di Michele Govoni
Raccontare da giornalisti culturali i retroscena, gli intenti e i perché degli spettacoli e del mondo culturale. Nasce con questo intento, all’interno del laboratorio di giornalismo culturale tenuto dal giornalista ed insegnante Michele Govoni, la Redazione Bonsai che per due mesi e mezzo ha seguito dall’interno il Festival Bonsai tenutosi al Teatro Ferrara Off durante la primavera ed estate 2022. Una rassegna di microteatro, ma non solo, anche primi studi, anteprime, performance, teatro, danza, clownerie, laboratori di formazione e tanto altro che potete scoprire visitando il sito www.ferraraoff.it.
In questo stimolante contesti, sette ragazze e ragazzi hanno ragionato sul mestiere del giornalista culturale e sulle sue infinite sfaccettature. Ne sono usciti articoli, interviste e puntate di uno speciale podcast che abbiamo deciso di condividere con voi. Un esperimento che sottoponiamo alla vostra attenzione per crescere assieme a voi, da piccoli, come bonsai, diventare grandi.
È intenzione della redazione proseguire con il lavoro di giornalismo culturale insieme, anche dopo la conclusione del laboratorio.
Magari potrete leggere o ascoltare di nuovo la nostra voce e scriverci (info@ferraraoff.it) se volete unirvi a noi!
Le vicende misteriose e leggendarie del Mago Chiozzino da Ferrara, portate in scena dalla compagnia Firmamento Collettivo. Nell’intervista a cura della Redazione Bonsai, il drammaturgo Luca D’Arrigo e la regista Adele Di Bella, raccontano come hanno dato vita allo spettacolo nato in residenza artistica a Ferrara Off.
Intervista di Sarah Franclin, Francesco Sbordone, Giovanni Iannucci e Ibtissam Abatal. Introduzione, commenti e montaggio di Francesco Sbordone.
La Redazione Bonsai incontra Agnese Fiocchi, produttrice creativa della compagnia di danza contemporanea olandese Teddy’s Last Ride, per capire con lei i temi e i contenuti di “9 weeks from now”. Lo spettacolo, nato a Ferrara Off durante la residenza artistica della compagnia nel settembre 2021, è stato presentato al Festival Bonsai 2022.
Intervista di Cristina Zanella, Sarah Franclin, Francesco Sbordone, Giovanni Iannucci, Riccardo Martinelli, Ibtissam Abatal, Lorenzo Marchesiello. Introduzione, commenti e montaggio di Francesco Sbordone.
Il direttore artistico di Ferrara Off, Giulio Costa, racconta a Cristina Zanella e Sarah Franclin della Redazione Bonsai com’è nato e si è sviluppato il Festival Bonsai, giunto quest’anno alla sesta edizione. Introduzione, commenti e montaggio di Francesco Sbordone.
Recensione dei tre spettacoli di microteatro “EINN Studio sulla solitudine”, “Manifesto d’Unione” e “Uccideresti l’uomo grasso?” andati in scena al Festival Bonsai 2022
di Cristina Zanella
Si respira un’aria particolare a Ferrara Off, vera e propria fucina artistica della città, luogo privilegiato in cui teatro, danza e musica trovano casa. Un’aria di attesa, di riscoperta. È un bel regalo assistere ai tre spettacoli di microteatro andati in scena sabato 14 maggio, replicati ciascuno tre volte e realizzati appositamente per la sesta edizione del Bonsai Festival. Un festival che vuole dar vita a piccoli ma completi e resistenti momenti di teatro, proprio come simboleggia l’albero in miniatura scelto come simbolo.
Alla mai dimenticata sensazione di prender posto in attesa dell’inizio dello spettacolo si unisce così la curiosità di scoprire cosa gli artisti abbiano prodotto. L’ampio cartellone di anteprime messe in scena da compagnie nazionali e internazionali risponde alla chiamata degli organizzatori e alla loro richiesta: affrontare temi attuali, post pandemici dimenticando l’immaterialità dell’onnipresente, invasiva modalità on line delle nostre vite e riscoprendo la corporeità dell’off line.
E così il ballerino e coreografo Daniele Bianco con “EINN Studio sulla solitudine” affronta questa condizione esistenziale squisitamente moderna, che sembra essere potenziata anziché eliminata dall’ interconnessione virtuale. Frutto di un lavoro realizzato a Ferrara in soli sei giorni, ben si presta, come afferma l’autore, ad essere prodromo di uno spettacolo vero e proprio che sviluppi ancor più l’idea di partenza. Una performance in fase di costruzione quindi ma che già veicola suggestioni e messaggi racchiusi in quindici minuti dove il ballerino spinge il suo corpo senza sosta accettandone anche la stanchezza finale, esponendola e rompendo la barriera tra lui e il pubblico. Occhi chiusi o coperti con le mani, il contatto visivo con gli altri precluso, movimenti centripeti, disarticolati, perfino precari con il corpo teso, sorretto per lunghi istanti sulla sola punta di un piede, rendono plasticamente la condizione di un uomo solo, monade nello spazio vuoto attorno a lui.
Il ritmo incalza, i movimenti si fanno meno cupi, più distesi: anche la musica si fa ossessiva, ripetendo un ritornello martellante “parola promessa ritorno pensiero profondo” ma la solitudine, nonostante il frastuono, sembra restare. Una prova fisica e tecnica da parte del danzatore davvero notevole.
Dello stesso Bianco è lo spettacolo successivo “Manifesto d’unione” dove in scena danzano quattro ballerine (Diletta Antolini, Melissa Borlotti, Noemi Garofalo, Chiara Riva) che, con figure simmetriche e movimenti sincronici, sembrano simboleggiare l’uscita dalla solitudine precedentemente rappresentata. Si entra così in quell’unione che fa dell’uomo un animale politico, teso a costruire rapporti che generano via via tutte le cellule sociali, dal gruppo alla famiglia, fino ad arrivare alla comunità. Le danzatrici passano da un movimento comune ma distaccato a un avvicinarsi reciproco che libera energia e porta ad un intreccio di mani e braccia in un girotondo di corpi armoniosi. Rimane comunque la necessità di salvaguardare la propria individualità preservandola da una comoda omologazione: non solo i movimenti comuni ma anche lo stesso aspetto esteriore delle danzatrici le rendono a prima vista interscambiabili. In verità emerge a poco a poco la soggettività di ognuna di loro che non può però essere un sé a parte, assoluto, slegato dagli altri in nome dei propri desideri o volontà. Come trovare l’equilibrio tra i due poli? Ancora qualche lieve imperfezione tecnica ma l’impatto emotivo è assicurato.
“Uccideresti l’Uomo Grasso” chiude la serata: uno spettacolo teatrale istrionico e incalzante, ispirato al capolavoro di Dostoevskij “Delitto e Castigo” e messo in scena dalla compagnia di ricerca teatrale torinese “Il Mulino di Amleto”. Lo spettacolo di 30 minuti è in realtà l’atto primo di un’unica performance composta anche da “Il Grande Inquisitore” (ispirato questa volta da “I fratelli Karamazov”) che va in scena la serata successiva. I due atti conservano una loro autonomia ma sono strettamente collegati perché entrambi affrontano in chiave contemporanea le tematiche della solitudine, delle scelte morali e della rinascita tanto care all’autore russo.
In “Uccideresti l’Uomo Grasso” lo spettatore si trova a dover affrontare dubbi etici assistendo a un surreale talk show televisivo dove egli stesso diventa parte attiva. A condurre i giochi un grottesco ed energico presentatore, interpretato dal bravissimo Francesco Gargiulo, con cappotto russo e vodka da usare all’occorrenza e addirittura offrire in premio al pubblico, tra applausi registrati e jingle d’ordinanza. Una commistione tra due linguaggi, quello russo di partenza e quello televisivo-consumistico adottato, davvero azzeccata.
Si segue il conduttore trascinati in un vortice giocoso che si trasforma via via in una destabilizzante prova: si è chiamati a fare delle scelte, obbligati dal sistema e catapultati a cimentarsi in veri e propri dilemmi morali. Come fare? Chi salvare? Il tutto parte da un noto esperimento filosofico, il dilemma del carrello ferroviario, concepito negli anni 60 dalla docente Philippa Foot (che appare in collegamento video interpretata in chiave moderna con una buona dose di ridicoli tic capitalistici). Nella versione originale si deve decidere se lasciare che un treno impazzito e senza freni uccida cinque persone legate sul binario oppure azionare uno scambio intervenendo sulla corsa e deviandola in un secondo binario dove è legata un’unica persona. Una situazione che pone quesiti etici e fa riflettere su concetti significativi quali l’assunzione di responsabilità, la scelta del male minore, la pressione del sistema.
Essere riusciti a condensare in mezz’ora di microteatro questioni di tal portata sulla complessità umana e averlo fatto in un turbinio che cattura e che porta lo spettatore a sorridere divertito un istante prima e rimanere ammutolito in quello dopo, è stata una prova di alta padronanza e maturità teatrale… Sia rievocando l’adrenalina della giostra, sia per gli impervi sentieri che i testi russi chiamano a percorrere e che gli autori dimostrano di aver compiuto, si può proprio pensare, a spettacolo concluso, di essere appena scesi da una metaforica montagna russa.
Sorpresi e un po’ impauriti: due delle tante emozioni che il teatro dona.