Settantuno anni sono, in sostanza, la durata di una vita. Settantuno anni sono passati da quella enorme piena del Po: era il 1951, l’Italia si stava costruendo, l’idea di repubblica era appena diventata realtà ma senza che l’Italia fosse ancora unita, nasceva la televisione che si apprestava a diventare il primo collante culturale della popolazione. Stava sorgendo insomma quell’idea collettiva di paese che conosciamo e che lo stesso ancora oggi pare frammentato.
Il Po, oggi come allora, delimita il confine superiore della nostra provincia, in una maniera arrogante: è una linea idrica che chiude il comune, un gigante di acqua, sovrastato da un ponte che separa Emilia e Veneto. “Po” di Andrea Segre e Gian Antonio Stella racconta la terribile inondazione del fiume più grande d’Italia e lunedì 4 aprile sarà proiettato alla Sala Estense, alla presenza del regista e con un prezioso dibattito in sala: un’occasione per tracciare un parallelo tra ieri e oggi.
Già tra la fine del 1950 e l’inizio del 1951 diverse esondazioni colpirono il nostro territorio con il fiume Reno che esondò in diverse frazioni per fermarsi alle porte della città, mentre il 14 novembre il destino rivolse il suo sguardo all’altra sponda della provincia, costringendo oltre centomila persone a fuggire da un Polesine stravolto, con settantamila ettari di territorio sommersi.
Un’altra testimonianza, molto toccante, quella di Rodolfo Graziani, che allora aveva 8 anni e abitava a Ruina: «Ero sull’argine con mio padre e guardavamo cosa stava succedendo, ad un certo punto ho visto dagli alberi che il fiume calava. Mio padre mi strinse forte la mano e io dissi: “Papà cosa fai, mi fai male”. Mi rispose: “Al me putin, l’ha rott”. Bisognava aspettare per sapere dove. Furono attimi lunghissimi. Eravamo di fronte a Garofalo e a un certo punti sentii come una mandria di bufali. Mio padre mi disse: “Possiamo andare, ha rotto di là”».
da un articolo de “la nuova ferrara”
“Quello che mi interessava era questo racconto umano, il racconto delle persone che fuggirono. Allo stesso tempo era interessante recuperare il materiale prodotto dall’Istituto Luce, servizi realizzati per il cinegiornale in una Italia in cui non c’era ancora la televisione (le prime trasmissioni sarebbero iniziate nel 1954), dialogare con queste persone che hanno vissuto questo evento a dieci anni e che ora ne hanno ottanta: qualcosa che ne ha segnato la vita intera” racconta il regista Andrea Segre.
È inevitabile pensare al parallelismo con quello che vediamo oggi: esistenze normali sconvolte senza preavviso, l’improvvisa necessità di fuggire da tutto nell’arco di una notte, riempendo una borsa o poco più, cercando solo di salvare la propria vita. Parliamo di oltre centomila persone che dovettero abbandonare le proprie case, in poche ore.
“È un episodio che segna la vita per sempre ed è qualcosa che facciamo fatica a capire quando invece incontriamo qualcuno: pensiamo che ci sia sempre un secondo motivo per cui una persona si sta spostando e arriva a casa nostra. È una ferita che non sempre riusciamo a condividere” spiega.
C’è una persona all’interno del film che racconta di avere perso la madre e le due sorelle durante l’alluvione e che una volta finito il momento più drammatico ha faticato a parlarne. Sembrava quasi che dovessi vergognarmene, ricorda.
“Il rapporto con il dolore è molto difficile. Questo è il cuore del film: le occasioni di racconto pubblico e allo stesso tempo di ascolto pubblico sono momenti preziosi, che non dovremmo sprecare e tenere a mente quando sono gli altri a dover fuggire.”
La siccità di questi giorni racconta molto altro di questo rapporto tra territorio e ambiente, ma c’è da pensare a quanto siccità e alluvioni vadano spesso di pari passo: esiste la necessità di costruire un dialogo con il fiume e in generale il clima. Parallelamente alla vicenda umana, impressiona parlare del ricordo di persone ancora in vita che si devono confrontare oggi con una siccità ed una assenza di precipitazioni mai vista. Un altro rimando che spicca nel film e che racconta qualcosa di questo spazio temporale, tra quella tragedia e quelle sullo sfondo di un futuro prossimo davanti a noi.
“C’è pochissimo rapporto tra il fiume e l’essere umano oggi. È così da molti decenni: questo scarso rapporto è legato all’inquinamento delle acque, ad una riduzione della pesca, ma anche una mala gestione del fiume come spazio di trasporto. I fiumi in Italia, a differenza di altri fiumi europei, sono stati poco utilizzati e questo ha portato a incuria e inquinamento, con un territorio di conseguenza più fragile.” spiega Segre.
“Il film è stato realizzato nell’ultimo anno e non potevamo sapere quello che sarebbe successo in Ucraina a ridosso della presentazione, ma in fondo quello che stavamo facendo era un racconto legato a tutte le persone profughe in un mondo in cui ci sono tantissime persone che scappano dalle guerre e dalle miserie, in ogni territorio di guerra, violenza e discriminazione che esiste.”
“Po” un film di Andrea Segre e Gian Antonio Stella, regia di Andrea Segre
Lunedì 4 aprile ore 21.00 – Sala Estense, organizzato da Arci Ferrara. Dopo la proiezione del film Andrea Segre parteciperà ad un dibattito con Anna Quarzi (ISCO), moderato da Licia Vignotto.