Tutti conoscono il Palio di Ferrara e la sua tradizione, parecchio discussa. Rievocazioni, gare tra sbandieratori, corse di asini, cavalli e quant’altro, accrescono la fama della nostra antica città, portando ogni anno un grande numero di visitatori ed un solido fronte animalista, nella magnifica cornice di Piazza Ariostea. Dietro all’enorme ingranaggio dei giochi medievali, al di là dei partecipanti stessi, esistono otto nutrite fazioni che sostengono, anche economicamente, in maniera volontaria, i loro emblemi. Le otto contrade si preparano per un intero anno alle attività che gravitano attorno al Palio. Centinaia di fedelissimi ai vari stemmi, partecipano quotidianamente al fervore organizzativo tra manutenzione dei costumi, allenamenti, ideazione del corteo e altre mansioni.
Agli occhi di un profano, il dietro le quinte con il suo folklore, non risulta essere così limpido; si percepisce una netta cesura, in città, che separa in maniera drastica i contradaioli, ovviamente pro Palio, dagli outsider, generalmente anti Palio. Non credo esista una costante che spieghi l’avvicinamento ad un emblema; potrebbe essere una tradizione familiare, magari l’introduzione da parte di un gruppo di amici, una pura e semplice necessità di appartenenza, fatto sta che un gruppo eterogeneo di persone si trova a convivere con questo obiettivo comune mentre un altro, ahimè, non lo comprende. Io faccio parte, da sempre, di quella schiera di persone che non comprendono il Palio, ma con un’innata curiosità nei confronti delle cose che non conosco. Io ed Andrea, l’autore delle fotografie, abbiamo preso la palla al balzo quando si è presentata l’opportunità di vivere una sera da contradaioli, e abbiamo chiacchierato di queste dinamiche che animano la tradizione ferrarese, fino a concepirne la struttura. Conservo solo un dubbio, che non sono stata in grado di chiarire nemmeno durante la notte che sto per raccontarvi: la Corte Ducale, cos’è?!
Uno dei momenti più autentici e significativi della vita da contradaiolo è quello della Cena Propiziatoria, la cena che precede la fatidica giornata delle corse di Piazza Ariostea. Si narrano vicende incredibili, legate a questa ricorrenza, tra scherzi e dispetti studiati nei minimi dettagli, come quando si predisponevano delegazioni armate di tutto il necessaire per dare acqua agli avversari, ovvero inibirli con una quantità spropositata di gavettoni inaspettati. Incuriositi da questi racconti esemplari, decidiamo di partire alla scoperta di queste cene tradizionali e colorate, tralasciando di proposito il famoso momento della visita istituzionale per arrivare all’autenticità delle espressioni notturne condite con l’alcool e la crescente agitazione per il grande giorno.
Dopo esserci fatti rimbalzare alla mastodontica cena della Contrada di San Benedetto (davanti a Palazzo dei Diamanti su Corso Rossetti chiuso al traffico) recuperata poi grazie ad un accredito ufficiale, ci muoviamo verso l’affascinante chiostro di San Paolo. La contrada bianconera ci accoglie calorosamente nel magnifico cortile addobbato. Federica, in contrada da 20 anni, mi spiega che, tra questi tavoli, ci si conosce tutti da una vita; l’atmosfera è intima e familiare. La sala adiacente al porticato è un’anacronistica armeria, piena di stendardi e scudi in cartapesta tra i quali giocano i bambini. Assistiamo all’inizio delle danze con un travolgente Gigi D’Agostino che esce dalle casse; lasciamo il chiostro soddisfatti durante il tipico trenino dei momenti di festa.
Persi in via Bologna, cerchiamo di raggiungere la cena di San Luca. Troviamo la contrada verde e rossa dentro una struttura di garza al centro dall’ippodromo cittadino. Da fuori si intravedono tavoli affollati e si sente una voce microfonata che annuncia la torta. San Luca ci accoglie offrendoci una fetta dello splendido dolce stemmato. Tre gentili ragazzi mi spiegano che, durante la cena, sono state premiate due contradaiole con i foulard bordato d’oro, emblema dei 40 anni di partecipazione attiva e continuativa in contrada. A San Luca hanno deciso di non aprire le porte a tutti per la cena propiziatoria, al contrario di alcune contrade che sfruttano l’occasione per garantirsi un minimo di sostentamento economico. Per la prima volta vengo a conoscenza delle famose Promesse: i fedelissimi promettono alla contrada, ogni anno, un obolo in caso di vittoria, in maniera che quest’ultima sappia di poter contare sul tesoretto in questione per prendere qualche piccolo accordo strategico durante la corsa. Niente di sconvolgente, le corse non sono truccate, mi spiegheranno a tarda notte in quel di Santa Maria in Vado, perché moltissimo dipende dai sorteggi delle griglie di partenza. Salutiamo San Luca chiedendo ai ragazzi qualche pronostico: ci raccontano, speranzosi, che aspettano una vittoria dal 1991. La cosiddetta nonna, la contrada che non vince da più anni, al momento è Santa Maria in Vado.
In pochi minuti ci ritroviamo tra i nastri gialli e rossi della contrada del patrono cittadino, San Giorgio. Daniele, il capo contrada, ci invita a bere un buonissimo bicchiere di vino raccontandoci a grandi linee l’organizzazione di queste piccole industrie tradizionali. Due ragazze si occupano dell’allestimento della sede per le feste e vorrei tanto congratularmi con loro perché, a San Giorgio, bisogna ammettere che è tutto curato in ogni dettaglio. Daniele mi racconta della passione che anima i contradaioli, tutti volontari, disposti a condividere il loro tempo, le loro competenze con il loro stemma d’appartenenza: ci sono due ristoratori, ad esempio, che offrono la loro esperienza per concordare un menù ricercato per questa cena tradizionale. San Giorgio viene dall’importante vittoria dello scorso anno, l’atmosfera è distesa e felice; per le istituzioni, la tappa dai vincitori dell’edizione precedente, è sempre la prima. Fuori dai cancelli della sede della contrada, facciamo la conoscenza del Draghetto, un rettile alato in lamiera, assemblato pezzo per pezzo da un contradaiolo, che inizialmente sputava lingue di fuoco grazie ad un ingranaggio interno. Oggi Draghetto non è più in funzione ma accompagna solennemente le sfilate del borgo San Giorgio. Ringraziando Daniele per l’accoglienza, ci muoviamo verso Santa Maria in Vado.
A Santa la festa è ormai finita. Ci spiegano che dovevamo passare prima per conoscere i campioni, che tradizionalmente vanno a letto presto per prepararsi alla gara. Anche qui si contano le Promesse con la voglia di cedere il fastidioso epiteto nonna a San Luca, seconda per anzianità di vittoria. La sede, ormai sgombera, è comunque piena di ragazzi che sorseggiano l’ultimo amaro. Anche la contrada giallo-viola preferisce mantenere autentica l’atmosfera della cena, non invitando chiunque a partecipare e servendosi di un catering per far rilassare i contradaioli in un momento di festa.
Si corre velocemente verso Santo Spirito e San Giovanni, con il presentimento di trovare le sedi ormai vuote. Cosa ne sarà stato dei fastidiosi dispetti notturni? Sono tutti tranquilli, gli ultimi bicchierini a tavola, le ultime chiacchiere prima della buonanotte.
Solo in Piazza Ariostea c’è aria di festa, un gruppo di ragazzi si lanciano in cori simil stadio; ma ancora niente gavettoni.
Combattuti tra la delusione di non aver smascherato i giustizieri idrici della notte e la gratitudine, per aver trovato tante persone disponibili, ci avviamo verso casa chiedendoci se forse, i più dispettosi, non fossero proprio i grandi assenti. Quelli della Corte Ducale.