagnano tutto il festival. Non ci si può infatti limitare a considerare solo uno di questi tre aspetti perché sarebbe limitante e non permetterebbe di avere una visione complessiva. Non si tratta di una proposta che ha come fine il solo ambito artistico (ammesso che questo sia possibile) ma di un’occasione sociale che vede nel teatro un mezzo di interconnessione.
Si è scritto persone e non pubblico perché non si tratta solamente di spettatori. Ci sono i volontari, in gran parte giovanissimi e pieni di energia. Sono le braccia e le gambe di un festival che senza di loro non potrebbe camminare. Sono l’impersonificazione della speranza che si oppone a un mondo che da tempo relega l’arte alla sua presunta improduttività trasformandola in intrattenimento. L’arte però non è un palliativo ma una forza generatrice. Se volessimo darle una forma anatomica avrebbe probabilmente quella di un ventre materno e forse, non è una caso che la maggioranza di volontari e spettatori sia donna. Questi ultimi sono numerosissimi, preparati ed eterogenei. Alcuni sono a due passi da casa e si muovono disinvolti per le strade, altri, ugualmente disinvolti, passano ogni mattina per recarsi alla stazione. C’è però anche chi viene da Bologna e non padroneggia le strade o studenti stranieri che ancora non conoscono Ferrara in ogni sua parte. Hanno occhi attenti e a tratti incantati dalla bravura di alcuni attori. Ci sono poi gli abitanti del quartiere che guardano dalla finestra o dall’altra parte della strada forse chiedendosi “chi sono quelli?”. È su di loro che si deve puntare senza molestarli, senza invadere i loro spazi ma aprendo una fessura dalla quale poter vedere una luce nuova. Questo sarà forse il traguardo più complesso per gli organizzatori perché non si può pensare di entrare in un luogo imponendosi, la prima cosa è conoscere e, di anno in anno, sperando che abbiano occasioni future, mettere nuovi tasselli verso una maggiore integrazione del festival.
I luoghi scelti per Bonsai sono sicuramente emblematici a partire dal quartiere, non è un caso se il festival è finanziato all’interno del progetto “Giardino Creativo”. Per questa edizione sono sette, alcuni distanti, altri vicini. Partendo dal fulcro di tutto che è il consorzio Factory Grisù si raggiungono abbastanza facilmente accorgendosi della bellezza di un quartiere residenziale adatto alla vita tranquilla e alla passeggiate all’ombra di grandi alberi. L’ex-MOF, l’Acquedotto, il Paolo Mazza, la Cisl di corso Piave, il Centro di ascolto Uomini Maltrattanti di piazzale Castellina e la Sala Polivalente del Grattacielo diventano tanti piccoli teatri uscendo per due giorni da quella che è la loro cornice abituale.
Si tratta di edifici che normalmente vedono attività diversissime tra loro ma in grado di creare una naturale scenografia trasformandosi in teatro. È il caso di Trust che nella sala dell’ex-MOF si svolge tra due rassicuranti affreschi che vedono impegnati contadini nel lavoro quotidiano, o di 3:25 che vede le tribune dello stadio fungere da cassa di risonanza per le urla di un uomo che compiendo il suo esodo si ritrova solo con la sua coscienza. C’è poi Selfie che all’interno di una sala di Grisù ancora in fase di ristrutturazione ci mostra una profonda riflessione sul rapporto che si ha con la propria immagine. Sono tanti, dieci in tutto, e per ognuno sarebbero necessarie pagine. Sono bonsai e proprio per questo completi nonostante il tempo ridotto, è la caratteristica del microteatro. Non si tratta di spezzoni di rappresentazioni più ampie ma di opere finite che andrebbero guardate con la lente di ingrandimento per non perdere il più piccolo gesto dell’attore. Ogni attimo è pieno di significato e ogni piéce ha un suo linguaggio, la danza, il monologo, la musica sono alcuni e portano Bonsai in una dimensione europea. Alcune compagnie infatti provengono da oltre i confini nazionali e portano esperienze diverse tra loro. Questa diversità di proposte è stata possibile anche grazie alle numerosissime partecipazioni al bando che hanno consentito di compiere scelte eterogenee capaci di creare dialogo tra loro. C’è il classico microteatro spagnolo rappresentato da Alguien que apague la luz, un opera di prosa che vede anche una proposta italiana con Irene Madre. C’è la danza con Longing for #1 e Trust, ci sono performance multimediali come Falso diario confidenziale e Selfie, c’è il teatro di narrazione con Corpi al vento e Filafiaba le tre melarance e c’è il monologo con 3:25 e Amy&Blake.
I bonsai, si scriveva all’inizio, sono alberi in miniatura mantenuti tali potandone rami e radici. Questo festival, come gli spettacoli che ospita, è esso stesso un Bonsai, piccolo ma completo. Capace di far provare al pubblico emozioni contrastanti ma sempre piene di bellezza. Di smuovere le persone alla finestra che guardano i gruppi spostarsi tra gli spettacoli. Di far rivivere luoghi decaduti o di dare ad altri una luce diversa. Di portare tantissimi volontari a regalare il proprio tempo per l’arte ma anche per la propria città. Di creare luoghi di ascolto, punti di osservazione non solo sugli spettacoli ma su un intero quartiere che ha grande bisogno di comprensione.
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